"Il tuo fiocco piccolo andrà benissimo per quando Lui arriverà", mi diceva premuroso Nicola. "Ti invidio la tua trinchetta", la gentile Francesca. E noi con il fiocco piccolo e due mani alla randa, ancora spaventati per la sventolata presa tra capo e collo a Kea, ad aspettare Lui.
Vedendo gli altri intorno a me veleggiare incuranti con tutta la tela a riva, sorridevo tra me e me, li consideravo stolti, celando l'invidia segreta per le loro vele avvolgibili - il garroccio è una scelta di vita di cui andare orgoglioso, soprattutto quando i soldi per il rollafiocco non li hai - finendo in entrambi i casi col compatirli perché prima o poi sarebbe arrivato Lui, e avrebbe fatto piazza pulita di tutti coloro che Gli mancavano di rispetto prendendola con tanta allegria. Quanto ero serio, io, e quanto mi sentivo figo con il mio fazzoletto ingarrocciato, che mi spingeva a quattro nodi quando il vento sparava la schiuma via dalle onde e mi costringeva a smotorare quando - e accadeva spesso - gli altri srotolavano i loro enormi genoa leggeri e solcavano eleganti il mare immobile!
Lui non arrivava. O meglio, sì, due o tre volte si è fatto vedere, e allora certo ho molto amato il nostro fiocchetto e la nostra randa terzarolata, contento di sapere che, all'occorrenza, avrei potuto ridurre ancora entrambi. Ma in generale, a dirla tutta, soffrivo nel sentire la Duna decisamente sottoinvelata, perennemente pronta alla tempesta perfetta mai arrivata. E qui tolgo le mani dalla tastiera per il gesto apotropaico d'uopo, visto che mi mancano ancora un migliaio di miglia per riportare armi e bagagli a casa: ci tengo a ricordarlo perché anche ora che son da tre giorni rintanato tra le reti dei pescatori di Agia Pelagia ad arrostire agnello e trincare Fix, vino rosso o ouzo seguendo rigorosamente i ritmi del sole che tutto vede, mi fa sentire figo.
Avrei volentieri tenuto a riva il fiocco intermedio, ma ero memore degli 11 nodi segnalati dal log quando c'era improvvisamente calato addosso il finimondo, di come non avevamo potuto far altro che scarrellare lo scarrellabile, ché per andare a prua ad ammainare tutto ci sarebbe voluta l'imbragatura da alpinista, e di come ci eravamo sbrigati a cambiare vela non appena il vento ci aveva dato pochi minuti di relativa tregua.
Il fiocco intermedio, bella bestia, nemmeno troppo smutandato considerata l'età matura, ha però una caratteristica mai sfruttata: è predisposto per una mano di terzaroli. All'epoca di cui stiamo parlando, quattro dita del Peloponneso fa, aveva tutto, meno l'anello alla mura. Peccato, converrete, perché con una mano di terzaroli pronta all'uso è tutta un'altra musica.
Siccome mi sento figo, non so se l'ho già scritto, ho pensato "ma dai che l'anello lo cucio io così poi me ne vanto pure". E mi sono cimentato gradasso nell'impresa.
L'anello, inox, bello robusto l'ho trovato a Pitagorion. Gli altri attrezzi li tengo sempre a bordo. Ci tengo a poter pensare di poter dimostrare di essere figo.
L'idea è stata quella di non bucare il tessuto, ma di istallare l'anello tramite delle fettucce che ripartiscono il carico lungo le due direzioni di sforzo: verso la penna e verso la bugna.
Detto fatto, mi sono messo all'opera indefesso, solo per scoprire che forare a mano con ago e guardiapalmo una vela laddove è rinforzata per accogliere un punto di mura è un'impresa titanica. La prima di quattro fettucce l'ho cucita in un intero pomeriggio di navigazione.
Per le altre ho adottato un trucco (modestamente): andarmi a cercare i buchi della cucitura già esistente, e ho risparmiato tempo: dopo neanche tre giorni totali di lavoro l'anello era al suo posto. Non contano le piaghe alle mani, le dita bucate, gli aghi spezzati coi frammenti spersi nei comenti del teak, il male alla schiena perché per trovare l'angolo giusto di spinta sono stato costretto a posizioni che nemmeno il kamasutra, la schiena bruciata dal sole di mezzo Egeo: ho dimostrato di essere figo, no?
Poi, una sera, a Serifos, finalmente ho ingarrocciato la vela. Era il momento, l'indomani il vento sarebbe stato moderato - buono per il fiocco, e in caso di rinforzi in pochi minuti avrei ridotto la vela mantenendola a riva.
L'indomani, all'alba, abbiamo lasciato il porto tirando a bordo le due ancore di cui credo di aver già scritto, per avventurarci in mare aperto. Al momento opportuno, la drizza si è tesa e il dacron ingiallito dai decenni è salito lungo lo strallo, verso la testa dell'albero. Si è gonfiato. L'ho guardato orgoglioso. Quanto mi sentivo figo.
Tre giorni di cucito. Le piaghe i dolori gli aghi.
Per tre giorni, avevo cucito nella direzione sbagliata.
Ma quanto mi ero sentito figo.
uaahhahaahahahha ;-)
RispondiEliminaDici che a compressione non resiste?
RispondiEliminaIn realtà serve a tenere il musone, non la vela :)
EliminaMon Dieu !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
RispondiEliminaCome ti capisco. A chi non è capitato di sbriciolare la propria figaggine sul muro della disattenzione?
RispondiEliminaSei figo perché non sono molti quelli che lo racconterebbero.
RispondiEliminaInfatti lo faccio solo per essere figo :-D
EliminaConsolati, puoi aggiungere SOLO un'altra fettuccia e cucirle ed hai finito il lavoro.
RispondiEliminaconsolati, con il rullafiocco e un fiocchetto come quello che ci s'ha noi a bordo é quasi peggio, almeno con i garrocci va su che é una bellezza. domani o dopo ritireremo su il genoa (e saremo puniti, losento, lo sento) e poi rimarrà lui fino alla fine di ottobre, e chi lo ritira giù ci voglion due ore e essere all'ancora ed essere soli in rada e non avere vento, etc, etc. però il rullafiocco non te lo do, neanche morta :P
RispondiEliminafigata!
RispondiElimina:-)
:)
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