tag:blogger.com,1999:blog-17553017319057518712024-03-13T20:34:46.811+01:00while slowly going nowhereCarlo Perishttp://www.blogger.com/profile/01924708518801326577noreply@blogger.comBlogger204125tag:blogger.com,1999:blog-1755301731905751871.post-53121193715463102852022-10-08T11:25:00.000+02:002022-10-08T11:25:35.823+02:00 Lookout!<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjUNI10PCXr_p2NKeCU16FwJdkt6eaOe0u8cq1OqNxtYE_GTiDafyC0yE6FlYAPsVCJdwqLUjRZbGnjCI8SQy97ARrlyhgI5ixTI0iRoznJFw5zjwSTU2SYeCRzLzOUERd8gW2NWFBQ1vc3yrW5amrs46HpJ-ydDlw14pxzTmO5oe0ul64-W4vQOt9P/s3648/IMG_20220926_185715.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2736" data-original-width="3648" height="300" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjUNI10PCXr_p2NKeCU16FwJdkt6eaOe0u8cq1OqNxtYE_GTiDafyC0yE6FlYAPsVCJdwqLUjRZbGnjCI8SQy97ARrlyhgI5ixTI0iRoznJFw5zjwSTU2SYeCRzLzOUERd8gW2NWFBQ1vc3yrW5amrs46HpJ-ydDlw14pxzTmO5oe0ul64-W4vQOt9P/w400-h300/IMG_20220926_185715.jpg" width="400" /></a></div><span style="font-family: georgia; font-size: large;"><br />In due parole. Sono qui a Poros, a fine settembre. Il porto, la baia, sono pieni come fosse metà agosto di tre o quattro anni fa. Ho fatto amicizia con lo skipper alla mia sinistra, Cristiano, aiutandolo ad infilare il suo 56’ nello spazio normalmente destinato a un 40’. Ho fatto amicizia con la coppia norvegese che gli ha fatto spazio dall’altra parte. Alla mia destra Maurizio e Nadia sono pronti per salpare, devono alare oggi. Li saluto e scendo a versarmi il caffè dalla moka.<br /><br />Sento il rumore sommesso del loro motore, quello ancora più debole, mentre si allontanano, della catena che sale. Si interrompe: evidentemente sono arrivati in verticale sull’ancora, ora si assestano e la tirano su. E invece del ronzio del verricello sento le urla di Nadia. Esco di corsa a controllare.<br />Un charterista, lanciato a palla da nord a sud, li sta per investire.<br />Non me ne vogliano i charteristi, tra loro c’è gente simpatica e antipatica, ci sono stronzi e brave persone, arroganti e umili in ugual misura che in ogni altra categoria umana. E tra loro ci sono bravi marinai e incapaci totali. Parafrasando Tolstoj, però, tutti i bravi charteristi si assomigliano fra loro, ogni charterista incapace è incapace a modo suo.<br />Ovvero: la stronzaggine della categoria è statistica, ma i disagi provocati sono numerici. Ed essendo ormai i charteristi letteralmente migliaia, i numeri percepiti sono esageratamente alti.<br />Quindi, con buona pace delle brave persone, bravi marinai, che noleggiano una barca e si fanno la loro settimana senza seminare disagio nel mondo attorno a loro, passando per questo inosservati, quando scrivo “charteristi” non posso farlo senza una certa dose di astio.<br />Il charterista in questione non tenendo conto di essere in un porto sfrecciava alla massima velocità consentita dal suo motore fumante. non tenendo conto di essere in un porto non faceva attenzione alle imbarcazioni in manovra. Pensava, evidentemente, che una barca ferma a duecento metri da lui fosse lì a fare da bersaglio, o se anche aveva intuito che Maurizio e Nadia stavano alando la catena, che la manovrabilità di una barca con l’ancora a picco piantata nel fango del canale fosse tale da scansarlo. O forse non pensava proprio, non guardava proprio, se ne fregava altamente. Tanto che invece di rallentare, di manovrare per tempo e sfilare di poppa, o almeno di chiedere scusa, ha fatto il pelo alla prua di Maurizio e Nadia e ha urlato loro, nel passare:<br />“Lookout!”<br />Come a dire: ho noleggiato, e sto esercitando, il mio sacrosanto diritto di essere un coglione, e quindi sta a voi controllare che nel mio esercitarlo non vi venga addosso per puro, ignorante, arrogante capriccio.</span><p></p>Carlo Perishttp://www.blogger.com/profile/01924708518801326577noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1755301731905751871.post-70736088932626740272022-10-03T12:04:00.000+02:002022-10-03T12:04:01.345+02:00Le regole di casa<p><span style="font-size: large;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-size: large;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg6jcRMaV4osR2zwm95gvoh8xpXsXdnMZk81YXfcirzHZmxIXWJmUrWSwBTA4Qm6AXLQfNTdr6am5PP-Ebgp-jUgpRSw1LMOU-dXQLoQKJ3raU82fCV2K3CWLvaqkUkpgOLUY2jSkNOJxdpTl6xaBfovF-r0Y01D9ms9oUYO7XU3Pp29RvagtIhqHE5/s3648/IMG_20220927_105849.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="3648" data-original-width="2736" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg6jcRMaV4osR2zwm95gvoh8xpXsXdnMZk81YXfcirzHZmxIXWJmUrWSwBTA4Qm6AXLQfNTdr6am5PP-Ebgp-jUgpRSw1LMOU-dXQLoQKJ3raU82fCV2K3CWLvaqkUkpgOLUY2jSkNOJxdpTl6xaBfovF-r0Y01D9ms9oUYO7XU3Pp29RvagtIhqHE5/w300-h400/IMG_20220927_105849.jpg" width="300" /></a></span></div><span style="font-size: large;"><br /><span style="font-family: georgia;"><br /></span></span><p></p><p><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;">Ieri pomeriggio, a Poros, ho osservato per mezz’ora buona (mezz’ora, davvero, senza esagerazione) le evoluzioni di un charter israeliano di cinque persone, tre maschi e due femmine. Al timone un tipo pelato con gli occhiali tondi cercava di puntare la barca verso la banchina alla nostra sinistra e di metterla in linea prima di calare l’ancora. Ma la barca puntualmente si traversava prima che potesse dare il comando al prodiere. E lui ripartiva daccapo, tra lo sconforto suo e del suo equipaggio. Il prodiere, anzi, apertamente faceva gesti che nessuno, seppure da lontano, avrebbe potuto esimersi dal tradurre come “E che coglioni questo! Ce la farà a portarmi in banchina?”. Costui avrebbe probabilmente calato l’ancora a cazzo, anche sopra le nostre - la mia e quella di Maurizio e Nadia, che sono qui accanto a me in attesa di alare la barca - pur di arrivare alla sua senz’altro meritata birra. Ma il pelato era un tipo puntiglioso, e voleva che la sua manovra fosse quella corretta. Dopo un po’ che lo vedevo provare e riprovare, poverino, l’iniziale fastidio, trasformato in moderato dileggio, si è trasformato prima in pena e poi in aperta simpatia. </span></span></p><p><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;">È finita che si è avvicinato abbastanza (pericolosamente) alla mia prua perché potessi parlargli, gli ho consigliato di pensare solo all’ancora, perché una volta calata quella con la barca avrebbe potuto far ciò che voleva, e gli ho dato indicazioni per farlo alla mia sinistra, libera dalla mia catena. Mi ha ascoltato, ha accettato le mie indicazioni, e dopo neanche due minuti era in banchina a ringraziarmi.<br />Questa premessa per affermare con cognizione di causa che i charteristi non sono tutti da passare per le armi. La coppia norvegese che ha sostituito poco fa gli israeliani, per esempio, è gente di mare: si vede dal modo in cui si sono tonneggiati sulle cime, dai gesti con i quali hanno dato loro volta, ma anche dal semplice fatto che sono passati qui davanti, hanno valutato le possibilità e poi, vistomi in pozzetto, mi hanno fatto un cenno per avvertirmi, educatamente, che avevano deciso di piazzarsi al mio fianco.<br />Non sono tutti come i tedeschi che alle tre di notte hanno spedato mezzo porto di Perdika la scorsa settimana, sotto la pioggia, per colpa di 15 nodi al traverso. E neanche come i russi che stanno metodicamente sterilizzandosi il fegato a due barche da me, che dopo aver messo l’ancora sono arrivati in banchina, ci si sono appoggiati con due grossi parabordi e hanno mollato dieci metri di catena. Li hanno mollati, non recuperati, tanto che ora il calumo va giù in verticale sotto la prua. Tanto li tengono i parabordi. Vorrei esistesse un dio che gli piazzasse 10 nodi al mascone di dritta stanotte: è in occasioni come queste che sento il peso psicologico, la solitudine, il senso di impotenza, del mio agnosticismo.<br />La storia di oggi però non è sui charteristi, sulle loro barche esagerate (i norvegesi hanno un 37’, a ulteriore riprova del loro valore), o sui loro catamarani a finta vela dai motori fumanti e generatori instancabili. Per una volta loro non c’entrano, anzi.<br />Gli israeliani, partendo, mi hanno lasciato acqua nella colonnina. Qui funziona che passa una tipa con delle chiavette, tu gli dai cinque euro e lei cinque euro ti carica su uno dei rubinetti in banchina. La chiavetta è prepagata, e potresti comprarla anche tu, in comune, ma dovresti lasciare un deposito, e poi riprenderlo indietro nel consegnarla alla tua partenza: una rottura di palle per chi sta qui solo mezza giornata. Se però stai qui più tempo, ogni volta che cambi posto puoi recuperare il tuo credito nella chiavetta e spostarlo poi, a tuo piacimento, quando vuoi, in un’altra colonnina, E quando finisce il credito vai in comune e ne carichi altro.<br />Insomma, gli israeliani avevano comprato, e pagato, cinque euro di acqua, e avendone usata solo uno e spicci hanno lasciato a me il residuo. Io sono sceso col mio tubo, l’ho attaccato, e mi sono preparato per lavare il fiocco pesante, che volevo piegare e riporre: sono arrivato nel Saronico ormai, e non ho intenzione né previsione di bolinare di nuovo contro 25 nodi, di qui a fine mese.<br />Fin qui tutto bene. Peccato che è passata la tipa del porto, quella degli ormeggi e delle chiavette, e si è incazzata. Secondo lei ero un ladro perché stavo utilizzando acqua che non avevo pagato. Le ho spiegato i fatti (anche se non ci sarebbe stato nulla da spiegare) e lei ha sostenuto che non sapeva se davvero i miei vicini mi avevano lasciato l’acqua: l’avrebbero dovuto dire prima a lei. Mi ha fatto l’esempio di un ristorante: “Non ti darebbe fastidio se io, ristoratore, dessi a qualcun altro il vino che tu hai pagato?”<br />Lì per lì le ho risposto che il problema sarebbe stato igienico, se la bottiglia fosse già aperta, e quindi l’esempio non calzava. Poi le ho provato a spiegarle le basi legali del commercio.<br />Tu hai un bene, lo vendi, non è più tuo. Io lo compro, è mio. Quel che succede dopo riguarda me, non più te. Il mio vicino ha comprato cinque euro di acqua, tu glieli hai venduti: non sono più tuoi. Se avesse voluto avere indietro il suo credito residuo, avresti comprato indietro l’acqua (risposta: “certo che no”)? E allora l’acqua che rimane nella colonnina non è più affar tuo, ma solo dell’israeliano. Se la lascia lì, se non la consuma tutta lasciando aperto il rubinetto la notte o riempendone i gavoni sotto il divano, sono cavoli suoi. L’ha lasciata a chi la usa, una sorta di "caffè sospeso", non certo a te che già hai avuto una volta i tuoi soldi. <br />Ma niente, non ha voluto capire. “Le regole a casa mia le faccio io”, ha sostenuto. Come se fossimo in Arabia Saudita, o nell’Inghilterra di Giovanni Senza Terrra prima del 1215. Ovvero dove, e quando, non solo le regole le fai tu come vuoi tu, ma valgono solo per gli altri: tu puoi far come vuoi, senza dover rendere conto a nessuno.<br />Per farla breve, abbiamo litigato, poi lei mi ha detto di usare l’acqua ma che fosse l’ultima volta (pare infatti che questa faccenda le capiti di continuo: e grazie al cazzo), e io sdegnato mi sono ripreso il tubo commentando “Non mi serve la tua acqua” ma poi invece mi serviva e quindi l’ho riattaccato dopo aver di nuovo discusso con lei e aver concluso che avremmo dovuto parlare ancora della questione, ma fuori dell’orario di lavoro. Quindi ho lavato le vele, ho messo a mollo il bucato, e prima che potessi risciacquarlo lei è passata di nuovo e di nascosto mi ha chiuso l’utenza intascandosi - ovvero fregandosi, rubandomi - i tre euro di acqua avanzati. Perché questo è quello che fanno: la cresta sull’acqua. Ti vendono cinque euro di credito, e quello che non consumi lo recuperano sulla chiavetta e lo rivendono. È come se tu, ristoratore, mi vendessi del vino, mi impedissi di offrirlo ai miei vicini di tavolo, e quello che mi avanza te lo riprendessi e lo rivendessi nuovamente (lo stesso, già pagato, già alienato) proprio al mio vicino, che ha visto tutta la scena. Credo ci sia un termine legale ben preciso per questa pratica, e se avessi tempo da perdere interrogherei volentieri sull’argomento la polizia locale.<br />Nel caso foste preoccupati per le mie lenzuola: per risciacquarle ho usato l'acqua di Maurizio e Nadia, e peccato che la bionda delle chiavette non fosse in zona perché avrei voluto vedere la sua reazione al casino che sarebbe scoppiato nel caso mi avesse ripreso: ho sentito Maurizio vantarsi di essere in grado di farne parecchio, all'occorrenza.<br /></span></span></p><p><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;">Ma non finisce qui. Anche il catamarano a fianco ai norvegesi è partito, lasciando ai due ragazzi acqua e luce pagata, come è normale che sia. Io li ho avvertiti, ho consigliato loro di rendere ufficiale il passaggio della proprietà del credito rendendo testimonianza alla bionda del porto, ma lei non c’era e ora loro sono comunque attaccati alla colonnina. <br />Sono in curiosa attesa di sentire le prime urla.</span></span></p>Carlo Perishttp://www.blogger.com/profile/01924708518801326577noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1755301731905751871.post-40258064172404807152022-09-27T18:59:00.003+02:002022-09-27T18:59:54.442+02:00La domenica del gommista<p><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;"></span></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhSLpuPJuCQAyUfhzFHYxkQdxCVHoYdaA2-EHtdP6pL9PwZ5966Ccx31xZAZQjZO58Xv4t4h25FuK7znCDrZtu2WLOqw9KMJ45AMffatJO090OUVu88P_ll-QoEwr1mfm4wg4uV-UCoy9T-YqhkkNap6pspX76_RW1msh-d_cy1uM84WmhPg7IAKA9c/s5120/IMG_20220925_112115.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="3840" data-original-width="5120" height="480" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhSLpuPJuCQAyUfhzFHYxkQdxCVHoYdaA2-EHtdP6pL9PwZ5966Ccx31xZAZQjZO58Xv4t4h25FuK7znCDrZtu2WLOqw9KMJ45AMffatJO090OUVu88P_ll-QoEwr1mfm4wg4uV-UCoy9T-YqhkkNap6pspX76_RW1msh-d_cy1uM84WmhPg7IAKA9c/w640-h480/IMG_20220925_112115.jpg" width="640" /></a></span></span></div><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;"><i>Premessa: nessuno si è fatto male, nessun danno registrato. Mi sono ritrovato a fare l’equilibrista tra le prue di due barche, tra cui la mia, a dare ordini in inglese misto a greco, a sbrogliare ancore e catene, e me la sono cavato in dieci minuti scarsi. Niente di nuovo, niente di eccezionale. A parte che non sono nel porto di Lipsì, e nemmeno a Poros e nemmeno a Egina. Non sono in porto: sono in baia.</i></span></span><p></p><p><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;">A Kolona siamo arrivati ieri sera, sul tardi, troppo tardi per i miei gusti. Nonostante questo, però, abbiamo avuto tempo e luce a sufficienza per scandagliare il tratto di baia libero, quello dietro a tutti, verso la chiesetta, e di scegliere una buona chiazza di sabbia per calare l’ancora. L’idea era, ed è, è rimanere fuori dal casino quando, stasera, il vento girerà di 180 gradi e tutti ruoteranno sulle proprie ancore.<br />Qui dietro, vuoi per i fondali risicati - fortunatamente in tanti pensano che 3-4 metri lo siano - vuoi per l’effetto pecora - se non c’è nessuno vuol dire che il lupo nero s’incazza e ti mangia se ti ci metti tu - siamo rimasti soli. C’è una “prateria” sconfinata lungo tutto il tombolo e poi dietro, a sud, verso le rocce. Quasi una baia nella baia. Che rimane ancora oggi deserta e dimenticata anche con il costante e regolare arrivo dei charteristi vomitati ieri pomeriggio da Lavrio. Catamarani, ovvio. Perché ormai se non hai un catamarano di non è Grecia. E il 42 è da poveri.<br />Eppure, quando arriva il primo gommone domenicale, tra tutti gli ettari liberi di baia il tipo sceglie di calare la sua Bruce proprio sulla mia stessa chiazza di sabbia. Un paio di metri a sinistra della mia Delta, giudico a vista.<br />Non contento, indietreggia di una decina di metri, sempre alla mia sinistra, incurante della direzione del vento, e cala un’ancora anche a poppa. Poi spegne i motori e, senza mai aver guardato nella mia direzione, accende la musica. Gli amici si tuffano, la tipa si appecora per togliersi prima i pantaloncini da sopra il costume, e poi il costume dalle chiappe, fanno foto. A cinque metri dalla mia prua.<br />Pigramente osservo gli eventi, rimandando mentalmente il momento in cui mi infilerò la muta e andrò a farmi una pescata di là dall’isolotto. Non dico nulla, perché in efffetti il vento è poco, e loro sono quasi interamente di gomma. E poi non voglio annoiare Daniele, che mi accompagna da più di una settimana in questo viaggio di ritorno dal Dodecaneso al Saronico, con le mie lamentele da anziano paranoico con manie territoriali NOMA***.