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Visualizzazione dei post da 2015

Rotta su Bologna

Le raffiche di vento sbatacchiano l'abitacolo mentre corriamo verso sud. Come al solito abbiamo fatto tardi, e il paesaggio scorre veloce intorno a noi, mentre percorriamo la strada diretti alla stazione . Abbiamo un treno da prendere, ed è con grande soddisfazione che, dopo una discreta ansia, parcheggio miracolosamente la macchina a cinquanta metri scarsi dal binario con mezz'ora di anticipo sull'orario di partenza. Scendiamo, pigramente ora, c'è tempo, ci stiriamo, tiriamo fuori il bagaglio e ci avviamo lenti verso l'ingresso. Chiuso. Come, chiuso? Pochi mesi fa era qui che si entrava. Cerchiamo cartelli, avvisi... Niente. Le biglietterie sono sbarrate, le insegne spente. Ci guardiamo intorno smarriti. Una signora si lamenta a voce alta, chiede informazioni, sentiamo la risposta che le viene data: Italo non parte più da qui, ma da Termini. Siamo a Ostiense, lato Eataly, non ci resta che prendere la metro. La mezz'ora di anticipo diventa improvvisamente

La ragione per cui

Quindici giorni fa, a Milo.  Vento da sud ovest, e io sono imbucato nell'angolo dietro al molo traghetti, a ridosso di un mega yacht a motore. L'idea era fare rifornimento di gasolio, acqua e viveri per poi scendere giù di corsa verso Malea e il Peloponneso, ma Poseidone sembra avere qualcosa in contrario, almeno a giudicare dalla quantità di nubi e pioggia e lampi che quotidianamente manda su ad avvertirmi. "Nun t'azzarda'", sembra dirmi. E io non mi azzardo. La stagione è tarda, è autunno ormai e le perturbazioni impazzano su tutto il Mediterraneo prendendo energia dal mare caldo. In nord Africa, poi, le basse pressioni si creano a ripetizione. Da lì si staccano e salgono in Egeo. Fino a poche ore prima non è dato sapere se si faranno piccole e violente per passare a Nord di Creta e risalire le Cicladi fino al Saronicos o se porteranno i loro venti a Sud, fino forse in Dodecaneso. Meteo "variabile", un classico autunnale, ma finché non c

Il Charterista

Ieri sveglia all'alba, che ormai a ottobre son le sette, il vento fischia tra le manovre e schiaffeggia le murate. Le previsioni danno un F5, fuori, e anche se da queste parti di solito il numero 5 è solo la media aritmetica tra 3 e 7, ho già deciso di salire oggi fino a Egina. Ho fretta di concludere il viaggio e, soprattutto, ho piena fiducia nella Duna. E poi ho visto di peggio, e avendolo visto, ormai, so che oggi sarà giornata scomoda, salata, veloce, ma nulla più. Dalla faccia che fa la coppia di charteristi accanto a me, nel vedermi preparare le vele (prendo da subito i terzaroli alla randa e al fiocco), tirare via l'àncora e avviarmi fischiettando tra la schiumetta bassa e nervosa delle raffiche, intuisco che per loro, invece, il peggio è questo. Lo ammetto, mi sento figo per quasi cinque minuti: concedetemelo almeno a fine stagione. Partito da Sounio alle 9, alle 15.30 dopo una rotta a semicerchio faccio il mio ingresso nel porto di Egina. Pieno. I

Spezzo le catene!

Passo i pomeriggi a fotografare le nuvole. Si avvicinano da ovest, di là dalle cime di Milo, fanno ruotare il vento, soffiano raffiche che strappano schiuma al mare color del vino, mi passano sopra e si allontanano. Via, lontane. E io qui. Passo le mie giornate a fotografare le nuvole, e le albe e i tramonti. E i gabbiani alti nel cielo, e i riflessi della luna piena sull'acqua ferma appena sotto la scogliera. E le giornate passano, lunghe eppure rapide. Brevi intermezzi tra una colazione e una cena. Infinite ore a controllare la presa dell'àncora. Sto scadendo? Accendo il motore? C'è il sole e tutto mi sembra possibile. Partirei subito, anzi sto per farlo. Ma l'orizzonte si fa scuro, e io lì devo andare, e il tuono si fa sentire, cupo. Aiuto, penso senza volerlo, sto per morire. Nuvole che passano sopra di me, al mio fianco, e la barca che segue docile i cambi di vento. Ho dato catena, tanta catena per essere sicuro, questa mattina, quando la prima raffica

La ricerca del Graal

“All paths are the same: they lead nowhere. ... Does this path have a heart? If it does, the path is good; if it doesn't, it is of no use. Both paths lead nowhere; but one has a heart, the other doesn't. One makes for a joyful journey; as long as you follow it, you are one with it. The other will make you curse your life. One makes you strong; the other weakens you.”  ― Carlos Castaneda, The Teachings of Don Juan: A Yaqui Way of Knowledge Sono seduto su un alto sgabello al tavolo di un gyros qui ad Adamas, Milo. Neanche un'ora fa ho dato àncora dopo aver puntato il molo, staccato il motore e affidato il timone ad Arthur. Apri frizione, stringi frizione, ha fatto testa: apri di nuovo, ma non troppo. Di nuovo io al timone, 180 da guappo e via in banchina. La scusa ufficiale, anche con me stesso intendo, è che ho finito la birra. In realtà è da Leros che non tocco un porto, e comincio ad avere fisicamente bisogno di gente intorno. Strano, non lo avrei mai detto. E

