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Giorno #6 - Km 1533 - Ioannina

Non ricordo se già l'ho scritto, ma poche settimane fa MaLa ha gettato il suo telefono in acqua. È rimasto lì per un poco, apparentemente a portata di mano... se solo fossi stato rapido a tuffarmi nello stretto spazio tra le due barche. 
Ma ho pensato: 
- Ormai è andato.
E subito dopo, quando era ancora lì: 
- Ce l'avrei sicuramente fatta, poco fa, ma ormai, adesso, è andato di certo.
E poi, quando ancora acceso scendeva piano, controvoglia: 
- Forse avrei potuto salvarlo, un attimo fa, ma ormai è troppo tardi.
E così via, fino a quando, a un paio di metri dalla superficie, si è spento ed è sparito alla nostra vista sgomenta. 
Io avevo perso tempo a calcolare come meglio entrare in acqua evitando di sbattere la testa sugli scafi - che un telefono non vale una vita, soprattutto la mia, l'unica personale occupazione a tempo pieno cui mi dedico da anni - ma anche  a elencare mentalmente quello che avrei dovuto togliermi prima del tuffo. Il mio, di telefono, e gli occhiali.
I miei occhiali, del resto, si sono spezzati all'altezza della lente sinistra mentre li pulivo, qualche giorno dopo. Eravamo nel pieno di una delle tante cene di commiato, Duna era piena come un uovo di amici, e io ho passato la serata a rispondere genericamente a generiche persone, perché senza occhiali sono poco più di una talpa. Miracolosamente, il giorno dopo ne ho trovato un altro paio, vecchi, che tenevo di scorta nel tavolo da carteggio in previsione di simili avvenimenti.
Una volta partiti è stata la volta della dogana turca. Ne avete forse letto, su questo blog. E una volta liberi dalla burocrazia ecco la macchina, la "Fedele C3 che di strada ne ha già fatta 60 volte tanta" (cito a memoria dalla quarta di copertina del libro sul nostro viaggio di andata, in pubblicazione tra pochi giorni) ha cominciato a fare un rumore di ferraglia. Come una forchetta arrotolata chiusa una scatoletta di pelati vuota e agitata da un rinoceronte, nervoso, in rapido movimento.
Due giorni fermi a Krinides - il guaio era capitato di sabato, ovvio - ci hanno permesso di cambiare la frizione. Il cuscinetto reggispinta si era aperto, assumendo la forma di una forchetta arrotolata. Del rinoceronte nessuna traccia.
Stamattina quindi, finalmente, siamo partiti. Poco prima di portare le valigie fuori sono andato in bagno e, per sciacquarmi la faccia, ho appoggiato sul mobile alla mia destra gli occhiali. Il mobile era alla mia sinistra, e gli occhiali sono precipitati a terra.
Più tardi, indossate le lenti a contatto, ho guidato fino a Ioannina dove avevamo in programma un pranzo con Renevi, una cara amica di MaLa che frequenta la facoltà di Belle Arti della locale università. Avremmo avuto poco tempo da passare con lei, perché il nostro traghetto sarebbe partito da Igoumenitsa in serata e noi dovevamo ancora fare il biglietto.
Senonché, arrivati al dolce, per guadagnare qualche minunto abbiamo provato a prenotare online. E il nostro traghetto era sparito. Dopo il telefono, gli occhiali, la dogana, la frizione, ancora gli occhiali, non ho potuto che allargare le braccia e mettermi a ridere.
Abbiamo allora approfittato del pomeriggio per curiosare per l'università, piena di gente simpatica, fuori di testa come si addice a una facoltà d'arte, immersa in un ambiente talmente degradato da assomigliare a un'occupazione di punkabbestia poco prima del prevedibile incendio durante il rissone catartico finale.
Ospiti improvvisi ma ipercoccolati nel piccolo e grazioso appartamento di Renevi, abbiamo telefonato alla Anek Lines per scoprire l'arcano che spiegava almeno l'ultima delle sfighe degli ultimi giorni: burrasca nello stretto di Otranto, prevista onda media di 8 metri, il che significa che là fuori c'erano mostri alti anche il doppio. Ecco perché tutti i collegamenti marittimi erano soppressi.
Forse stavolta era stata la fortuna a ritardare il nostro viaggio.


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