<br />Spero, in silenzio, non mi tirino via l’ancora, per non dover accendere il motore e rifare manovra, ma in fin dei conti abbiamo tutta una giornata di attesa prima della traversata di domattina, e niente da fare. A parte ora scrivere, intendo.<br />Quando i metri diventano tre il tipo e la tipa continuano a mostrarci il culo agitato a ritmo di musicaccia da spiaggia internazionale, che per carità, ha sempre il suo perché - il culo intendo. Io cerco di scattare qualche foto che renda l’idea del deserto attorno a noi e dell’assurda vicinanza cui il gommista (lo chiamo così per rispetto con quelli che il gommone lo sanno usare davvero) gratuitamente ci costringe. Salgo anche sull’albero. E mentre sono su all’altezza delle crocette i metri diventano due, poi uno... fino a che, casualmente, ops! la portatrice sana di culo si volta, prende coscienza della nostra sorprendente esistenza, e richiama l’attenzione del portatore sano di gommone. Forse è solo infastidita dalle macchie di ruggine sul mio musone, ormai all’altezza dei suoi occhiali da sole griffati. Colpa della catena turca farlocca la cui zincatura è evaporata in due anni di utilizzo: in effetti danno fastidio a molti, in foto.<br />Il gommista fa quello che farebbe chiunque non abbia idea di come gestire la cazzata dove si è infilato (del resto se sai gestirla, di solito, sai anche come non infilartici): accende il motore prima del cervello e cerca </span></span><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;"><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;">freneticamente </span></span>di allontanarsi in retro. Io nel frattempo scendo e mi avvicino al luogo dello scontro per ammansirlo. Non lo insulto neanche, gli faccio anzi i complimenti per la scelta dell’ancoraggio. Lui non risponde, non sorride, non chiede scusa, non mostra imbarazzo: insiste solo nel cercare di andarsene dopo aver tirato su con l’ancora di poppa un cespuglio di posidonia abbastanza folto da sfamare un banco di salpe per un mese. Ma non se ne può andare. <br />Perchè, scopro tra il divertito e lo spallato, la sua Bruce ha agganciato la mia catena. Ettari ed ettari di mare libero, e questo glabro, bianchiccio e sprovveduto ragazzo greco, cui la sorte e il papà hanno messo in mano un gommone di otto metri con 450 cavalli distribuiti su due fuoribordo, sei amici e una ragazza che finalmente vedo di faccia mentre la ascolto chiedere piagnucolosa “Ti kanume tora?”, è riuscito nella improbabile impresa di agganciare la mia catena. Se ci avesse provato apposta, dubito avrebbe avuto successo.<br />Perché il gommista, oltre a pretendere di ancorare a dieci metri da me nonostante centinaia di metri liberi di </span></span><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;"><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;">baia </span></span>altrettanto bella, oltre a scegliere la mia stessa chiazza di sabbia, oltre a non vedere, su tre metri e mezzo di acqua, la mia Delta giallo canarino con tanto di sugherino rosso a mezzo metro dal diamante, oltre a indietreggiare sul calumo non seguendo il vento perché, se l’avesse seguito, mi sarebbe venuto addosso subito, oltre a calare la seconda ancora a poppa bloccando la sua ruota e impedendo la mia, aveva tirato giù a dir tanto cinque metri di catena, contati dal musone.<br />E poi quando fai il NOMA ti danno dell’anziano paranoico.</span></span></p><p><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;"> </span></span></p><p><i><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;">***</span></span></i><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;"><i><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;">“Not On My Anchor”, coniato da me medesimo un paio d'ore fa. Ma il mondo è grande e non ho googlato, magari non mi sono inventato nulla.</span></span></i> </span></span></p><p><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;"><i><span style="font-size: large;"></span></i></span></span></p><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;"><i><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjk5bB2uNJhP1IaminLmEJyMw_u-ewUCRiL-Ij2_YNFWb-Kxtg0BGd4CY15oo9mrREm6vgawOy-5bhXBiphTRwnH56S_QaBAue_GKZP7RIG1SrHZ_y48-ZfS8WRUNF9p-LhEPAlTubVGQ0tmi8iJF3dOVp3p2my7QRRsah-QHur3Lj6Bh1DQOJ1RqvY/s5752/IMG_6712%20(2).JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2862" data-original-width="5752" height="318" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjk5bB2uNJhP1IaminLmEJyMw_u-ewUCRiL-Ij2_YNFWb-Kxtg0BGd4CY15oo9mrREm6vgawOy-5bhXBiphTRwnH56S_QaBAue_GKZP7RIG1SrHZ_y48-ZfS8WRUNF9p-LhEPAlTubVGQ0tmi8iJF3dOVp3p2my7QRRsah-QHur3Lj6Bh1DQOJ1RqvY/w640-h318/IMG_6712%20(2).JPG" width="640" /></a></div><br /><span style="font-size: large;"><br /><span style="font-family: georgia;"><br /></span></span></i></span></span><p></p>Carlo Perishttp://www.blogger.com/profile/01924708518801326577noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1755301731905751871.post-52988158067354827432022-09-14T22:18:00.000+02:002022-09-14T22:18:26.578+02:00Colpa di Roberto<p><span style="font-family: georgia;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: georgia;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjIrVFCPADl5WoXHkEHVNY8nY5ErM2LosoCu5WfS9sOrb_a8aneGNFJY6D7ksS6So68wfHGkqXDZV5kdQyus_j3WdErJt0bkDLNsglI5yPYUTyxt7YuJIBvvfHaGjWR76uIs9LEi1AYpuZeytu633ZyX-i5I-_d00WwrRT0WylgR-LmaJBLvefHhXZQ/s5120/IMG_20220912_180330.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="3840" data-original-width="5120" height="480" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjIrVFCPADl5WoXHkEHVNY8nY5ErM2LosoCu5WfS9sOrb_a8aneGNFJY6D7ksS6So68wfHGkqXDZV5kdQyus_j3WdErJt0bkDLNsglI5yPYUTyxt7YuJIBvvfHaGjWR76uIs9LEi1AYpuZeytu633ZyX-i5I-_d00WwrRT0WylgR-LmaJBLvefHhXZQ/w640-h480/IMG_20220912_180330.jpg" width="640" /></a></span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;">Sono almeno cinque giorni che le previsioni, costanti e regolari, preannunciano per oggi l’arrivo di forte meltemi. Mentre io e altri venti deficienti siamo arrivati in porto per tempo, e siamo qui da ieri, tu arrivi oggi, anzi, oggi in serata, perché non potevi certo perdere uno dei tuoi preziosi giorni di noleggio fermo in banchina. <br /></span><span style="font-family: georgia;">Già il porto non è il massimo, si balla anche da questa parte, ma oltretutto - ovviamente - i posti migliori sono ormai andati da tempo: anche così però tu scegli il peggiore, nel porto peggiore dell’isola peggiore, con questo vento che già si sapeva sarebbe arrivato. </span></span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;">Arrivi, scrivevo, e ti metti sopravento centrale al molo, cali l’ancora a cazzo e vieni in banchina ululando ordini misteriori e contraddittori. I tuoi clienti/amici/equipaggio o chiunque essi siano, li mandi tutti a terra a fare spesa, in modo che quando l’ancora speda, perché ti ricordo che l’hai messa a cazzo e nonostante il vento al mascone non te ne sei curato, non hai nessuno che ti aiuti. E hai noleggiato una barca troppo grande per poter fare da solo, qui in Egeo, con venticinque nodi (preannunciati da giorni) al traverso su un molo sopravento di un porto che già con 15 nodi da ovest io potendo scegliere eviterei. Quindi, disancorato, ti spiaggi clamorosamente e rumorosamente sulla barca sottovento. Non contento, quando finalmente qualcuno dei tuoi torna a darti una mano, gli fai mollare la cima sbagliata e ti ritrovi col bimini incastrato sul bompresso del tuo vicino. Circo con acrobati e animali esotici per liberarti: rompi tutto, esci fuori a malapena, tiri su l’ancora zigzagando sulle catene e le bestemmie altrui, cerchi di infilarti nei posti riservati ai pescatori, ti fai cacciare. Il tutto ululando ordini misteriori e contraddittori.<br /></span><span style="font-family: georgia;"><span>Ed ecco che tua moglie, che ti sei dimenticato a terra nella fretta di scappare, si rende conto che tutto il molo commenta la tua persona definendoti nella babele linguistica che lo caratterizza un <i>incompetente</i>. E allora si inalbera e ti difende, urlando indignata che sono venti anni che girate per la Grecia e significherà pure qualcosa (perché la competenza è come i bollini della CONAD, completata la tessera punti te la danno come premio fedeltà) e che non è colpa tua se c’è vento e se l’ancora non ha tenuto e se non avevi equipaggio sufficiente e se la barca è troppo grossa e se hai ritirato prima la cima sopravento schiantandoti sul tuo vicino sottovento il cui unico torto è stato quello di essere arrivato lì prima di te o forse di esistere tuo malgrado.<br /></span></span><span style="font-family: georgia;"><span>E di chi cazzo dovrebbe essere la colpa, di Roberto***?</span></span></span></div><p></p><p style="text-align: left;"><span style="font-family: georgia;"><span style="font-size: large;"><br />***Quella di Roberto è un’altra storia. Basterà sapere che quando lui è presente - e a volte anche in sua assenza - c’è chi giura sia sempre e tutta colpa sua.</span></span></p><p style="text-align: left;"><span style="font-family: georgia;"><span style="font-size: large;"><br /></span></span></p><div style="text-align: left;"><span style="font-family: georgia;"><span style="font-size: x-small;"><i>Ps: la foto è di un altro giorno, e di un altro episodio. Da queste parti ci sono spettacoli circensi h24. </i></span></span></div>Carlo Perishttp://www.blogger.com/profile/01924708518801326577noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1755301731905751871.post-30975883435679842642022-09-02T13:53:00.002+02:002022-09-02T13:53:58.882+02:00 La fuga di Pino<p><span style="font-size: large;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-size: large;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEil60EkT8CSbXGy-yN83f5kfD_jcDLWTGGmC6H71cDw9Z93IDooK3sEDQceiyxZXbDab-HcsQSsF3mwJyUeJNPX4U1MgyZhBTk9wsSce0EjDfhuaWLht4W1fFbh6ouR2zezhRw9scBji3O7HCL8lMbQzw9wPwZaplEGKaGJdCkp-9T_ll7v9fJiUzH8/s3648/IMG_20220811_202115-01.jpeg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2736" data-original-width="3648" height="300" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEil60EkT8CSbXGy-yN83f5kfD_jcDLWTGGmC6H71cDw9Z93IDooK3sEDQceiyxZXbDab-HcsQSsF3mwJyUeJNPX4U1MgyZhBTk9wsSce0EjDfhuaWLht4W1fFbh6ouR2zezhRw9scBji3O7HCL8lMbQzw9wPwZaplEGKaGJdCkp-9T_ll7v9fJiUzH8/w400-h300/IMG_20220811_202115-01.jpeg" width="400" /></a></span></div><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;"><br /></span></span><p></p><p><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;">“Il dinghy sta scappando,” sento la mia voce proferire, il tono eccessivamente tranquillizzato dal secondo bicchiere di ouzo Matis di Mitylini. Attorno a me MaLa, Thais e Giuseppe, anche loro in piena degustazione delle bottiglie riportate dal nostro recente viaggio a Lesbo.<br />Pino, il tenderino, aveva sciolto il nodo con cui il sottoscritto lo aveva costretto alla Duna pochi minuti prima, e complici le raffiche di vento del tardo pomeriggio stava cercando di allontanarsi di soppiatto, in silenzio, timidamente, lento fino ad essere quasi immobile, senza attirare l’attenzione. Probabilmente l’avevo notato solo perché rilassato dal Matis.<br /><i>Ah, beh, sì. Se ne sta andando, se ne va, se n’è andato</i>, la voce del Responsabile della Sicurezza che alberga nel mio cervello e si alterna ai turni di guardia con il Bevitore di Ouzo suggerisce. Il Bevitore di Ouzo si toglie gli occhiali e si avvicina al bordo della barca per tuffarsi. <i>Hai controllato di non avere il telefono in tasca? </i>ricorda il RdS. Sì, ho controllato. E faccio per buttarmi in acqua, con assoluta controvoglia. Pino è a 20 metri.<br />“Io volevo comunque farmi il bagno, se vuoi vado io” propone sul più bello Giuseppe, interrompendo il mio slancio. BdO tira un sospiro di sollievo, e finge di non sentire la fastidiosa voce del RdS (<i>Non ti fidare, non ti fidare</i>). Mi risiedo.<br />Giuseppe però deve cambiarsi, mettersi il costume. Quando finalmente parte al salvataggio, Pino è a 30 metri e, rotti gli indugi, smette di fingere e accelera, ufficialmente in fuga.<br />Le prime bracciate di Peppe sono possenti, veloci. Esattamente come Pino.<br />Non ce la farà, stai per perdere il tender nuovo di pacca. <i>Non saprai nemmeno come riportare a terra i tuoi amici: </i>non mi vuole proprio lasciar godere il mio Matis, il Responsabile della Sicurezza. <br />Prendo le pinne, sputo nella maschera, e scruto Giuseppe, che ora nuota con meno entusiasmo, e Pino. La distanza tra i due mi sembra assolutamente costante.<br />“Ce la farà? Tu che lo conosci cosa ne pensi?” chiedo a Thais. Perché lanciarmi all’inseguimento, oltre a una grossa rottura di palle, corrisponde anche a dichiarare ufficialmente che non ho fiducia in Giuseppe. Tra maschi Sapiens di fronte a donne della stessa specie può portare a situazioni antipatiche. Ma ancora più antipatico sarebbe lasciar scappare Pino. E poi Giuseppe lo conosco da un’ora scarsa, magari è uno di quei rari Sapiens che non competono perennemente sulla lunghezza vero o presunta del proprio pene.<br />“Non lo conosco così tanto, non saprei,” la risposta. Nello stesso istante Giuseppe smette di nuotare a stile libero e passa alla rana. Il gommoncino è a 200m buoni da me. Forse 50 da lui. Non ho scuse, non ho scelta: mi tuffo e comincio a nuotare.<br />Bracciate decise, pinnate potenti. E le mutande che scivolano in basso scoprendomi il culo. <br />“Devo coprirmi, sono ridicolo” il sensibile e timido Bevitore di Ouzo.<br /><i>Non hai tempo per coprirti, zitto e nuota, </i>e io obbedisco e nuoto.<br />Nuoto, nuoto, nuoto. Respiro ogni sei bracciate. Poi ogni quattro. Ogni due. Nuoto nuoto, con l’ouzo che va veloce in circolo e l’alcol che viene bruciato a ritmi esagerati, il rumore delle sinapsi che scoppiano come millebolle nelle mani di un ragazzino ipercinetico. Non penso più, non parlo più. Sono il RdS che spinge un corpo non suo a prestazioni al limite della sincope.<br />Nuoto, nuoto. Sono nel centro della baia, non vedo più il fondo, sta facendo buio, Pino è ancora lontano, ma forse un po’ meno.<br />Respiro ogni due bracciate, affannato. Provo a spingere di più con le gambe, ma i muscoli protestano. Provo a tirare di più con le braccia, ma mi manca il fiato.<br />Pino è diretto sullo spigolo della baia. Una raffica sbagliata, un soffio di corrente maligna, e prenderà il largo verso Lipsì. E, mi rendo conto senza smettere di spingere, io di nuotare indietro fino alla barca non ho le forze: ho passato il punto di non ritorno. Devo recuperare Pino. Accelero ancora, memore delle volate delle piste di atletica, sentendomi come gli opliti di Maratona nella corsa senza ritorno degli ultimi 300 metri, quelli coperti dalle frecce persiane. Cazzo avrei dovuto tirar su l’ancora e inseguirlo con la Duna. Ora rischio anche di affogare nella dolce notte estiva di Patmos. Nuoto.<br />Alzo di nuovo la vista e mi viene quasi da piangere dalla commozione. Giuseppe è a 50 metri da me, immobile. E dietro di lui Pino. Lo ha catturato! Posso riposarmi, verrà lui a riprendermi! Mioddìo che sollievo, i muscoli che si fermano, si rilassano. E poi una folata di vento cambia la prospettiva: Giuseppe è fermo in mezzo al mare, spossato, rinunciatario, anche lui consapevole che non è possibile tornare a nuoto. E Pino dietro a lui, ancora in fuga.<br />Di nuovo giù: gambe e braccia, respiro affannato. L’ouzo è evaporato lasciandomi una patina biancastra in bocca. O forse è la schiuma dello sforzo. Nuoto, nuoto, il tender si avvicina. Devo resistere alla tentazione di rallentare, è vicino agli scogli a all’uscita della baia e devo recuperarlo ora.<br />Nuoto, nuoto, respiro dopo respiro, bracciata dopo bracciata. Da un momento all’altro dovrei vederlo senza alzare la testa fuori dall’acqua, senza rallentare. Anzi, lo vedo, eccolo, alzo il braccio e mi appendo. Ce l’ho!<br />Mi tiro a bordo a fatica, e giaccio assaporando il mio successo come Filippide in attesa della morte, per lunghi interminabili minuti. Poi mi faccio violenza costringendomi a tirarmi su seduto.<br />È quasi buio, e miope come una talpa devo tenermi la maschera graduata per vedere qualcosa. È appannata, la sciacquo e mi guardo intorno: le rocce sono a pochi metri, Duna un puntino minuscolo a nord ovest. Giusepppe invece non riesco a vederlo. Troppo lontano, immagino. Certo non posso rischiare di lasciarlo qui, ma se non lo vedo l’unica possibilità è remare indietro, prima o poi lo incontrerò.