Le infinite possibilità future

La vita è una giovane donna stesa accanto a te. Sembra dormire, beata nel sole di luglio, e se fai attenzione puoi sentire il suo respiro rilassato, profondo. La pelle nuda delle sue spalle, del suo collo, è profumata e liscia e abbronzata del colore dorato delle spiagge di Ios. Desideri con tutto te stesso toccarla, o almeno sfiorarla carezzarla, ecco che le tue dita si muovono da sole con un'intenzione che non pensavi tua, ma poi si fermano, a pochi millimetri, là dove ti sembra di sentire il suo calore nonostante il tepore estivo. Hai paura di svegliarla. Di più, non sai come reagirà al suo risveglio: accetterà la tua carezza, o si scuserà imbarazzata lasciandoti in fretta? E allora rimani così, immobile, quasi trattenendo il respiro, a cercare di credere di sentir fluire qualcosa nonostante la distanza, ad assaporare tutte le possibilità future, che il tuo gesto rimandato - solo di un altro poco, promesso - lascia intatte.  È così che vedo sfuggire le isole più belle, in

I demoni di ieri

Sveglia alle quattro e mezza, sistemo le ultime cose e parto che è ancora notte. Lasse è sveglio ma "nasconde le lacrime", Giovanni agita da lontano una torcia in segno di saluto, gli altri sono ormeggiati lontano, li ho abbracciati ieri sera dopo cena. Esco da Lakki come sono entrato: al buio. Fuori il mare monta rapido, e sul più bello abbocca un tonno di quelli che quando hai recuperato tutto e li guardi negli occhi e ti preoccupi di sguainare il raffio senza infilartelo nel sottocoscia ti dicono "ciao" e si riprendono tutta la bobina. Svento tutto, ma non basta, orzo, e il meltemi alza la sua voce di un tono. Per un'ora e mezza siamo io e il pesce, muscolo contro muscolo, mentre Duna viaggia verso ovest risalendo le onde. Poi l'amo ha la meglio, il mulinello lo porta sottobordo, e in equilibrio tra il legno della pedana e la schiuma dei frangenti lo arpiono col raffio, lo tiro a bordo, lo finisco a coltellate, lo assicuro al pulpito. Lo lascio lì

I've had a dream

Ho fatto uno strano sogno, che ancora adesso non mi lascia dormire. E allora rimango qui in pozzetto, a dondolare nella debole risacca lasciata dal vento appena calato e nel canto dolce proveniente dalla spiaggia di Sivrice Limani. Mi arriva attraversando la nera superficie liquida insieme ai riflessi dei lampioni e delle luci delle palafitte, così come mi è arrivato il richiamo del muezzin, puntuale alle 21.50, roco stasera, triste e stonato come fosse vecchio e stanco l'uomo di là dal microfono. Alle mie spalle il Sagittario insegue lo Scorpione sullo sfondo della Via Lattea, in un cielo di seta. E al di là del canale, a poche miglie, le luci di Lesbo. Siamo a un passo dalla Grecia, potremmo quasi toccarla con un dito, da qui, o approdarvi facilmente se solo ci facessimo trasportare dalla debole e fidata corrente. Lo faremo tra un paio di giorni, dopo aver sbrigato la burocrazia di uscita ad Ayvalik, poco più giù. La sera è dolce, la cantante sulla spiaggia intona una canzo

Io non li odio, i charteristi

Il Beneteau che mi si infila a fianco è enorme. Voglio dire, è un 50 piedi, ovvio sia grosso, ma è comunque esagerata la larghezza del suo baglio. In realtà qualunque cosa è esagerata a bordo. Ciascuna delle finestre della sua tuga ha più plexiglass di tutti i miei oblò. Il suo albero ha più alluminio degli infissi del mio condominio. La sua randa rollabile più tela delle tende da sole del mio palazzo. Al confronto, la Duna sparisce. Anche i parabordi sono proporzionati. Peccato che nessuno, nonostante i miei sforzi linguistici, si degni di spostarli da dove il cantiere li ha annodati nel giorno del suo varo, evidentemente a fianco di altri 50 piedi, a dove potrebbero essere utili a tenere lontano il bottazzo di un microscopico vecchio Serenity. In pratica, oltre ad avermi schiacciato, sono i miei parabordi a rischiare di scoppiare, mentre i suoi si riposano, morbidamente avvolti nel panno blu, certo lavato in ammorbidente. La bandiera è del Delaware, e da queste parti i soli a

La fine del sorcio

Vathi, Samos. Siamo arrivati qui dopo 50 miglia di navigazione, che per noi, anche a velocità smodata, calcolando le manovre e quant'altro, son sempre nove ore. Nove ore per passare dalla nostra splendida e deserta ultima rada turca, occupata di straforo dato che l'uscita ufficiale risale ormai a una settimana fa, alla Grecia, lavando così simbolicamente il fastidio del nostro primo rientro, quello da Ayvalik a Mytilene.  Stiamo correndo verso sud, c'è un aereo da prendere, e così viaggiamo con il vento che troviamo. E per i nostri standard è tanto, e l'onda nei passaggi più difficili quantomeno fastidiosa, stancante senz'altro. Ma ora siamo arrivati. Ci siamo messi all'inglese nella banchina di fronte al Comune.  I lavori dello scorso anno sono finiti, e troviamo trappe e corpi morti, e colonnine di acqua ed elettricità, e panchine nuove di zecca, ovunque. Rinfoderiamo l'ancora, che avrei voluto calare per tenerci discosti dalla banchina, e usiamo all&