Duna vola verso ovest con fiocco pieno e due mani alla randa. La prua danza agile tra le onde dello stretto tra Naxos e Paros mentre io al timone assecondo i suoi movimenti istintivi, aiutandola giusto un po' ad anticipare, quando arriva, un treno di onde più ripide delle altre. Ma in fondo è per me che lo faccio, per evitare che le creste frangano in pozzetto inzuppando di sale me, il mio cappello di lana e i miei occhiali a specchio nuovi. Lei, Duna, non ne avebbe bisogno: è nata per questo mare. Sono due giorni che corriamo insieme verso ponente, verso Galata e il cantiere in cui riposare per il breve attimo di un inverno. Dall'alba - si fa per dire: oggi son partito a metà mattinata dopo dodici ore filate di sonno - alle luci del primo crepuscolo. Cinquanta miglia al giorno, tutte a vela, la maggior parte di bolina, sono tante, e così non sto nemmeno mettendo la canna in acqua. Se poi prendessi un tonno dovrei rallentare la barca, lottare, recuperarlo, pulirlo, dissa