<br />Remo, e ogni dieci vogate mi fermo e mi giro a cercare nel mare che si fa sempre più nero. Remo, remo, scruto, e infine un grido mozzato sulla mia sinistra: eccolo. Lo raggiungo a fatica, lui sale a bordo e si stende come me pochi minuti prima, la schiena appoggiata allo specchio di poppa. Riesce perfino a mormorare uno “Scusa, pensavo di farcela” a cui io ripondo con un sincero “Lascia perdere, senza pinne questi cosi vanno via troppo veloci, nelle raffiche” memore anche che il tutto parte da un nodo fatto male da me medesimo. <i>Fatto dal Futuro Bevitore di Ouzo</i>, specifica il Responsabile della Sicurezza, ancora in carica nell’assenza totale del primo.<br />E quindi remo, remo, respirando ed espirando a ritmo. Remo controvento, controvoglia, con la barca sempre lontana nella sera e Giuseppe che con un cenno spossato della mano, ogni tanto, mi indica come correggere la rotta.<br />Remo, remo, questo ritorno in tender è ancora più lungo dell’andata a nuoto. E il cuore batte ancora più forte, e i polmoni cercano ancora più aria. Remo, remo, e ogni volta che mi giro Duna sembra oltre le mie possibilità.<br />“Ora che arriviamo ci danno una bicicletta, così completiamo la gara” riesco a scherzare, ma siamo troppo stanchi perfino per ridere.<br />Con il fiato corto, la bocca secca, i polmoni affamati, il cervello un’unica crudele macchina il cui unico scopo è costringere i muscoli a lavorare oltre lo sfinimento, riesco dopo un tempo infinito ad avvicinarmi alla poppa della Duna. Giuseppe scende, io lego Pino con un nodo in più, agganciando anche il corrente avanzato nella bitta. Poi rimango ancora sulla panca, a prendere fiato e a sputare bava schiumosa.<br />Infine risalgo a bordo. La cena è pronta e la tavola apparecchiata: carpaccio di tonno appena pescato, spezzatino dello stesso animale, olive, formaggio fresco. E tanto, tanto ouzo.<br />A questo punto il Responsabile della Sicurezza, novello Cincinnato, prova a tirarsi indietro richiamando alla coscienza il Bevitore.<br /><i>Hey, è il tuo momento. Ho sistemato tutto e sarei anche un pochino stanco, alla serata pensaci tu.</i><br />Ma il Bevitore di Ouzo non risponde. Sfinito forse dalla vergogna, forse dallo stress, o forse consumato come fonte energetica di emergenza negli spasmi estremi del recupero.<br />E niente: è toccato al Responsabile della Sicurezza ubriacarsi.</span></span></p>Carlo Perishttp://www.blogger.com/profile/01924708518801326577noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1755301731905751871.post-70206704541412349842022-08-27T15:25:00.000+02:002022-08-27T15:25:11.466+02:00L’unico post dell’anno?<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhtsUF3ZLvfOK9bXuZKKXm1bcZ90p4AGCv_yhhMTuJ9NYad3QOO4yOzCNO5YxBXPXTokFRkx7hqsF7hGJD9xiGiwboBRa1i3gEH2WZQfSkiYaJJ9VFOhPUtLR2KBP2S9vUV5uMRAf3bwfouxStfZqQ_eGVUzi0WGjcQ-EM0RLBGIEmU7HTbXODvqXQ9/s4491/IMG_20220827_161911.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="3369" data-original-width="4491" height="480" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhtsUF3ZLvfOK9bXuZKKXm1bcZ90p4AGCv_yhhMTuJ9NYad3QOO4yOzCNO5YxBXPXTokFRkx7hqsF7hGJD9xiGiwboBRa1i3gEH2WZQfSkiYaJJ9VFOhPUtLR2KBP2S9vUV5uMRAf3bwfouxStfZqQ_eGVUzi0WGjcQ-EM0RLBGIEmU7HTbXODvqXQ9/w640-h480/IMG_20220827_161911.jpg" width="640" /></a></div><br /><p><br /></p><p><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;">Un mio amico mi ha chiesto, proprio l’altro giorno, se avessi abbandonato questo blog. Gli ho risposto “certo che no”, per poi subito dopo ritrovarmi a fornire scuse per non avere, in effetti, pubblicato nulla negli ultimi mesi.<br />Perché, mi sono reso conto, quasi l’intera estate è scivolata via senza che io abbia raccontato nulla di me, o di lei.<br />Eppure di avventure ne abbiamo vissute. Dal cantiere di Limni a Orei, alle Sporadi, a Sithonia nella Calcidica, e poi Athos, e tutto il golfo fino ai luoghi che videro Aristotele fanciullo. E Thassos, e Samotraki. Limni, poi, e Lesbo e infine Psarà. Il tutto accompagnato da amici, a bordo e ancora di più fuori: incontrati nei porti e nelle rade, accompagnati in traversate, sentiti per telefono o seguiti su internet. Una comunità diffusa che esiste e resiste nonostante sia ormai palese che, come già scrivevo lo scorso anno, le praterie sconfinate si siano ridotte a poche isole, pochi moli. Nonostante tutto sia o stia per essere monetizzato, sfruttato, vandalizzato in nome dello “sviluppo”.<br />Ecco, sono già arrivato al punto. Di mio, mi limito a prendere atto che gli spazi di manovra si sono ridotti, che il tempo dei nomadi marini sta per finire, e ad approfittare degli ultimi scampoli di libertà, di umanità e di natura ancora a mia disposizione. I miei pochi lettori affezionati probabilmente mi capiranno, più o meno d’accordo col mio punto di vista.<br />Ma tanti altri storceranno il naso. Parte perché onestamente convinti che il mondo funzioni, e/o debba funzionare, secondo il concetto del produco/guadagno/pago/pretendo. Parte perché rosicano per la nostra scelta e (pur avendo più mezzi di noi) non hanno il coraggio di replicarla. E parte - i peggiori - perchè appartenenti alla genia di coloro per i quali quel che è di tutti non è di nessuno, e se non è di nessuno allora può essere loro, e se è loro hanno il diritto, ma che dico, il dovere di farlo fruttare. Dove per “farlo fruttare” intendo che la spiaggia deserta diventerà cemento, il suono delle onde discoteca, la baia un parco acquatico dove bruciare in adrenalina farlocca per umani annoiati ettolitri di carburante. Il viaggio sarà necessariamente veloce e indolore, come una corsa in metropolitana, così che i pochi giorni di vacanza siano un intenso, continuo venerdì sera, e passata la settimana sia altrettanto veloce e indolore lo sgombero dei portafogli ormai vuoti, a vantaggio dei nuovi - gonfi - in arrivo.<br />Costoro sono convinti che la loro personale ricchezza sia l’unico valore da conseguire nell’esistenza. E tutto il resto, sia questo costituito da persone, concetti, culture, ma anche albe tramonti e cieli stellati, siano al mondo solo per venire asserviti allo scopo.<br />Sarà stato il covid, sarà stato il populismo, saranno state le fake news, sarà stato forse internet e i social, oppure i miei anni che si accumulano e mi rendono più sensibile e al contempo spigoloso, ma questa gente sta invadendo ogni centimetro.<br />Il popolo del “se non puoi permettertelo restatene a casa”, che io nel mio immaginario associo, sbagliando di certo, a quello di “parlateci di Bibbiano” e di “e allora i Marò”. Di quelli che si lamentano degli altri solo perché non riescono ad uguagliarli in avidità ed egoismo. Di quelli che aprono tutte le bottiglie di latte della cambusa perchè “le ho pagate io e ci faccio quel che voglio”, preferendo che cibo buono vada buttato piuttosto che donato alla donna delle pulizie del Caribe.<br />Non ce la posso fare. So che quel che pubblico prima o poi finirà anche davanti ai loro occhi. E allora di pubblicare non ne ho più molta voglia. </span></span></p>Carlo Perishttp://www.blogger.com/profile/01924708518801326577noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1755301731905751871.post-66285635571208560492022-05-01T11:36:00.001+02:002022-05-01T11:36:10.164+02:00LaBora<p><span style="font-family: georgia;"></span><span style="font-family: georgia;"><span style="font-size: large;">Ho fatto una cazzata.<br />Di quelle che poi raccontano gli altri, su di te, terminando poi con “Chi sa poi perché l’ha fatto, non era da lui”. Invece ho avuto fortuna, e sono qui a raccontarlo io in prima persona, senza giustificazioni finali a risollevare la mia figura. Sono ancora vivo, e avrò spero altre occasioni per farlo. Sempre che abbia un senso.<br />Sono fuori casa per lavoro da tre settimane. Da due qui a Marina di Ravenna.<br />Sono tre settimane che mi alzo all’alba, scendo al porto sperando di trovare il bar aperto per un caffè - ancora non ho capito che orari faccia, il bar - arrivo in barca, monto i computer, collego i cavi, accendo il motore e aspetto il mio collega spagnolo.<br />Lui in realtà è Basco. A parte dal cappello, lo si può subito indovinare dall’aspetto alto e allampanato, duro e silenzioso, appena stemperato dal suo essersi ribellato in giovane età: scoperto il sole a Tenerife, durante gli anni dell’università, a prendere il freddo di Bilbao non c’è più tornato.<br />Ma il giovane ribelle si è laureato in oceanografia, e - seppure al caldo sole della Catalogna - è rimasto povero fino a quando, come racconta lui, “è passato al nemico”.<br />Il nemico ovviamente sono le compagnie petrolifere, le società multinazionali di lavori marini e subacquei. Lo stesso lato oscuro che finanzia spesso le mie misere casse da free lance.<br />Lui ha fatto anche il passaggio successivo: per essere ben sicuro del suo stipendio ha definitivamente venduto l’anima al diavolo e ha firmato un contratto da dipendente. Il che in questi ambiti non si discosta molto da una vera e propria compravendita di merce viva. La differenza con la tanto vituperata schiavitù è solo che vitto e alloggio - quando non sei in trasferta - sono a carico tuo.<br />E così il mio collega basco di Barcellona va in giro col marchio della sua azienda ben stampato su ognuno dei suoi brillanti e nuovi capi di abbigliamento tecnico. E io l’ho anche invidiato, per questo, dal basso del mio giaccone Beta strappato sotto l’ascella, delle mie scarpe da lavoro anonime, dei miei pantaloni da battaglia. Fino a che non ho capito che la sua non è altro che una divisa: non è un favore che l’Azienda concede a lui, ma il segno continuo e onnipresente della sua sottomissione. Non ha venduto il suo tempo, ma la sua vita.<br />A me capita di lavorare anche per diciotto ore di seguito, per alcuni giorni, in emergenza. Poi spengo il telefono e lo riaccendo quando dico io. Lui è a disposizione 24 ore su 24, giorno e notte, ogni istante della sua esistenza.<br />A me capita di non sapere quando verrò chiamato per il prossimo lavoro, di non poter programmare una cena, una scampagnata, una gita, un incontro. E mi angoscio quando non mi chiamano, prima di disperarmi perché mi hanno chiamato. Però dètto le mie condizioni, cerco un compromesso: sono io che decido i tempi. Tra un mese saluterò tutti e me ne andrò fino a ottobre in Grecia. Tra due giorni è Pasqua, e sarò a casa con amici e parenti.<br />Il mio collega di Bilbao, residente a Barcellona in una casa dove non abita mai, domenica prossima sarà qui a lavorare. O a non fare niente. O forse all’ultimo momento gli concederanno di tornare a casa, per un singolo giorno. Mancano due giorni, e ancora non lo sa. E già sono sicuro, come lo è lui, che non accetterà il mio invito e non mi raggiungerà con la sua donna in barca, né a giugno né a luglio né a settembre.<br />Immagino che lo paghino tanto. O comunque più di quanto pagano me. Ma non lo invidio neanche un poco. Tanto che ogni giorno che passa con lui allontano sempre più da me l’insana idea di accettare il posto fisso che una compagnia con cui ho collaborato lo scorso anno mi ha proposto un mese fa. Certo, lo stipendio. Certo, la pensione. Ma l’equivalenza tempo=denaro è valida solo in una direzione: è l’entropia, ragazzi. Tenetelo a mente o ci rimarrete male, quando vi renderete conto che i soldi, da morti, non compreranno la vostra felicità.</span></span></p><p></p><p><span style="font-family: georgia;"><span style="font-size: large;"><br />Tutto questo esagerato cappello, che forse meriterebbe un post a parte, per arrivare finalmente - forse - al punto.<br />Sono stanco, passo le mie giornate al timone evitando le navi, i rimorchiatori, le pilotine, i pescherecci, le barche a vela e le derive che affollano porto e avanporto. E al contempo a seguire la rotta e a riempire col fascio del multibeam a me affidato le aree dragate dalla Costa Luz, una bestia di 90 metri che costa ai suoi proprietari - pare - quarantamila euro al giorno. Io, la mia persona in relazione alla Costa Luz intendo, sono una caccola. Talmente una caccola che quando mi avvicino per trasbordare un tecnico, o le venti buste della cambusa per l’intero equipaggio, lei neanche si ferma. Continua a dragare, tra sbuffi di acqua e di fango, scarti improvvisi, ribollire di eliche di manovra. E se non reagisco in fretta e sfascio qualcosa sono cavoli miei.<br />Non dovrei, non sono qui per fare il taxi, ma le grandi compagnie internazionali sono efficienti e ciniche fino all’ultimo insignificante dettaglio. Se possono risparmiare venti euro facendomene rischiare ventimila lo fanno senza battere ciglio. E guai a rifiutarsi: finché non avranno pagato, coi loro modi e i loro comodi tempi, avranno loro il coltello dalla parte del manico. Non sono poi così libero come vantavo poco sopra.</span></span></p><p><span style="font-family: georgia;"><span style="font-size: large;"><br />Il vero punto non è però questo. Che io sia stanco è una scusa, una giustificazione che cerco di premettere all’ingiustificabile.<br />Questo sabato era una bella giornata. La mattina c’erano venticinque nodi di Garbino, che da sud ovest si incanalava lungo tutto il porto canale, alzando onde di mezzo metro nei bacini interni, ma c’ero ormai abituato. Con un po’ più di motore e un po’ più di manico si gestiscono manovre e rilievi e ormeggi anche con venticinque nodi.<br />E il benzinaio me l’aveva detto, venerdì: “Questo lo chiamano il vento dei pazzi, perchè fa uscire di testa le persone. Ma domani cambia, arriva la Bora. E allora sarà davvero brutto.”<br />Io avevo guardato le previsioni, e i venticinque nodi, con punte a trenta, da nord nord est invece che da sud ovest mi avevano infastidito ma non certo spaventato.<br />Alle sette di mattina ancora le previsioni: sempre sui tenta nodi di massima. Quindi dopo il mio turno mattutino, infestato dal Garbino, sono tornato in albergo e mi sono addormentato, approfittando delle poche ore a mia disposizione e temendo quello che poi in effetti sarebbe accaduto: il messaggio del mio collega basco, che mi annunciava che i suoi capi volevano una "rapida integrazione" nel pomeriggio.<br />I suoi capi vogliono sempre rapide integrazioni. Solo che per loro “rapido” è un avverbio che indica quando loro pretendono il risultato, e non ha alcuna proporzione con l’estensione delle aree che noi dobbiamo andare a rilevare per poterglielo fornire.<br />Il punto più lontano del porto, a cinque miglia abbondanti dal marina dove siamo ormeggiati, e lo vogliono per intero. <br />Bar, caffé, barca, computer, cavi, motore, collega basco. C'è il sole e i soliti 25 nodi di Garbino: partiamo. Mezz’ora di navigazione controvento e iniziamo a registrare i dati. Devo fare lo slalom tra le navi in ormeggio, schivando la schiuma dei rimorchiatori che le schiacciano ai moli mentre le gomene vengono cazzate a ferro.<br />A metà rilievo mi rendo improvvisamente conto che il vento è cambiato, ha girato di 180° tondi tondi: ce l‘avremo di prua anche a tornare all’ormeggio. Cel'ha fatta, dunque: è entrata la bora. Ma che sarà mai, venticinque-trenta nodi.... Continuo a fare su e giù per l'area di rilievo.<br />Passa un’ora, e di lontano, a nord lungo il canale, vedo avanzare un muro di pioggia che pian piano cancella ogni cosa, lasciando alla vista solo un minaccioso sipario grigio. Avverto lo spagnolo, chiudo gli oblò, rizzo le bombole e le altre attrezzature da sub che ho in pozzetto. L’acqua ci raggiunge e completiamo il rilievo sotto la grandine. Però siamo contenti, perché ora possiamo tornare in marina e quindi in albergo, e così facciamo.<br />Solo che il vento non è più venticinque trenta nodi: è aumentato parecchio, e sta aumentando ancora. Alza onda nel porto, onda corta che comincia a frangere. Devo diminuire la velocità, fare un po’ di zig zag, cercare riparo dietro le grandi navi mercantili ormeggiate ai lati. Ma la bora si incanala perfettamente, ed è impossibile sfuggirle. Proseguo a un nodo e mezzo, con l’elica che ogni tanto esce dall’acqua e il motore che va su di giri. Sono le cinque, rischiamo di arrivare con il buio.<br />Finito il rettilineo si apre davanti a noi una darsena. Il mare qui ribolle, rigira, si attorciglia. Le onde marroni sommergono la prua. “Andiamo a destra, saremo più protetti” mi fa il collega. Se c’è una cosa che ho imparato, da quando vivo e lavoro in barca, è che in queste situazioni le buone maniere vanno temporaneamente sospese. A terra avrei cercato un compromesso, avrei provato a fare come diceva lui per poi eventualmente giustificarlo mentendo: “Anche a me sembrava così”. Ma in mare no. A destra avrei i bassifondi immediatamente sottovento, mentre a sinistra sarò protetto dalla banchina alta, e dagli impianti della raffineria a terra. Senza neanche rispondere faccio di testa mia e vado a sinistra, e anche se con fatica la darsena passa. Nel rettilineo successivo il mare è meno mosso, tanto che piano piano mi azzardo a riguadagnare il centro del canale e poi, addirittura, ad accelerare. Viaggiamo ora a tre nodi e mezzo. Il marina, il nostro ormeggio sicuro, il nostro letto in albergo, sono sempre più vicini.<br />Passiamo anche la curva. Passiamo il taghetto, fermo al suo posto incastonato nella banchina. Passiamo la darsena pescherecci e il benzinaio (“NO, non ho intenzione di perdere tempo e rischiare danni per fare benzina, ci penseremo domani”, sono costretto a impormi), e devo spostarmi di nuovo a sinistra, sopravento, perchè sono tornate le raffiche e ho paura mi devino verso il cemento dei moli.<br />E infine i moli finiscono. Prima quello a nord, quello di sinistra, quello sopravento, per intenderci. Perché cavolo il braccio Nord sia più corto del braccio Sud vorrei tanto che il progettista me lo venisse a spiegare di persona, offrendomi come minimo una cena di pesce accompagnata da champagne per farsi perdonare. Fatto sta che appena fuori dalla protezione del molo, seppure ancora dentro l’avanporto e quindi ancora all’interno della grande diga foranea, inizia la vera fine del mondo.<br />Le onde che finora si sono arrampicate fino alla mia misera cabina (Non l’ho ancora scritto? Sono su un cabinato di sei metri) erano nulla al confronto. Queste sono alte, ripide, corte, incrociate, frangenti tutte allo stesso tempo. E il vento è TANTO. Altro che trenta nodi. Se vado piano vengo portato inesorabilmente verso il molo sud (quello che il progettista ha previsto più lungo proprio in previsione della bora, immagino), mentre se vado più forte mi infilo letteralmente sotto le onde fangose.<br />Lo spagnolo finalmente comincia a bestemmiare nella sua lingua, scosso. Anche ora prova a indicarmi la via, che per lui è sempre inspiegabilmente sottovento, e anche ora lo ignoro proseguendo dritto in faccia alle onde, verso il largo, in cerca di acqua per poter accostare, mettermi al giardinetto e sperare di evitare gli spigoli di cemento appena sotto il fanale rosso. Lui con un po’ di ritardo capisce le mie intenzioni e si acquieta, dedicandosi a tenersi dritto con mani e piedi prensili come una scimmia in gabbia che capisce di essere destinata ai leoni.<br />Riesco a guadagnare a fatica trenta metri, poi cinquanta, poi cento. Mi giro e mi sembra che le onde che prendo ora corrano poi libere fino oltre il fanale, allora approfitto della morfologia improbabile ed effimera prodottasi dall’incrocio delle piramidi di schiuma e accosto a dritta fino a puntare l’entrata del marina. Le onde ci spingono, ora, e l’urlo del vento cala di un tono.<br />E mi rendo conto che le onde che evitano il fanale rosso e proseguono, banalmente, sono quelle che si schiantano ruggenti sul frangiflutto del marina. E poco più a sinistra, per maggior gloria del Signore degli Oceani, le stesse onde passano direttamente sopra la massicciata del sopraflutto. O meglio: passano senza sforzo dove io ricordo che dovrebbe esserci la massicciata, solo che ora si vedono solo le onde, e la schiuma. Sarà davvero lì, la massicciata? O è più lunga, e quindi finisce più a destra, davanti alla mia prua? <br />La questione non è di poco conto, perché entrando al marina avrò per un momento più o meno lungo vento e mare al traverso: se punto troppo a sinistra rischio di schiantarmi direttamente sugli scogli, surfando sulle onde. Se punto invece troppo a destra rischio di non avere la protezione del sopraflutto nel momento più delicato, di dare il fianco a un frangente e di essere trascinato da questo contro la scogliera del sottoflutto. Stessa fine, solo una cinquantina di metri sottovento.<br />Faccio la mia scelta e aumento i giri del motore, cercando di sincronizzarmi con i cavalloni. Arrivo dietro il sopraflutto e accosto al traverso giusto in tempo per essere sollevato da un onda enorme. Lo spagnolo grida temendo la straorza “Gira a destra, tieniti al centro! Tieniti al centro!” Ma al centro già ci siamo, considerando onde, vento e corrente. Il suo di centro, quello geometrico, è quello che il prossimo frangente porta direttamente sugli scogli.<br />Fortunatamente è un mese che tengo dritta tra le onde dei rimorchiatori questa barca a cui fino a due ore fa non avrei dato un soldo, e anche adesso riesco a ritrovare la stabilità e a riprendere la rotta. Anche gli anni di meltemi aiutano, in questi casi, e l’onda successiva, quella che se mi fossi tenuto al centro ci avrebbe ammazzato, ci solleva, ci solleva, ci solleva e poi ci rideposita esattamente nel mezzo, libero, del canale di ingresso al marina. Ed è l’ultima, per noi oggi: dopo di lei, ridossati dai moli, rimane solo l’ululato rabbioso del vento. “Ci siamo, ce l’abbiamo fatta” continuo a ripetere un po’ per me un po’ per il mio collega, che non essendo al timone impiega più di me a rendersene conto.<br />Il resto è banale. Come un ormeggio a cinque nodi di velocità può esserlo solo dopo aver rischiato la vita. Siamo salvi. Noi e la barca e i computer. E il multibeam, che da solo vale quanto uno di questi appartamenti vista mare, da cui forse qualcuno ci ha visto pronto a chiamare i soccorsi, o a pubblicare per primo il video shock su internet.<br />Solo tornato in albergo ho guardato l’aggiornamento meteo, e ho scoperto che appena prima di imbarcarmi c’era stato un deciso peggioramento nelle previsioni. E io non lo avevo controllato. Come non mi ero fidato del benzinaio, che qui è di casa, e come non ero scappato subito appena era cambiato il vento, e non avevo interrotto il rilievo quando avevo visto di lontano il muro d’acqua avanzare.<br />Un’idiota, miracolato dal timone che non si è bloccato, dal motore che non si è spento, dall’elica che ha evitato cime, reti, rami e tutta la mondezza portata in superficie dal vento e dai dragaggi di queste settimane. Un deficiente, che si è giocato una vita extra che non sapeva di avere da parte e che ora non ha più, ed è qui a raccontarlo per imprimerselo meglio nella memoria, per non ripetere l’errore. Uno stupido che non si è fermato a una qualsiasi banchina protetta a passare la notte al freddo, ma ha continuato fino all’ormeggio anche quando questo ha significato mettere in pericolo lui, la barca, l’attrezzatura, il suo collega.</span></span></p><p><span style="font-family: georgia;"><span style="font-size: large;"><br />E a proposito del mio collega, il giorno dopo riparlandone mi ha confessato, candido: “No no: le previsioni io le avevo guardate, davano quarantacinque nodi fissi, ma i miei capi volevano il rilievo, e comunque c’era il sole e io non ci avevo creduto.”<br /><br /></span></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi1KCSXoZb2zUdxYh9T3pX8fn9oic_BMx2Y6QUn5m0Y-GGi1bV7xvYeUMeyPHY5csSQnd6AqC309Hy5fAy_XL8Y5EP5LBqNNb95nKU-aTeKkm_aPdiMIxrf8jFeWb13lSu-mrpJiM83q91plnm0NGYGeUtsmvdtwl_G_VwOhTLs_3pF3OHgUEozzywN/s1418/Screenshot_20220409_233607_com.studioeleven.windfinderpaid.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1418" data-original-width="1080" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi1KCSXoZb2zUdxYh9T3pX8fn9oic_BMx2Y6QUn5m0Y-GGi1bV7xvYeUMeyPHY5csSQnd6AqC309Hy5fAy_XL8Y5EP5LBqNNb95nKU-aTeKkm_aPdiMIxrf8jFeWb13lSu-mrpJiM83q91plnm0NGYGeUtsmvdtwl_G_VwOhTLs_3pF3OHgUEozzywN/w305-h400/Screenshot_20220409_233607_com.studioeleven.windfinderpaid.jpg" width="305" /></a></div><br /><p></p>Carlo Perishttp://www.blogger.com/profile/01924708518801326577noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1755301731905751871.post-65093109047622761432021-08-31T16:58:00.000+02:002021-08-31T16:58:25.003+02:00La pace in Terra<div><span style="font-size: large;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-a-hesKvOB6I/YS5DZLTKzGI/AAAAAAAAdfY/u72Wb_kd3Q01MM8zcABOXrP2Mo3vMul4gCLcBGAsYHQ/s2048/IMG_20210831_174152.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1536" data-original-width="2048" height="480" src="https://1.bp.blogspot.com/-a-hesKvOB6I/YS5DZLTKzGI/AAAAAAAAdfY/u72Wb_kd3Q01MM8zcABOXrP2Mo3vMul4gCLcBGAsYHQ/w640-h480/IMG_20210831_174152.jpg" width="640" /></a></div><br /><span style="font-family: georgia;"><br /></span></span></div><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;"> Tre ancoraggi di seguito in porto non li avevo ancora mai fatti. Il primo, cime in banchina e passerella pure, quando sono andato a mettere in tiro la catena l’ancora è venuta su come fosse stata calata non nella sabbia ma nel burro fuso.<br />Il porto è quello di Skinousa. Siamo arrivati qui dopo tre ore di viaggio da Paros, spinti a otto nodi al giardinetto col solo fiocco terzarolato dal meltemi ancora gagliardo, e incredibilmente c’è posto al molo principale. C’è però, pare, anche la fregatura: le leggende dicono che qui di fronte ci sia “una buca” piena di posidonia. O forse capiamo male il vicino danese, e il problema è che nella buca - lei una costante che rimane in tutte le versioni del mito - la sabbia è solo un sottile strato sopra una roccia liscia come un biliardino appena comprato. Quindi bisogna calare l’ancora “più in là”. Dove, più in là? <br />“Vicino al pescatore, come ho fatto io”.<br />Il pescatore è quasi in spiaggia, dall’altra parte del piccolo golfo.<br />“Ma quanta catena hai dato, così per curiosità?”<br />“Ottanta metri,” mi risponde il vichingo. <br />Otttanta metri ce li ho pure io, ma non voglio rischiare di fermarmi a metà strada senza arrivare in banchina, per cui decido che è meglio lasciar perdere il pescatore, troppo ambizioso, e calare la mia delta una ventina di metri dopo, all’altezza della barca blu.<br />La barca blu è la seconda. Poi, venendo verso il molo, ce n’è una terza, e anche una quarta. Tutte con le cime a terra sul lato est del golfo e le catene ortogonali a noi in banchina: m</span></span><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;"><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;">esse così è automatico che si intreccino. </span></span>Il che è un po’ assurdo, a pensarci, visto che questa è appunto una banchina, anzi "la" banchina, e quella roccia nuda. <br />Prese le informazioni e fatta una media tra quelle fornite dal vicino sottovento, danese, e quello sopravento, romano nato, cresciuto e invecchiato a Corso Trieste, esco fuori con numeri da circo per non raschiare tra le raffiche (ci sono sempre le raffiche, in questi casi, e durano giusto il tempo dell’emergenza per poi calare improvvisamente e improvvidamente a lasciarti boccheggiante ad addugliare le cime) le murate dei vicini. Vado a prendere accordi col tipo della barca blu perché ci dia lui l’ok per essere franchi dal suo calumo, e caliamo l’ancora per la seconda volta. Le facciamo fare presa come da manuale, ci giriamo e andiamo in banchina... e la catena finisce quando mancano appena tre metri. Ma come, mi dico, gli ottanta metri del danese arrivano fino al pescatore, e miei non bastano per arrivare in banchina partendo venti metri più in qua? <br />La terza volta il tipo della barca blu fa gesti ampi con le braccia dalla prua, come a dire che abbiamo rotto le palle con questo andirivieni. Teme per la sua fottuta ancora, come se calandola di traverso al molo non fosse lui stesso ad averla messa a rischio. Cerca complicità con il vicino, anche lui a prua ma meno espressivo. Scocciato, chiamo in causa l’ironia rimastami e mi avvicino di nuovo, stavolta per annunciargli che più tardi, finito lo spettacolo, passeremo con il cappello. Preparasse gli spicci. Non ride, ma almeno smette di dimenarsi come un tricheco in amore. Scegliamo bene il posto: che sia sabbia, che sia oltre la posidonia, che sia oltre la prua della barca del tricheco perché da lì già abbiamo visto che ottanta metri non ci bastano. MaLa cala la nostra delta, e ovviamente quando l’ancora fa testa il tipo dell’HR cime a terra di traverso ci urla che abbiamo preso la sua ancora. MaLa ha finito la pazienza e bestemmia. Io, prosaico, gli chiedo, urlando attraverso il porto e l’eco dell’imprecazione che ancora ora rimbalza tra una parete e l’altra della rada, cosa vuole che io faccia: preferisce che ritiri su tutto, probabilmente spedandolo, o che finisca la manovra. Sceglie la seconda. Fine problema ormeggio.<br />Cristina e Paolo scendono a baciare la terra. Io e MaLa ci tuffiamo e nuotiamo fino al centro, dove scopriamo che almeno cinque barche avranno problemi, domani. Scopriamo inoltre che il danese è un cazzaro: la sua ancora NON è vicino al pescatore ma accanto alla nostra. E anche che abbiamo davvero agganciato la catena dell’HR. <br />Pinne e maschera, mi allungo fino da lui e gliene parlo. Lui, Adonis, è persona civilissima e</span></span><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;"><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;"> - cretese -</span></span> ovviamente avvezza ai mari greci. Se fosse capitato con il tricheco in amore sarebbe finita a schiaffi, e con l’olandese di Poros probabilmente a coltellate. Invece qui ci mettiamo d’accordo per salpare la mia delta, domani, con una cima passata nel diamante, in maniera da non arrecare danno al suo ancoraggio. Cosa che poi ho fatto.<br />A dimostrazione che la pace in Terra è possibile, ma solo tra uomini di buona volontà.</span></span>Carlo Perishttp://www.blogger.com/profile/01924708518801326577noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1755301731905751871.post-71959461369723788682021-08-22T10:31:00.000+02:002021-08-22T10:31:02.107+02:00Vale tutto<div><span style="font-size: large;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-DabMew4rwT4/YPLhSieG3hI/AAAAAAAAdcA/kaS73zDfSE07Wa7byA6lphkda3crARhWgCLcBGAsYHQ/s2048/IMG_20210717_153515_edit_1180225540618344.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1258" data-original-width="2048" src="https://1.bp.blogspot.com/-DabMew4rwT4/YPLhSieG3hI/AAAAAAAAdcA/kaS73zDfSE07Wa7byA6lphkda3crARhWgCLcBGAsYHQ/s320/IMG_20210717_153515_edit_1180225540618344.jpg" width="320" /></a></div><span style="font-family: georgia;">C’è chi in un bosco antico cammina, attento a non calpestare i fiori, e chi lo sventra con la moto da cross. Chi nei musei osserva in silenzio le opere degli uomini, e chi schiamazza e scoreggia davanti a ogni quadro che non sia la Gioconda, ma solo perché gli hanno indicato quale sia, e gli hanno ricordato quanto ha pagato per vederla. Chi nel bianco setoso delle sculture rinascimentali vede la perfezione della mano dell’artista, chi una superficie perfetta per fare da base al proprio pennarello. Chi in un tempio abbandonato entra con rispetto e chi è pronto a depredare quello ancora venerato. Chi è attento a non sprecare una goccia di acqua, o un tozzo di pane, e chi apre tutti i cartoni di latte rimasti in cambusa la mattina dello sbarco perché "io l'ho pagato, è mio e ne faccio ciò che voglio". Chi vede nella quiete maestosa di una baia deserta, nei blu e nei viola del mare che contrastano con l’arancione della roccia, un miracolo della Natura, e chi un campo da gioco dove scorrazzare con la sua moto d’acqua. Chi ama il suono dei gabbiani, delle onde, del vento, e chi lo teme a tal punto da alzare la musica fino a non poter nemmeno conversare. Chi sta bene dove sta, quando ci sta, e chi, senza qualcuno che gli dica che è arrivato il momento per vivere il quale ha pagato, non sa distinguere tra il divertimento e la noia. Sempre che apprezzi davvero la differenza.</span></span></div><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;">Ma davvero è tutto lecito? Dopo lunga riflessione, credo di sì.<br />Alla Natura non frega un cazzo della nostra sensibilità, né della nostra motocicletta. Sono entrambe manifestazioni naturali e spontanee della specie (altamente invasiva, ma anche di questo se ne sbatte) Homo “Sapiens”.<br />Agli Dei, ugualmente, non frega un cazzo di come ci comportiamo nei loro templi. La Storia è piena di saccheggi e stragi e nessuno, che io sappia, è mai stato incenerito da una folgore un attimo prima di appiccare il fuoco a una chiesa, una moschea o una sinagoga. Per coprire solo gli ultimi secoli.<br />E le opere d’arte: quante sono state cotte per farne intonaco, spezzate per farne mura, fuse per farne cannoni, distrutte per nasconderne il sapere, bruciate per riscaldare una minestra, o la notte, o anche solo per gioco?<br />Per farla breve. Sono in grazia di Dio in questa baia dove una brezza lieve allieta la mente, il frinio delle cicale il cuore e la trasparenza delle acque l’anima. E da ore arrivano da Kos caicchi carichi a palla di carne umana seminuda - ammassata senza riguardo alcuno alla pandemia in atto, ma questo magari è un bene - ancorano a velocità smodata a pochi metri da me e vomitano dal secondo piano involucri urlanti in pelle bianchiccia. Ognuno con la sua disco music a volume esagerato. Che a bordo riescono solo a guardare fissi davanti a loro: non uno che ride, non uno che parla. Un’ora sotto il rigoroso scoppio del sole e poi via, a deturpare con la propria presenza la prossima baia.<br />Ma, arrivo alla conclusione, benché soprattutto il Princess Diana, qui alla mia sinistra, lo affonderei volentieri con un siluro, non sono affatto sicuro di avere Dio, Poseidone, la Natura, l’Universo o chi per loro dalla mia parte. Non solo questi cafonissimi caicchi da Kos hanno il mio stesso diritto di usufruire a loro merdoso piacimento di questo pianeta (che sarebbe altrimenti meraviglioso, ma solo guardandolo attraverso i miei occhi), ma il mio giudizio negativo sul loro comportamento non ha alcun reale fondamento. A meno di voler postulare che la quiete, la riflessione, la meditazione, il senso del sacro siano valori universali. E chi sono io per postulare valori universali?<br />Per cui, forte di questa mia nuova consapevolezza fatta di comprensione e accoglienza, domani vado a Kos, ancoro di traverso ai caicchi, entro nella loro cattedrale con lo stereo a palla e, danzando la Macarena, spalmo la mia merda sui mosaici dell’abside.<br /></span></span>Carlo Perishttp://www.blogger.com/profile/01924708518801326577noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1755301731905751871.post-42514163222448053062021-08-14T16:31:00.001+02:002021-08-14T16:31:55.630+02:00Un agosto violento<p><span style="font-size: large;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-size: large;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-N7y_nwh3YT0/YRfS96AWqEI/AAAAAAAAdeo/n2FEpvMyQpIwXbq9svMBUNh7AwsM46qiwCLcBGAsYHQ/s2048/IMG_20210812_154118.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1536" data-original-width="2048" height="480" src="https://1.bp.blogspot.com/-N7y_nwh3YT0/YRfS96AWqEI/AAAAAAAAdeo/n2FEpvMyQpIwXbq9svMBUNh7AwsM46qiwCLcBGAsYHQ/w640-h480/IMG_20210812_154118.jpg" width="640" /></a></span></div><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;">La vista dalla terrazza della taverna Ilias è come sempre magnifica. L’intera baia si apre sotto di noi, il mare azzurro e le pareti scoscese nude e aspre.<br />Il mare azzurro, nello specifico, è spazzato dal vento teso, e pieno di barche.</span></span><p></p><p><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;"><br />Quando siamo arrivati, un’oretta fa, abbiamo visto di lontano l’affollamento e, prevedendo di non trovare una boa libera, abbiamo provato a metterci cime a terra nella prima rientranza del piccolo golfo. Ma il vento è tanto, oggi, e soprattutto rafficato. Di calare l’ancora su venti metri di fondo, dare pochi metri di catena e ritrovarmi infine sul lato sbagliato della valle, francamente, non me la sono sentita. Per cui siamo tornati al piano originale, e ci siamo avvicinati al campo boe arancioni.<br />Miracolosamente, due erano libere!<br />Kristos si è subito avvicinato col barchino per comunicarci che non potevamo rimanere: le due boe erano libere solo perché prenotate. Però, convinto da MaLa, ha subito cambiato idea e ci ha fatto rimanere per pranzo. Anzi, ci ha anche traghettato fino a terra con costumi e asciugamani. E quindi ora, dopo un tuffo ristoratore, siamo qui e dall’alto ci godiamo il panorama estivo. Sembra quasi di osservare le barche giocattolo di Nico, ad Arkì. Tutte allineate a scodare nei cambi di vento.</span></span></p><p><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;"><br />Proprio sotto a noi, alla prima boa, c’è un trimarano costruito in Inghilterra negli anni ‘70. Ora lo vediamo solo come un trimarano, origine ed età li scopriremo dopo quando Hans e la moglie saliranno qui da noi a cercare testimoni. Piccolino, con i delicati galleggianti laterali collegati allo scafo centrale da un sistema di tubi imbullonati. Più avanti di lui, a forse dieci metri, c’è solo una barca di pescatori, su corpo morto personale subito di fronte alla spiaggia.<br />Quando arriva la prima delle barche che ha prenotato ci preoccupiamo e chiediamo a Kristos se dobbiamo affrettarci a finire il pranzo, ma lui ci rassicura, non c’è problema. E noi torniamo alla nostra katziki in umido.<br />Quando arriva una seconda barca torniamo ad interrogare l’oste, ma ancora una volta lui ci rassicura: “Lui non viene alla boa, ma al porto” e scende a dargli assistenza.<br />Interessante, penso... Quindi si può stare anche in porto? E mi avvicino alla balaustra per studiare l’ormeggio.</span></span></p><p><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;"><br />Il tipo ha bandiera svedese. Il che è importante perché quando Matteo mi chiede “Ma non c’è troppo vento per zigzagare come se nulla fosse tra tutte quelle barche?” io gli rispondo, sicuro:<br />“In Svezia sono abituati al vento, per lui questo è niente”<br />Un attimo dopo “lui”, istruito da Kristos, comincia la manovra. Che consiste nel dare ancora al centro, oltre il trimarano e la barca da pesca, indietreggiare calando la catena tra le due e venire a legare le cime a terra da questa parte. Probabilmente, calcolo da qui, la sua catena finirà su quella della boa del catamarano. Ma la boa è della taverna, e certo Kristos avrà previsto tutto e sa quel che fa.<br />La moglie del tipo, a prua, cala l’ancora. Col pulsante. Un metro al secondo circa.<br />Il tipo, seduto al timone sopravento, gira il pingue collo e inizia la retromarcia.<br />La figlia vegeta sui divani del pozzetto.<br />Il vento soffia per lo più dalla montagna qui di fronte, investendo quindi la prua dello svedese, ma frequentemente si diverte a imbucarsi dalla testata della baia, alla destra mia e al traverso del tipo. A sinistra del tipo, sottovento, c’è il trimarano.<br />Non so davvero se in Svezia siano abituati al vento. Non so nemmeno se il tipo fosse davvero svedese, e ho più di un dubbio che, se anche lo fosse, avesse preso lì o altrove la patente. <br />Sta di fatto che la barca, dopo un abbrivio iniziale, comincia ad essere rallentata dalla catena. Senza abbrivio, all’indietro, comincia a scadere sottovento, e finisce per trovarsi con la boa del trimarano a contatto con il giardinetto di sinistra. A quel punto ho sperato 'così forte da farmi uscire il sangue dal naso' <i>Adesso dà motore avanti e timone a dritta, torna in acque libere e ricomincia la manovra da zero</i>. Ma non sono stato ascoltato.<br />Il tipo ha invece continuato la sua lenta retromarcia, e una volta libero dalla boa si è trovato improvvisamente ed elasticamente dietro il trimarano, con la catena sul galleggiante di destra di questi.<br />Attimo di indecisione, folle, barca richiamata dal peso del calumo e <br />“SBEM!”<br />“CRACK!”<br />La prua dello svedese va a incrinare il bilancere del trimarano.<br />A questo punto i proprietari tedeschi escono da sottocoperta e si trovano di fronte all’assurdo: loro, apparentemente al sicuro alla prima boa della spiaggia, con una catena che tenta di segargli e tirargli via i tubolari dello scafo di destra. Provano a intervenire manualmente ma con la barca appesa le maglie sono troppo pesanti da scostare, e comunque lo svedese ha fatto metà giro ed è finito ormai alla loro poppa, avvolgendoli di metallo.<br />Il tipo al timone è ancora seduto, e guarda la scena con leggere torsioni del collo. Non ci è dato di sapere a cosa stia pensando. Sappiamo però che la retro è di nuovo ingranata. La moglie, a prua, ricomincia a filare catena. La figlia compare con un parabordo bianco immacolato di venti centimetri, e lo espone come fosse la statua della vergine protettrice dei naviganti tutti, ma proprio tutti.<br />Ovviamente il timone, a barca ferma e incastrata, non risponde: l’unico effetto della retromarcia è di tirare ancora di più la catena che scorre lenta dal musone. La signora tedesca è costretta a ringiovanire di trent’anni e a balzare di lato come una gazzella per salvare il suo ginocchio. Lo scricchiolio del metallo sulla vetroresina si avverte fin quassù. Noi tutti guardiamo, attoniti e angosciati, calati istintivamente e tragicamente nei panni della sventurata coppia svegliata dal pisolino pomeridiano in maniera tanto brutale e violenta.<br />Lo svedese a questo punto si accorge che c’è qualcosa di sbagliato nella manovra, e passa al piano B (quello che ogni comandante deve avere, quando tenta un ormeggio azzardato). Ordina quindi alla moglie di recuperare il calumo (altra mossa infelice che la donna esegue pedissequamente, per il gran danno del trimarano), inverte la marcia, dà tutto motore in avanti e cerca di andarsene.<br />La catena, sempre accuratamente tesa come una corda di violino, si aggancia al golfare di prua del bilanciere dei tedeschi, e si trascina via tutta la barca, l’equipaggio e pure la boa della taverna. Da qua su le due barche sono un tutt’uno che fa avanti e indietro nel vento tra urla e scossoni. Lo svedese, infatti, quando avrebbe dovuto andar veloce è andato lento, ma ora che dovrebbe andar lento ha il motore a tutta manetta.<br />Solo dopo lunghi minuti il tipo mette a folle e, finalmente, interviene Kristos. Si avvicina al golfare, lo libera dalla catena e, prima che qualcuno si accorga di lui e lo ricolleghi all’intera vicenda, schizza via, ormeggia il barchino, sale in taverna e si nasconde nell’orto fingendo di esser rimasto lì a occuparsi delle capre per l’intera mattinata.<br />I tedeschi nel frattempo sono finalmente liberi, respirano profondamente, contano i danni e attendono che lo svedese si fermi all’ancora, o tiri su anche quella per poi avvicinarsi. </span></span></p><p><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;">Ma l’ultima sorpresa è che la barca dei violentatori, dopo aver recuperato tutto a bordo, si dilegua a tutta velocità fuori della baia e oltre l’orizzonte.</span></span></p>Carlo Perishttp://www.blogger.com/profile/01924708518801326577noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1755301731905751871.post-72317192269164976102021-08-04T17:45:00.001+02:002021-08-04T17:45:26.680+02:00B@ld<p><span style="font-family: georgia;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: georgia;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-tuZXtcrb9Ow/YQq1dF2vA9I/AAAAAAAAddw/jozEz2cFnt0_o_vjTk77bB6jBpPElf4tACLcBGAsYHQ/s2048/IMG_20210726_170440_edit_105533159207854.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1536" data-original-width="2048" height="300" src="https://1.bp.blogspot.com/-tuZXtcrb9Ow/YQq1dF2vA9I/AAAAAAAAddw/jozEz2cFnt0_o_vjTk77bB6jBpPElf4tACLcBGAsYHQ/w400-h300/IMG_20210726_170440_edit_105533159207854.jpg" width="400" /></a></span></div><span style="font-family: georgia;"><span style="font-size: large;">Oggi non ho urlato contro nessuno. È il mio compleanno e i delfini, che evidentemente lo sanno, mi hanno affiancato appena sopra Lipsì e mi hanno accompagnato fino a quando io stesso ho scelto di salutarli e cambiare rotta.</span></span><p></p><p><span style="font-family: georgia;"><span style="font-size: large;">Poi son venuto qui, uno stretto budello dove il vento si incanala permettendomi di calare venti metri di catena anche se gli scogli sono a quindici. C’era un catamarano, qui in fondo, i cui occupanti ci facevano cenno di metterci dietro a loro. Avvicinatomi ho scoperto che erano di Ostia. Ho scoperto anche che avevano ancorato quaranta metri più avanti, su cinque metri, e così gli ho detto “Ok, tranquilli, io vado avanti fino a che non tocco”, li ho passati e sono arrivato fino quasi a toccare. Ora, venuto indietro, vedo al mio fianco la loro ancora.<br />Dopo una mezz’ora è arrivata la Rena, il daily tripper di Lipsì. Loro sono andati più avanti, hanno ancorato su due metri, forse anche meno, e sono tornati indietro fino quasi alla mia Delta.<br />Siamo tre barche in fila indiana, collegate idealmente da questo meltemi che ci orienta come un serpente a seguire le curve delle rocce attorno a noi. Sul fondo, la sabbia bianchissima fa effetto piscina. Altro che Caraibi! Penso ogni volta che vengo qui.<br />In questo paesaggio idilliaco, ecco che arriva rapido e nervoso un coso a motore di sedici metri. Lungo e affusolato, un marinaio a prua e uno a poppa, ospiti sbracati dietro i telefonini sui divani in pelle candida dell’ampio pozzetto, proprietario rasato, non giovane ma di certo volitivamente giovanile, coatto ai comandi. Uso questo aggettivo, apparentemente prematuro, come semplice traduzione del nome particolarmente azzecato del mezzo nautico: Bold.<br />Il pelato ha deciso, evidentemente, che il suo ancoraggio è qui, insieme a noi. O meglio al nostro posto. Forse noi per lui non esistiamo, facciamo parte di un altro piano di realtà - quello dove risiede la gente a basso reddito - ed è convinto che i due universi, quand’anche possono a volte intravedersi, sicuramente non interagiscono affatto a livello molecolare.<br />Tant’è che come prima cosa cerca di ancorare sopra il Rena.<br />Il marinaio di prua, in quanto servo operaio, rappresenta anche il tramite tra i due mondi, e fa presente al capoccia che no, lì proprio non c’è posto. Questi sbuffa, e sbuffando smanetta coi suoi due motori a idrogetto da millemila cavalli. L’acqua, da trasparente che era, si riempie di sabbia. Che, scopro, e scoprono i turisti della Rena che stanno nuotando lì attorno, non è affatto bianca bensì marrone, come ogni sabbia di questo mondo.<br />Allora il rasato comanda di calare l’ancora venti metri sottovento, e comincia a sgranare catena nella mia direzione. Arrivato a una decina di metri, di nuovo il medium a prua gli fa cenno rassegnato con il dito indice: no, son troppo grossi anche per stare qui. E facendo spallucce gli indica Duna, dritta sul proseguimento della manovra. Il capoccia mi guarda ma evidentemente non mi vede, ha perso il labile contatto con il mio piano di realtà, perché sbraita innervosito e solo dopo molta insistenza acconsente a tentare una diversa manovra. Ancora una volta gli sbuffi delle sue narici si trasmettono alle manette del gas e di qui al fondale marino. Il mio ecoscandaglio va in tilt e l’allarme ancora comincia a suonare, ma non sono io che sono finito su un bassofondo, bensì il bassofondo che si sta sollevando verso di me. Quando finalmente si allontana l’acqua si calma e i turisti del Rena applaudono, ironici. Il pelato reagisce come il businessman alla guida del SUV che ti ha appena tagliato la strada per arrivare mezzo metro avanti a te al semaforo: guarda dall’altra parte fingendo di ascoltare una telefonata.<br />Il marinaio di prua, sant’uomo, gli indica una chiazza di sabbia ancora più sottovento dove, presumibilmente, potrebbero ancorare senza sperimentare la compenetrazione dei corpi. E il tipo fa finta di essere d’accordo, mentre manovra la prua esattamente dove era prima. Gli piace proprio dove sto io. E me lo fa incontrovertibilmente capire quando, calata l’ancora finalmente dove indicatogli dal Sant’uomo, fa retromarcia non ad assecondare il vento e la catena ma verso la mia prua, mancandola con un capriccioso colpo di motore per pochi metri e una frazione di secondo. Io intanto osservo placidamente il marinaio di poppa, teso in viso e pronto a mettere un piede o un parabordo tra l’estensione penica del suo datore di lavoro e il mio musone di acciaio. Essendo il mio compleanno, e avendo i delfini dalla mia parte - gli sorrido. Lo ammetto, con la stessa ironia dei turisti di poco fa. Lui però, strano, sembra alquanto scazzato.<br />Evitatomi per un soffio, finalmente il mostro ruggente si allinea al vento e spegne i motori. Con il selfie del pelato mano sui comandi e bionda d’ordinanza in grembo lo spettacolo sembra finito, e io rientro.<br /><br /></span></span></p><p><span style="font-family: georgia;"><span style="font-size: large;">Per poi ritrovarmi fuori dopo pochi minuti, richiamato nuovamente dai millemila cavalli del capoccia. Esco appena in tempo per vedere i tipi di Ostia con tutti i parabordi fuori e il motoscafo di 16 metri che, spedata l’ancora, gli fa il pelo sulla fiancata sopravento.<br />Nella successiva ora il pelato prova ad ancorare, in successione, in ogni punto del canale, passando di volta in volta venti metri sottovento. Arrivato in mare aperto torna indietro e ricomincia dalla poppa del catamarano, e così via. Lo scazzo dei marinai arriva fin qui nel nostro universo parallelo, e mi sento persino un filo malinconico per loro.<br />Quando il Rena va via li trova ancora lì, a rumoreggiare sollevando sabbia e fango in questo angolo di paradiso in terra. I turisti gli passano accanto e lo applaudono di nuovo, riferendosi forse alla sua ottusa testardaggine, forse alla sua incapacità o alla sua sfortuna, più probabilmente a qualcosa che si erano detti prima, ai tempi del primo tentativo di speronamento che io non ho sentito.<br />E il pelato finalmente si accorge di questo nostro universo parallelo fatto di poveracci su vecchie barche di dieci metri, catamarani presi a nolo per una settimana e, soprattutto, di gite giornaliere “dieci isole in dieci minuti”, prende atto della nostra esistenza e, a suggellare l’eterno patto di inimicizia tra persone normali e teste di cazzo, parte a razzo all’inseguimento della Rena e la chiude curvandogli davanti al massimo della velocità, sollevando due metri d’onda tutt’attorno ai malcapitati gitanti. Così, giusto per ricordare a noi poveracci chi, anche qui in paradiso, ha naturale diritto di comando.<br /></span></span></p>Carlo Perishttp://www.blogger.com/profile/01924708518801326577noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1755301731905751871.post-55646844381741009222021-07-23T09:28:00.002+02:002021-07-23T14:35:07.766+02:00Libertà e carte di credito<span style="font-size: large;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-_3C8xbRAHw4/YPmaHv-fNBI/AAAAAAAAdcg/77azk8aegTMyh0t71vB3ww54rZ_RRSjpwCLcBGAsYHQ/s1440/comica1626970576727.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1440" data-original-width="1080" height="400" src="https://1.bp.blogspot.com/-_3C8xbRAHw4/YPmaHv-fNBI/AAAAAAAAdcg/77azk8aegTMyh0t71vB3ww54rZ_RRSjpwCLcBGAsYHQ/w300-h400/comica1626970576727.jpg" width="300" /></a></div><br /><span style="font-family: georgia;">A Lipsì è ora di pranzo. La banchina tace, sonnolenta. Unico rumore il meltemi che fischia tra le sartie delle barche ormeggiate.<br />Noi siamo accanto al Clara, un bel Lavezzi di una gentile coppia francese. Sottovento è arrivato, poco fa, Alessandro. Entrato in porto mi ha visto in banchina, ha messo la prua sopravento, ingranato la retro e, appena libero dalla mia catena, calato l’ancora. Trenta secondi dopo aveva già dato volta alle cime e ci stavamo stringendo la mano.<br />Ora, scrivevo, tutto tace tranne il vento.<br />Ho barche ben ancorate alla mia destra e alla mia sinistra, sessanta metri di calumo, sei cime di ormeggio. E chi m’ammazza? Ci sentiamo così sicuri che decidiamo, prima del caffè, di brindare ad oltranza con il prosecco avanzato da ieri.</span></span><div><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;"><br />“Carlo!” mi sento chiamare, l’accento emiliano di Ale.<br />Esco, e lui mi indica una barca che gira frenetica davanti alle nostre prue come un’orca intorno a una foca ferita.<br />“Sono loro” mi informa. Loro chi?<br />Poi li riconosco: i panzoni di Agathonisi! Padre e figlio, nordici, sovraesposti agli UV, totalmente incapaci e contemporaneamente inconsapevoli della propria condizione. E soprattutto maleducati e arroganti. Ieri non c’era un alito di vento, eppure avevano ancorato in diagonale sopra il gozzo di un pescatore, ignorando e proteste e indicazioni, fino a che lui bestemmiando aveva mollato il proprio corpo morto per rifugiarsi temporaneamente nell’angolo sfigato del porto. Poi avevano attaccato la poppa al molo, nonostante la passerella, col risultato di sbatterla sul cemento ad ogni traghetto. In compenso la barca era stabile, perché il timone era piantato sul masso di banchina. Ma loro ostentavano una calma e una sicurezza invidiabili, che la notevole circostanza che la barca fosse a noleggio non bastava a spiegare. Probabilmente lo era anche la patente nautica.<br />Alessandro ne ha fatta invece conoscenza stamattina, in rada. Sono arrivati e gli hanno ancorato sopra, finendo a pochi metri dalla sua prua. Lui però doveva comunque venir via, e quindi ne ha approfittato per </span></span><span style="font-family: georgia; font-size: large;">richiamare i suoi dal bagno e a raggiungermi in porto</span><span style="font-family: georgia; font-size: x-large;">.</span></div><div><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;"><br />I panzoni di Agathonisi, ma tu guarda... Ti pareva che col meteo che da una settimana dà peggioramento proprio a partire da oggi pomeriggio non aspettassero l’ultimo momento per rifugiarsi in porto. Cosa che conferma non solo la loro incompetenza, ma anche la mancata percezione della stessa. Certa gente attraversa la vita agendo a caso (sostituire la esse con due zeta) e sopravvive alla propria incapacità aiutata dal prossimo, o dalla fortuna, ma senza rendersene conto. La percezione, al netto degli aiuti esterni, è che la sopravvivenza è dovuta, automatica. O addirittura che le proprie azioni siano sensate e ben eseguite.</span></span></div><div><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;"><br />Tornando qui a Lipsì, questi due girano e girano, come una trottola, guardati in cagnesco da tutto il porto che già prevede il danno. Vi sembrerà forse che noi naviganti si sia prevenuti, mentre in realtà è solo esperienza e un briciolo di statistica. Speriamo tutti di sbagliarci, ma speriamo ancora di più che gli ultimi arrivati facciano sì danno, ma a qualcun altro.</span></span></div><div><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;"><br />C’è un posto incastrato in mezzo a tutti, appena sottovento ad Ale, e tre (sottolineo tre) posti sottovento all’intera flotta. Se uno non volesse rompere i coglioni quale sceglierebbe? Esatto: e infatti vengono in mezzo a tutti.<br />La prima volta calano l’ancora già sulle catene delle barche sottovento, e tutti a prua gli berciano di tirarla su e andarsene.<br />“La gente è strana: prima che un problema di sicurezza ne fa una questione territoriale,” commento con Ale, in banchina. “Perché ormai facendogli tirar su l’ancora rischiano se li portino via con loro.”<br />Però gli dice bene. E ora i due nordici ustionati dal sole greco vogliono star sicuri: vanno dalla parte opposta del porto, sopravento a me, al Lavezzi, a tutti.<br />“Non lo stanno facendo, vero?” faccio in tempo a sussurrare, che loro l'hanno già fatto.<br />Calano la loro fottuta ancora prima di tutte le nostre.<br />Al che uno potrebbe già incazzarsi, ma son cose che capitano, sopratutto col vento forte, per cui continuo fiducioso ad aspettarli in banchina per prendergli le cime e finirla il prima possibile. MaLa, a prua della Duna, conferma che al 100% ci hanno tombato.<br />Poco male, l’importante è che se ne vadano poi domani come sono venuti. E sopratutto che finiscano la manovra invece di...<br />...invece di esitare, rimanere in mezzo al porto, scarrocciare al vento strusciando l’ancora sul fondo fino ad agganciare la mia, trascinarla insieme ai sessanta metri di catena e, infine, salparla insieme alla loro. Trenta metri e quattro barche sottovento.<br />Alla vista della mia ancora sul loro musone la mia pazienza improvvisamente si esaurisce. Lodi al signore e alla divina vergine consorte si elevano al cielo sotto forma di tali bestemmie che in Toscana e in Veneto, quando le ascolteranno (perché è solo questione di tempo, arriveranno fin lì), ammetteranno di essere solo dei miseri principianti.<br />Mentre salgo in barca, accendo il motore e ingrano la marcia avanti, anche gli altri si accorgono di quanto sta succedendo e urlano tutti insieme: gli idioti stanno cercando di liberarsi dalla mia ancora mollandola lì dove sono loro. Il che significa che il cetriolo, finora capitato solo a me, verrebbe distribuito equamente a tutti.<br />Immaginate: la mia catena abbandonata inservibile in diagonale sopra tutte le altre. Gli idioti che ci si ormeggiano sopra prima che io possa uscire a sistemare l’ancoraggio. Io che poi, facendolo, mi ritrovo sotto il calumo dei panzoni e quindi, tirando su incazzato (perché lo farei: tirerei su incazzato a bestia) spedo loro per ultimi, ma solo dopo aver agganciato e mischiato tutti gli altri. Il circo Togni, al confronto, sarebbe una messa funebre.<br />“Ferma!”<br />“Stop!”<br />Tutte le lingue del mondo tranne il francese gli urlano di non farlo. Il francese è calmo perchè ha capito che l’ancora spedata è la mia, e quindi lui, sopravento, è al sicuro. Mi vede armeggiare col tender e mi fa cenno che, invece, mi conviene andare lì a nuoto.<br />“A nuoto? Ma li hai visti questi: come niente mi affettano.”<br />Un piccolo tender a remi, spinto da un armatore incazzato a morte, può attraversare il porto di Lipsì in un tempo più breve di quello necessario a due idioti per separare due ancore a portata di mano sul loro musone. Li trovo lì, che non riescono più a recuperare nemmeno il loro mezzo marinaio, incastrato tra le marre. <br />Il padre è a prua, il figlio al timone. Il padre fa finta di non vedermi. Lo insulto e si accorge di me. Gli spiego che quella è la mia ancora e non solo la rivoglio indietro ma la rivoglio dove stava prima, e lui mi dà le spalle. Prima che gli metta le mani addosso arriva il figlio - che ieri sembrava il più stupido tra i due ma oggi nel confronto generazionale svetta come un novello Einstein - che mi ascolta.<br />Compiuto il miracolo di catturare la loro attenzione, e ottenuta anche lo loro fiducia con una sapiente alternanza di promesse, ricatti e minacce, il resto è tecnica. Passata una cima a doppino sulla mia Delta, faccio calare la loro. Impedisco a mano che la perdano, o peggio mi affondino con tutto il tender, dato che inspiegabilmente il verricello, che per tirarsi via la mia barca ha tenuto, ora che è libero sgrana. Faccio da qui cenno a MaLa di dare catena, do al figlio del padre idiota indicazioni precise su dove andare e, all’altezza dello scafo sottovento del catamarano, faccio sciogliere il doppino. Poi strappo di mano la cima al genitore, che continuava a trattenerla impedendo alla mia ancora di arrivare sul fondo, e gliela ripasso una volta finita la manovra. Hai visto mai se la ciuccino nell’elica. Infine, di lontano, faccio di nuovo cenno a MaLa che, a prua, recupera la catena in più. L’ancora fa testa e il pomeriggio di noi tutti è salvo.<br />I due panzoni di Agathonisi, mi era venuto in mente di salire a bordo ed aiutarli. Ma loro scappano ad ormeggiare e mi lasciano lì, nel mezzo, a remare controvento. Meglio così, per diversi motivi.<br />Infatti, c’è da notare che il figlio, al timone, un minimo sa cosa fare. Il padre a prua, però, frustra ogni di lui tentativo dandogli poca catena e quindi fermando continuamente il suo abbrivio. Si sa che una barca senza abbrivio, di poppa e col vento al traverso, non manovra ed è travolta dagli eventi. Che sublime metafora dei rapporti familiari!<br />Chi sa se hanno avuto occasione di coglierla e di apprezzarla anche i loro novelli vicini sottovento, inglesi con nipote neonato a bordo, su cui il charter bareboat si è ripetutamente e gratuitamente spalmato tra le urla e le bestemmie ormai onnipresenti.<br />Ma anche: se fossi montato io a bordo, mi sarei preso la responsabilità di loro e della barca. E in caso di danno? <br />Perché mai con un F6 in previsione da giorni io arrivo in porto il giorno prima, per sicurezza, e poi dovrei trovarmi a salvare il culo a due che non solo hanno voluto risparmiare mille euro di skipper, ma oltretutto non hanno voluto rinunciare a mezza giornata di rada, a costo di rompere i coglioni e mettere in pericolo me e altre dieci armatori più accorti e coscenziosi di loro?<br />Come scrivevo sopra, questa gente crede davvero che basti una carta di credito per fare qualsiasi cosa. E che i confini della propria libertà non finiscano dove comincia quella altrui, come sosteneva Martin Luther King, bensì dove si esaurisce il platfond della suddetta carta. E arrivano a fine vacanza, aiutati e salvati dai vicini di banchina, con la loro arroganza intatta.<br />Visto che l’unica cosa che capiscono è il denaro, che facciano un po’ di danni, possibilmente ai loro simili, e sbattano da soli le proprie corna su scogli e banchine.</span></span></div><div><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;"><br />Qui, intanto, il pigro, ventoso pomeriggio continua a scorrere lento. Ho barche ben ancorate alla mia destra e alla mia sinistra, settanta metri di calumo, sei cime di ormeggio. E chi m’ammazza? Ci sentiamo così sicuri che decidiamo, dopo il caffè, di brindare ad oltranza con l’ouzo avanzato da ieri.<br /></span></span></div>Carlo Perishttp://www.blogger.com/profile/01924708518801326577noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1755301731905751871.post-25113539277120408812021-07-21T20:24:00.000+02:002021-07-21T20:24:36.189+02:00 Il triangolo no<div><span style="font-size: large;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-u58pbyLkK30/YPhlNpo47NI/AAAAAAAAdcU/2oa22KhxtfIxXQLoXFO9JTe_ODwcv7K8gCLcBGAsYHQ/s1440/comica1626891503380.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1080" data-original-width="1440" height="300" src="https://1.bp.blogspot.com/-u58pbyLkK30/YPhlNpo47NI/AAAAAAAAdcU/2oa22KhxtfIxXQLoXFO9JTe_ODwcv7K8gCLcBGAsYHQ/w400-h300/comica1626891503380.jpg" width="400" /></a></div><span style="font-family: georgia;">Il molo sopravento, quello che piuttosto vado in rada col frigo vuoto e ceno coi serpulidi raschiati via dall’elica, è giustamente quasi vuoto.</span></span></div><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;">Lui però si vuol mettere in mezzo agli unici due catamarani. Solo che, nonostante la indefessa, onnipresente, sovradimensionata elica di prua, cala l’ancora troppo sottovento <i>(indizio: quando il vento al traverso è davvero forte il massimo che puoi fare con quell’aggeggio è tenere ferma la prua mentre la poppa scade. Del resto anche con il solo motore c’è sempre un limite oltre il quale il vento ti conviene fartelo amico, in manovra, e far andare la prua dove lui suggerisce. Mi azzarderei addirittura ad affermare che oltre i venti nodi, almeno per le normali barche da diporto, comincia a vedersi la differenza tra chi sa come si manovra e chi crede che il numero 51.5 dopo la scritta Hanse sia la versione del software)</i>. Quindi quando arriva in banchina si spiaggia sullo spring del catamarano, e poi sulla sua fiancata. Da terra gli urlano di ridare ancora, ma lui no, preferisce, avendo spazio, sistemarsi in diagonale: poppa sopravento, prua sottovento. Come dargli torto: lo stress dell’ancoraggio in condizioni difficili non è cosa da ripetere, finché puoi evitartelo.<br />Ora, giustamente la prima cima in banchina è stata quella sopravento. E quella è stata cazzata in modo da impedire all’Hanse di rovinare con lo spigolo di sinistra sul catamarano di cui sopra. La barca a quel punto si è allineata: ancora-catena-musone-galloccia di poppa di dritta-bitta in banchina. Geometricamente, a parte la catenaria provocata dal vento, che per semplicità trascuriamo, è una linea retta. Di norma a questo punto si aggiunge una cima sottovento, e con tre punti di forza, tre angoli, tre lati, si viene a creare un triangolo. Il triangolo è fico perché resiste bene alle deformazioni.<br />Invece la seconda cima, quella sottovento, il tipo la lascia lasca. E la barca, ovviamente, rimane nella posizione di prima. Una linea diagonale alla banchina.<br />Lui allora, per spostare la prua più a destra e, nel suo ideale di geometria euclidea, allontanare il giardinetto di sinistra dal cemento del molo perfezionando così il suo ormeggio triangolare, cosa fa? Mette in tiro la cima sottovento? Lasca quella sopravento? No. Usa l’elica di prua.<br />Ovviamente è ancora lì che prova.</span></span>Carlo Perishttp://www.blogger.com/profile/01924708518801326577noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1755301731905751871.post-29108700880578130752021-07-08T17:19:00.000+02:002021-07-08T17:19:17.489+02:00Le onde bagnano, il vento asciuga. Le onde ribagnano.<p><span style="font-family: georgia;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: georgia;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-wSAlIxhTa98/YOcWssRTyPI/AAAAAAAAdbA/rMXvBO3k3RsZiuSZDjTvWP2j4e4KKPxkQCLcBGAsYHQ/s2048/IMG_20210708_152153_edit_826324920405158.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2048" data-original-width="1536" height="640" src="https://1.bp.blogspot.com/-wSAlIxhTa98/YOcWssRTyPI/AAAAAAAAdbA/rMXvBO3k3RsZiuSZDjTvWP2j4e4KKPxkQCLcBGAsYHQ/w480-h640/IMG_20210708_152153_edit_826324920405158.jpg" width="480" /></a></span></div><span style="font-family: georgia;"><br /><span style="font-size: large;"><br /></span></span><p></p><p><span style="font-family: georgia;"><span style="font-size: large;">Oggi pare ci sia un F6, fuori.<br />“Pare”, scrivo, perché a Despotikò, dove abbiamo passato la notte, arriva vento, parecchio anche, ma le condizioni non sembrano poi così brutte.<br />Domani il vento aumenterà. F7, dicono. Sempre rafficato, prevedono. E quindi ci sarà poco da risalire. Ma se oggi allungassimo anche solo di poco la scia, in prospettiva di avvicinarci alle Piccole Cicladi e una volta lì aspettare il momento giusto per saltare in Dodecaneso, non sarebbe poi male.</span></span></p><p><span style="font-family: georgia;"><span style="font-size: large;"><br />Quindi, da Capitano, propongo una piccola tappa di dieci-quindici miglia, con l’idea di risalire fino a Paros e mettermi in condizioni di scendere al giardinetto verso Skinousa anche con il meltemi arrabbiato dei prossimi giorni.<br />“E comunque” aggiungo “se una volta usciti quel che troviamo non ci piace possiamo sempre tornare qui e calare l’ancora esattamente dove è ora”.<br />MaLa ha qualche dubbio, ma si dichiara d’accordo. Paolo e Cristina (ancora) si fidano del mio giudizio. Quindi è andata.<br />Arrotoliamo alla meno peggio il fiocco Bianchi&Migliori che ieri abbiamo rischiato di scoppiare nelle raffiche di catabatico, e al suo posto ingarrocciamo quello pesante, prendendo già la mano di terzaroli. La randa ne ha tre, e la teniamo così. Partiamo.<br />Il vento ci spinge fuori, verso Ios. Fino alla punta.<br />Poi dobbiamo accostare a sinistra, e lì il vento continua a spingerci verso Ios. Considerato che noi puntiamo invece verso Paros, e ci sono circa 60 gradi di differenza, il risultato è una bolina assai bagnata in un mare che ribolle di raffiche e treni d’onda confusi.</span></span></p><p><span style="font-family: georgia;"><span style="font-size: large;"><br />Benvenuti nelle Cicladi in estate. Continuo a ripetere gli stessi errori, anno dopo anno. E meno male che ho declinato l’offerta di Ale e non ci tornerò in agosto, come skipper di un quindici metri.<br />Un paio d’ore di onde che ci bagnano fino alle ossa, e vento che fino alle ossa ci asciuga, e ancora onde. Fino al momento, ormai a a ridosso di Paros, in cui sono pronto a accostare a destra e mettermi il vento al traverso. Peccato che, anche qui non imparo mai, il meltemi gira attorno alle isole: appena cambio rotta anche lui cambia direzione, accompagnando la mia accostata e accelerando sotto costa. Ancora onde, ancora vento, ancora bolina.</span></span></p><p><span style="font-family: georgia;"><span style="font-size: large;"><br />Dopo un’altra ora, come una terra promessa, eccoci a Ormos Tria. Qui il vento tira e spinge, strappa l’acqua dalle creste e la sabbia dalla spiaggia, fa schizzare i windsurf che fanno avanti e indietro provando traverso dopo traverso come una colonna di formiche indaffarate a spolpare l’estate. Ma vicino alla costa - ancoriamo al limite delle boe dei bagnanti - si sta bene.<br />Mi sciacquo dal sale, mi cambio, mi faccio una birra, copro le vele e poi, mentre sto sistemando la ritenuta dell’ancora, questo tipo col suo windsurf azzurro mi punta e, quando sta quasi per prendermi, incazzatissimo, mi chiede acqua.</span></span></p><p><span style="font-family: georgia;"><span style="font-size: large;"><br />A me, che sono ancorato. Se non vedi un Serenity all’ancora cosa ne fai della vecchietta che fa il bagno con la cuffia a fiori?</span></span></p><p><span style="font-family: georgia;"><span style="font-size: large;"><br />Prima di scendere a dormire ho issato il pallone nero di fonda: non tanto perchè credo lui sappia cosa significhi, quanto per avere la scusa legale, se sento un botto, per uscire e finirlo con l’arbalete.</span></span></p>Carlo Perishttp://www.blogger.com/profile/01924708518801326577noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1755301731905751871.post-2909329066193370532021-07-03T17:57:00.004+02:002021-07-03T17:57:51.179+02:00La logica dell'antifurto<span style="font-family: georgia;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-Vyis4Rttby8/YOCIHrGMLNI/AAAAAAAAdZ8/biuG24LA-9QxVMo64KkKj6FxeS2SV1zuwCLcBGAsYHQ/s2048/IMG_20210703_185157_edit_672110123620877.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1536" data-original-width="2048" height="480" src="https://1.bp.blogspot.com/-Vyis4Rttby8/YOCIHrGMLNI/AAAAAAAAdZ8/biuG24LA-9QxVMo64KkKj6FxeS2SV1zuwCLcBGAsYHQ/w640-h480/IMG_20210703_185157_edit_672110123620877.jpg" width="640" /></a></div><span style="font-size: large;"><br /> Ieri su uno dei gruppi facebook frequestati dai cosiddetti “velisti” italiani uno di questi si vantava di usare sempre il grippiale, in rada, per impedire che i “velisti della domenica” calassero la loro ancora sulla sua. Cosa avrà contro quelli che escono in mare appena un giorno dopo di lui non saprei proprio... In questi casi, comunque evito di commentare. <br />Come evito di raccontare di quando anni fa a Itaca due equipaggi, entrambi italiani, vennero quasi alle mani nel momento in cui, acceso il motore e un attimo prima di ingranare la marcia, la barca sopravento si accorse miracolosamente di avere il grippiale di quella sottovento impigliato nel timone.<br />Ricordo ancora le urla, condite a piene mani di rime in “one”, con cui uno spiegava all’altro: “In una baia affollata, tutta a tre metri di profondità, tutta sabbia: solo un *** mette il grippiale!”<br />Come dargli torto.<br />E proprio oggi, casualità, io stesso ho incontrato il ***.<br />Kolona, Kythnos, Cicladi. inizi luglio, ma affollata: noto però come tutti siano accatastati nella metà più scomoda della baia. Io conosco i fondali per cui vado come al solito a colpo sicuro verso la spiaggia, e mentre calo la mia delta nella sabbia prendo nota del motivo per cui nessuno ha potuto usufruire della porzione migliore del ridosso.<br />Un motoscafo ha messo le cime a terra ancorando su sei metri, quasi al centro. E ha messo il grippiale.<br />Così nessuno gli aggancierà l’ancora, immagino avrà pensato. Ma intanto ha occupato un ettaro di mare impedendo l’ancoraggio tra la sua catena, sopravvento, verso la spiaggia e, visto che il vento stesso potrebbe girare, anche per almeno trenta metri sottovento.<br />La stessa logica di quelli che hanno istallato in macchina l’antifurto ipersensibile, quello che suona per venti minuti una sirena da stadio ogni volta che a cinquanta metri cade una foglia o passa un tram due isolati più in là, e la parcheggiano in un altro quartiere. Così dormono tranquilli. Loro. </span></span><div><span style="font-family: georgia;"><br /></span><div><span style="font-family: georgia;"><span style="font-size: large;">Io personalmente ho dato calumo fino a trovarmi la sua boetta del piffero a distanza di sicurezza dalla poppa, in caso di emergenza so già che dovrò dare venti metri di catena tutta insieme per superarla, e mi sfogo scrivendo per evitare di farlo con maschera pinne e coltello. Ma se qualcuno, questa notte, con trenta nodi di vento, dovesse indovinare lo spazio libero qui dietro e finirci sopra con l’elica, spero almeno la prenda così bene da tirar su anche l’ancora del cafonauta e, così, rimanendoci aggrappato, contenere i (suoi) danni.</span></span></div></div>Carlo Perishttp://www.blogger.com/profile/01924708518801326577noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1755301731905751871.post-37824670384134709912021-06-29T11:29:00.003+02:002021-06-29T22:59:23.040+02:00Il pescatore-raccoglitore<span style="font-family: georgia; font-size: large;">Giuseppe è uno scienziato. Lui va dove deve andare, scende alla profondità esatta, aspetta e trova il pesce che deve trovare, gli spara solo se rispetta i requisiti di taglia e, soprattutto, lo centra. Fabio si affida invece al ragionamento induttivo: va in acqua col fucile che gli capita, anche storto e spompato, batte a tappeto ogni scoglio e spara a qualsiasi cosa si muova.</span><div><span style="font-family: georgia; font-size: large;">In questo momento sono loro due gli esempi che mi vengono in mente per introdurre la mia esperienza con la pesca subacquea. Io però, che pure ho approfittato lautamente di entrambe le mense, non riesco ad assomigliare a nessuno dei due.<br />Non ho il fiato, o il coraggio, per acquattarmi dietro uno scoglio a 15 metri di profondità ad aspettare il dentice dei miei sogni, e quindi mi limito ad annaspare in cinque metri d’acqua mentre i piombi alla mia cintura lottano invano contro il galleggiamento della mia muta nuova di pacca. E quando, perlustrando la costa, lo sparaglione rimane per una attimo davanti alla punta del mio arbalete... beh, mi guarda con quegli occhi assolutamente inespressivi, talmente inespressivi da sembrare quelli di un terrapiattista, e non riesco a premere il grilletto.<br />Quindi per fare un po’ di tiro al bersaglio col mio fucile sparo alle alghe, o ai pesci già morti di morte naturale. Non ne incontro molti.<br />Il mio arbalete, anch’esso nuovo di pacca come la muta, avrà tirato si e no dieci volte. Mai a segno.<br />Eppure ogni volta affronto la vestizione come un cavaliere medioevale indossava l’armatura prima dell’assalto alle sacre mura di Gerusalemme. Mi bagno, mi ungo, mi infilo nei 5.5 mm di neoprene sotto lo scoppio implacabile del Sole (<i>"Anvedi ‘sto goio"</i>, penserà lui, che tutto vede, di me), mi calzo, inciampo nelle pinne, me le tolgo e me le rimetto in acqua rischiando di affogare, mi metto la maschera e poi me la tolgo in acqua perché si è appannata, rischiando nuovamente di affogare, mi lego il pallone in vita e rimango immediatamente aggrovigliato nella sua cima galleggiante. E poi, finalmente, carico il fucile e pinneggio verso l’isolotto. C’è sempre un isolotto, da queste parti, e sempre ha una secca che lo congiunge alla terra, e uno sprofondo blu che si perde improvviso verso il mare aperto.<br />Prendo fiato, mi immergo, rimango aggrappato a una roccia fino a che i pesci più piccoli mi inglobano come fossi un relitto affondato da duemila anni - il che dà un’idea di quando spazio riservato alla memoria ci sia, nel cervello dei pesci più piccoli - e poi sul più bello, dopo quindici lunghissimi secondi, scappo verso l’alto in cerca di aria.<br />In superficie l’acqua è a 27 gradi, già a cinque metri la temperatura scende parecchio, e con la mia muta nuova, se non voglio fare la schiuma come un pezzo di sapone di Marsiglia, devo necessariamente passare più tempo possibile vicino al fondo. Forse è questo l’unico stimolo per immergermi, considerato che di pesci non ne vedo mai di più grandi di una lappera: grazie alla muta posso immergermi, cosa che senza muta non avrei né desiderio né necessità di fare.<br />Poi torno alla barca, scarico il fucile, lo metto a bordo e vado a farmi una nuotata verso la spiaggia. Ed è solo (e sempre) allora che incontro il banco di cefali di mezzo metro, che mi gira davanti al muso con l’evidente intenzione di prendermi in giro.<br />Anche stamattina è andata così, e quindi nel pomeriggio, sudato come la pancia bavosa di un canguro, colpo di genio, ho deciso di invertire le attività. Ho saltato la fase della sacra vestizione, mi sono tuffato in costume, con solo maschere e pinne, e ho preso il fucile con l’intenzione di andare subito verso la spiaggia a sparare ai cefali appena questi avessero cominciato lo sfottò.<br />Quindi come prima cosa ho caricato il fucile nuovo, per la prima volta senza muta. Un po’ faticoso, un po’ pesante sul petto, ma fattibile. E il supporto sternale si è spaccato, il fucile mi è scivolato di lato e ora sul costato ho tre lacerazioni che sembrano la testimonianza di un mio incontro ravvicinato con la rediviva tigre di Sandokan.<br />I cefali ancora ridono.<br /><br /><br /><a href="https://www.blogger.com/#"><img border="0" src="https://1.bp.blogspot.com/-W4hRIzSRKWU/YNrna411g-I/AAAAAAAAdZs/2sh_Lj7i174-1doorE99Skyj7WbAe7MjQCLcBGAsYHQ/w300-h400/IMG_20210628_193506.jpg" /></a></span></div>Carlo Perishttp://www.blogger.com/profile/01924708518801326577noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1755301731905751871.post-59884928146909784002021-06-27T15:09:00.005+02:002021-06-27T15:16:41.468+02:00 I pregiudizi, e i preoccupanti strascichi del covid<p><span style="font-size: large;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-size: large;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-NIQpIVhwWng/YNh0sUOPd-I/AAAAAAAAdZk/tqsNz-Mz4ewODUjZ3Mgq6CxLpvh3Jr0hgCLcBGAsYHQ/s2048/IMG_20210627_085614_edit_466323036967382.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1536" data-original-width="2048" height="480" src="https://1.bp.blogspot.com/-NIQpIVhwWng/YNh0sUOPd-I/AAAAAAAAdZk/tqsNz-Mz4ewODUjZ3Mgq6CxLpvh3Jr0hgCLcBGAsYHQ/w640-h480/IMG_20210627_085614_edit_466323036967382.jpg" width="640" /></a></span></div><span style="font-size: large;"><br /><span style="font-family: georgia;"><br /></span></span><p></p><p><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;">“Charterista” non è una categoria universale, ma solo la descrizione di una relazione in essere tra il conduttore e il mezzo nautico che galleggia sotto il suo culo.<br />Il che non toglie che, dal punto di vista statistico, e a scopo puramente preventivo, a tale categoria sia associabile una casistica di comportamenti tale da esortare il vero saggio, ma anche il troppo superficiale, ad evitarla in blocco come la peste.<br />Pregiudizio. A volte utile, a volte inutile, a volte dannoso.</span></span></p><p><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;"><br />In ogni caso una settimana fa, a Egina, siamo arrivati in porto quasi a notte fatta. Come ho già avuto modo di scrivere ormai Egina è piena a tappo anche a giugno, invasa soprattutto dalla sopra citata, invisa, vituperata categoria di conduttori. E anche quella sera in porto non c’era un posto libero.<br />Ma, accanto a un “misero” Bavaria 37, vedevamo due metri da una parte e uno e mezzo dall’altra. Duna è larga esattamente 3.44 metri.<br />Ci siamo avvicinati e MaLa, da prua, ha richiamato l’attenzione di uno dei giovani pigramente stravaccati in pozzetto. Non voglio dilungarmi più del tipo in questione, ma dopo una mezz’ora l’equipaggio del charter - perché di questo si trattava - aveva spostato la barca ed era sceso al completo in banchina a prenderci le cime e a complimentarsi per la manovra. Io sono un falso modesto, e quindi mi piace un casino quando si complimentano per le mie manovre dandomi modo di fare spallucce e rispondere “Ma no, non è niente”. Sono un idiota, lo so. Ma un idiota felicemente ancorato su tre metri di sabbia a poche bracciate da uno scoglio pieno di saraghi dove tra poco andrò a procacciarmi la cena.<br />I tipi, olandesi, erano in realtà di ritorno dalla gita finale di un corso di vela. Ecco spiegata la cortesia, la generosità, l’empatia. E il pregiudizio ne esce intonso.</span></span></p><p><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;"><br />Ieri invece eravamo noi in sette, di ritorno da una settimana di vela con cinque amici “civitavecchiesi doc” che ci hanno fatto divertire come mai credevamo possibile in giro per le rade e i porti di tutto il golfo di Hydra. Il civitavecchiese, consentitemi l’orgoglio campanilista, è nato nel mare. Ha il sangue salato, è un pesce, è un bambino cui qualcuno quarant’anni fa ha strappato il secchiello di mano interrompendone apparentemente l’infanzia in cambio di un posto all’ENEL: se gli ridai il secchiello riparte pari pari da dove aveva interrotto. Ma soprattutto è tignoso, e piuttosto di ammettere di non riuscire a fare un nodo è capace di rimanere tutta la notte a tirare una cima di ormeggio con i denti affermando con la sua calata cantilenante che lui si è sempre divertito un mondo a passare la notte in bianco con una cima tra i denti, e il nodo non vuole proprio farlo. Uno spasso, e un insperato tuffo “a spaccacocomero” nella Civitavecchia passata dei bagni dagli scogli della Lega Navale all’uscita da scuola, dell’Ideale raggiunto a nuoto, di straforo, dallo Scalo di Borgo Odescalchi. Dei ricci di mare prima temuti poi evitati e infine mangiati le domenica di tramontana, in terrazzo, pescando a turno coi miei zii dal “gettacqua” comune con le forbici da cucina di nonna. Fabio <i>il Molosso</i> stanatore di polpi; Alessandro <i>Scampia </i>lo sciupafemmine; il pelato Achille detto <i>il Milanese</i>, che dell’omonimo ha conservato il fascino e perduto il furore; l’<i>Uomo Vogue</i> Massimiliano, colorato cucinatore di pastasciutte e Daniele <i>il Narratore</i>, il nostro Omero neomelodico. Che bellezza!</span></span></p><p><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;"><br />Ma mi sto dilungando, proprio Daniele mi ha contagiato la sua capacità di perdere apparentemente il filo per poi ritrovarlo a ritroso, a sorpresa, dieci racconti più tardi.<br />Ieri siamo arrivati in sette a Poros. Ho scelto un posto lontano dalla discoteca, fin troppo largo per Duna, con un unico difetto: il futuro vicino di dritta aveva calato l’ancora in diagonale, davanti allo spazio libero.<br />La nostra manovra, alla viareggina, è quella di prendere la mira di prua, calare l’ancora e poi andare in testacoda per entrare di poppa. “A pretty technical boy”. L’ancora scende con precisione millimetrica dove vogliamo noi, ma durante l’accostata la catena, prima di essere recuperata, se ne va un po’ in giro, nella fattispecie su quella del deficiente che aveva calato la sua in diagonale. Lui se ne accorge e comincia a urlare che gli ho messo l’ancora sopra.<br />E quello alla sua dritta, che a rigore non c’entrava nulla, non gli era parente e neanche amico, era anche lui a prua a dirmi “Guarda che hai messo l’ancora sopra la sua” col ditino voglioso di essere spezzato a indicare i tremolii delle maglie del deficiente.<br />E soprattutto, non uno è sceso a prenderci le cime.<br />Io ho insultato stancamente entrambi e ho continuato la mia manovra. I miei compagni di giochi sono saltati a terra come un sol uomo per fissare le cime di poppa. MaLa s’è trovato il deficiente all’altezza di orecchio, e ha cominciato a parlarci educatamente. Inutile. I miei amici, nel frattempo, stavano fronteggiando l’assenza di bitte tenendo, come prima accennato, la cima coi denti e i piedi nudi piantati nel brecciolino del molo. Ma senza lamentarsi: perché il Civitavecchiese si lamenta, e tanto, ma solo a sproposito. Io sono andato a prua a chiedere a MaLa di ignorare il tipo e dare un altro metro di catena ma, arrivato a portata di orecchio, sono stato irretito dalla naturale antipatia dell’olandese calvo e borioso che rispondeva ai miei “Non credo, ma anche se fosse che problema c’è? Vorrà dire che saremo noi i primi a partire domani” con una rabbia giustificata solo, in sede appropriata e dopo opportuni sedativi, da un irrazionale identificazione tra l’ancora e il prolungamento del suo evidentemente percepito misero pene che io, con la mia manovra, avevo senza alcuna sensibilità nè rispetto per la sua malformazione fisica e mentale pestato e forse irrimediabilmente castrato.<br />Il deficiente non doveva nemmeno partire oggi, per cui davvero non esisteva nessun problema, ma all’ennesima provocazione ho messo le cose in chiaro:<br />“Scommettiamo cento euro: esci e vediamo se ho l’ancora sulla tua come sostieni. Sappi però che, come hai fatto tu, non ti verrò a prendere le cime.”<br />Lui allora ha finalmente sputato il rospo - confondendomi per un attimo con il suo terapeuta - lasciandosi andare a commenti su Duna, definendola “crap”: “da pezzenti” e io, accecato dal furore della lotta di classe, sono stato trascinato via mentre cercavo di cavargli gli occhi.<br />Non è vero. L’ho solo immaginato. In realtà gli ho attaccato un pippone tecnico sulla manovra appena fatta e sono andato via tremante di furore inespresso a meditare vendette a base di bigattini sversati nella randa, patate infilate a forza nel tubo di scarico, chilate di sarde vecchie cinque giorni lanciate sui materassi della dinette attraverso gli osteriggi aperti.<br />Tornando all’argomento iniziale: il deficiente e l’altro idiota dal ditino facile e dal culo pesante erano due armatori. Di belle barche oltretutto - non saprei definire diversamente un GS 46, seppure in mano a un deficiente <i>(se sto forse ripetendo troppe volte “deficiente” è solo perché lo utilizzo al posto dei tanti, coloriti, svariati e soprattutto pesanti insulti che - pur sacrosanti - non posso oggettivamente mettere per iscritto. Leggetelo come il “biip” della censura)</i>.<br />Due armatori, scrivevo, evidentemente vittime del pregiudizio (vedendoci in sette avranno associato, da deficienti, Duna a un charter) e in postumi da COVID. L’ossessione per la privacy e per il distanziamento. La paura dell’Altro. La bava ormai cronica accumulata ai lati della bocca durante i tanti complottismi e anti complottismi e anti anti anti anti complottismi. <br />Oppure, altra ipotesi ugualmente interessante, semplicemente stronzi.<br />Ma che ci fanno quei due, con le loro barche da centinaia di migliaia di euro, con le loro catene scelte in gioielleria, fuori dai marina di lusso (sottinteso: “A purciari!”) e pertanto vergognosamente esposti alle offese di noi pezzenti? <br />E tornando al problema tecnico: che male ha mai fatto, anche se fosse, una catena incrociata, purché data bene?<br />E chi, ormai, non ha ancora capito che dare una mano al vicino che arriva, soprattutto al più incapace, non è solo una questione di gentilezza ma sopratuttto un modo perché i danni siano pochi e il pericolo passi in fretta?<br />E davvero sarebbe stato meglio, per il Deficiente, che io alle otto e mezza di sera avessi ritirato su l’ancora rischiando, nel caso l’avessi davvero stesa sopra la sua, di spedarlo sul fare della notte?<br />Il Deficiente, ho scoperto, era malamente ubriaco. Me l’hanno detto i miei amici, indicandomi la bottiglia vuota di whisky che galleggiava sotto la sua poppa. E la moglie, quella che ci guardava schifati, dalla poppa del suo GS46 si è tuffata e ha nuotato nelle acque zozze del porto di Poros, davanti alle fogne dei ristoranti, mentre noi, noi pezzenti, ci facevamo a turno la doccia con acqua dolce e sapone sulla plancetta di poppa prima di andare a cena.</span></span></p><p><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;"><br />E stamattina, quando siamo andati a ritirare su la catena per poi finire qui in rada a scrivere questa storia, la sua ancora era ovviamente libera.</span></span></p>Carlo Perishttp://www.blogger.com/profile/01924708518801326577noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1755301731905751871.post-57124135790305569152021-06-20T15:19:00.002+02:002021-06-20T15:19:52.577+02:00La civilizzazione<div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;"></span></span><br /><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;"></span></span></div><p><span style="font-size: large;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-DdoqdLZ1gO8/YM9AEJG5MuI/AAAAAAAAdYk/LMqGw6luXjkmoKTrzTW5AYLmTSTgGelewCLcBGAsYHQ/s2048/IMG_20210611_150341_edit_281234537782083.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1536" data-original-width="2048" height="300" src="https://1.bp.blogspot.com/-DdoqdLZ1gO8/YM9AEJG5MuI/AAAAAAAAdYk/LMqGw6luXjkmoKTrzTW5AYLmTSTgGelewCLcBGAsYHQ/w400-h300/IMG_20210611_150341_edit_281234537782083.jpg" width="400" /></a></div><span style="font-size: large;"><br /></span></div><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;">Ogni anno i charter sono più larghi. Qui a Egina, appena cinque stagioni fa, a giugno eravamo tutte barche armatoriali di dieci, dodici metri, appena uscite dai cantieri del nord dell’isola. Ora, agli inizi del mese, noi siamo gli unici sotto i tredici. E gli unici armatori.<br />I charter, cinque anni fa, erano lunghi 40 piedi. 45’ i più lussuosi. Ora il polacco slavato si gode la primavera greca minimo su un 55, largo come una portaerei. Senza contare i catamarani, che tentano di entrare in porto alle sette del pomeriggio pensando di essere nella baia di Le Marin.<br />Qui il porto si paga per lunghezza, e le barche commerciali hanno quasi il 70% di sconto. Quindi di fatto un catamarano a noleggio di 55’ paga meno di me. Ne entrano quattro e il porto sparisce.<br />I greci questo lo sanno, e per tentare di arginare il danno economico hanno raddoppiato le tariffe. Il che, per i polacchi di cui sopra, che hanno pagato cinquemila euro in dodici per la settimana in “barca a vela”, è comunque una quisquilia. Per noi, che siamo in due e restiamo qui sei mesi, è diventata una spesa importante.<br />E tagliamo le taverne, tagliamo le lavatrici, tagliamo quel che possiamo. Ci illudiamo, perversi, che questo possa avere una ricaduta visibile sull’economia locale: “Ecco, se ne accorgeranno che se pago 13 euro ogni notte in porto non posso affittare il motorino, perché il mio budget rimane lo stesso”. E forse questo è vero, a maggio e a ottobre. Ma nei restanti mesi della stagione il commerciante greco, mia faza mia raza, al massimo reagisce alle mie mancate spese con fastidio, non certo con solidarietà. E di diportisti ellenici in giro per i porti ellenici ce ne sono talmente pochi che non faranno certo sentire la differenza.<br />Così la nostra “eroica” resistenza a malapena rimarrà come testimonianza di un’epoca che, neanche tanto lentamente, se ne va. Una lotta per vendicare la nostra morte che nessun Simonide consegnerà alla storia.<br />I porti, anche i più scrausi, anche i più sgarrupati, sono tutti ormai a pagamento. Alcuni - Nisiros per esempio - economicamente inavvicinabili se non in equipaggio completo. <br />“Questo ora è un marina” mi ha spiegato il ragazzo dell’isola vulcanica lo scorso settembre, dopo avermi chiesto un euro e mezzo per metro. Io mi sono guardato intorno, e mi sembrava uguale identico a due mesi prima. Niente assistenza, niente corpi morti, anarchia completa negli ormeggi, e il canale di ingresso insabbiato. Ho pagato commentando, amaro, “Mi sembra evidente che tu un marina non l’hai mai visto neanche in foto.” Ha fatto spallucce, come un Turco di Marmaris. Mia faza mia raza, anche se detta così potrei attirarmi diverse antipatie.<br />E niente più Nisiros.<br />Se prima mi sembrava di essere beneaccolto in ogni porto, ora mi sembra di sentire addosso il giudizio, negativo, del cameriere della taverna dove ho ordinato solo una birra. E anche se c’è ancora posto accanto a me mi sento di troppo. Potrebbe essere solo paranoia, o forse la differenza è che ora capisco un po’ la lingua, conosco un po’ il paese, e so che l’idea romantica della Grecia come paradiso è, appunto, solo un’idea romantica dovuta all’ignoranza. C’è amicizia e invidia, altruismo e gelosia, bontà d'animo e cattiveria qui come altrove. C’è più spazio quindi è tutto più diluito, e teniamo a mente solo ciò che ci fa più piacere. Questo spazio ogni anno però si riduce, tra spiagge riservate, campi boe più o meno regolari, porti che si trasformano in marina per editto notturno, sciami di 55 piedi larghi quanto Duna è lunga che ormeggiano in obliquo con dieci metri di catena lasca.<br />E da una visione della sconfinata libera prateria dove navigare a piacere, quest’anno mi pesa sull’anima il suo opposto: l’orizzonte che si restringe attorno a me. I limiti che si avvicinano. Se prima i divieti erano misere macchie nel mio infinito universo, ora sono gli scampoli di libertà a galleggiare a malapena, pericolosamente assediati dal “nuovo che avanza”.<br />E se prima il charterista ubriaco, o incapace, o entrambe le cose, era un singolo personaggio - per quanto reiterato nel tempo e nello spazio fino a rappresentare intere banchine di barbari a Poros, o a Skiathos - ora è il simbolo vivo e scalpitante della “civilizzazione” che tutto addomestica, mastica, digerisce e defeca prima di passare a colonizzare, ovvero a cannibalizzare, il prossimo paradiso.<br />Dopo l’indignazione, dovuta, lo ammetto, all’ingiustificato snobismo del virgineo e stupido inesperto che ero, era subentrata un’accettazione zen, una curiosità, una simpatia quasi per le alterne forme del genere umano - purché non tentassero volontariamente o stupidamente di danneggiare Duna. Ora, nel vederli entrare in porto, enormi eppure strapieni, nell’aiutarli loro malgrado ad ormeggiare coscenziosamente le portaerei immanovrabili che qualcuno li ha convinti per denaro fossero alla portata di quella patente nautica spolverata una settimana l’anno, provo solo triste e malinconica angoscia.<br />La stessa angoscia, immagino, del Sioux scalcagnato ma orgoglioso che dal suo cavallo, cavalcato a pelo, osserva dall’alto l’infinita colonna di carri che da oriente si snodano fino al sole al tramonto. Carichi di genti vestite, di mobili, di specchi,di perline, di armi da fuoco e alcol. E all’improvviso si rende conto che è già troppo tardi, che il suo territorio non esiste più, e se sarà fortunato gli verrà offerta una riserva, nel luogo più brutto, scomodo e sfigato di quello che un tempo era una sconfinata prateria libera. E poi, quando sarà abituato a quel poco, gli toglieranno anche quello.</span></span><p></p><p><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;"><br />Stanno sterminando i bisonti: gli sparano dal treno, per gioco, per divertimento, per noia, per passare il tempo. Per far spazio alle case alle strade ai campi coltivati ai recinti e alle discariche. E io, che di bisonti e spazi liberi facevo la mia vita, per il futuro ho un brutto presentimento .</span></span></p><p><span style="font-size: large;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-size: large;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-c0SSct4IpIw/YM8-pdgFdMI/AAAAAAAAdYg/kSlIr6-Cfmk_FXGcGd_uZpgaSvU_sP4uACPcBGAYYCw/s2048/IMG_20210619_175938.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1536" data-original-width="2048" height="240" src="https://1.bp.blogspot.com/-c0SSct4IpIw/YM8-pdgFdMI/AAAAAAAAdYg/kSlIr6-Cfmk_FXGcGd_uZpgaSvU_sP4uACPcBGAYYCw/w320-h240/IMG_20210619_175938.jpg" width="320" /></a></span></div><span style="font-size: large;"><br /><span style="font-family: georgia;"><br /></span></span><p></p>Carlo Perishttp://www.blogger.com/profile/01924708518801326577noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1755301731905751871.post-19848209363333305532020-12-07T00:17:00.004+01:002020-12-07T00:17:57.880+01:00Tutte le notti del mondo<p><span style="font-family: georgia;"><span style="font-size: large;"></span></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-size: large;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-69Q0plNGpLM/X81kY5EIryI/AAAAAAAAdJ0/mF2cneMT0CAMvqiiZQv8HDtezsuvalIAQCPcBGAsYHg/s4619/IMG_20201207_000525.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="3463" data-original-width="4619" height="480" src="https://1.bp.blogspot.com/-69Q0plNGpLM/X81kY5EIryI/AAAAAAAAdJ0/mF2cneMT0CAMvqiiZQv8HDtezsuvalIAQCPcBGAsYHg/w640-h480/IMG_20201207_000525.jpg" width="640" /></a></span></div><span style="font-family: georgia;"><span style="font-size: large;"><br />Vado a letto con le galline, ma prima di infilarmi in cuccetta do un'ultima occhiata al cielo notturno di ottobre.<br />La baia è deserta e le uniche luci, oltre a quella del nostro albero, sono quelle di una casa lontana, un golfo più in là. Ancora non è sorta la luna. <br />E la volta notturna è uno spettacolo meraviglioso. Dritto verso la polare, seguendo il grande carro scopro, basso sull'orizzonte occidentale, Arturo. Sopra di lui, enorme, Boote, e alla sua sinistra la piccola "c" della corona boreale che indica Eracle, il nostro protettore. <br />La via lattea percorre Duna da prua a poppa, disegnata nell'aria con delicati acquerelli in batuffoli morbidi ed evanescenti. Cassiopea è appena sulla dritta, il Cigno allo zenith, il Delfino, minuscolo e aggraziato, lì a fianco. Il Sagittario, il gigantesco Giove incastonato tra gli astri della costellazione, domina a poppa. Marte, sanguigno, controlla le colline che bordano ad oriente il nostro ridosso.<br />Tre stelle cadenti ci salutano rapidamente incrociandosi nel cielo di sud est. A parte il freddo pungente, la notte è perfetta.<br /> </span><p></p><p><span style="font-family: georgia;"><span style="font-size: large;">La sveglia suona alle quattro e mezza. Mi vesto, lento e assonnato, ed esco in pozzetto. Il cielo ha percorso un terzo del suo giro quotidiano. Cassiopea e l'Orsa si sono quasi scambiate di posto. Il Cigno è tramontato ma al suo posto c'è il Toro, inseguito come in tutte le notti del Mondo che è stato e che sarà da Orione e dal suo cane. Invece di Marte ora è Venere a vegliare ad Oriente, mentre il dio della guerra si è mosso a Occidente, e ci indica la via verso Andros. Una stella cadente azzurra ci fa segno di andare, e noi aliamo l'ancora, costeggiamo la costa rocciosa - che conosco bene dalla mia immersione di ieri - per evitare i palamiti dei pescatori al centro della baia, e prendiamo il mare inghiottiti dalla notte. </span></span></p><p><span style="font-family: georgia;"><span style="font-size: large;">Il buio si richiude dietro di noi, e nel nostro spazio ormai vuoto, al centro della baia, rimane solo un delicato aroma di caffè. </span></span><br /></p><p><br /></p>Carlo Perishttp://www.blogger.com/profile/01924708518801326577noreply@blogger.com0Unnamed Road, Chios 821 02, Grecia38.2209066 25.909446138.166948364805606 25.84078154921875 38.274864835194393 25.97811065078125tag:blogger.com,1999:blog-1755301731905751871.post-71315003674800057162020-10-25T10:02:00.000+01:002020-10-25T10:02:25.984+01:00L'imperizia<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-bFXljAtxqeI/X5U4fYUJ13I/AAAAAAAAdGE/WlGS4nvMqksIejuP1LVUFUsRuqiBFmjYACLcBGAsYHQ/s2048/IMG_20201020_095613.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1536" data-original-width="2048" src="https://1.bp.blogspot.com/-bFXljAtxqeI/X5U4fYUJ13I/AAAAAAAAdGE/WlGS4nvMqksIejuP1LVUFUsRuqiBFmjYACLcBGAsYHQ/s320/IMG_20201020_095613.jpg" width="320" /></a></div><br />Premessa: in Grecia ci si ormeggia sulla propria ancora. Questo significa che se c'è un molo tutte le barche sono legate ad esso, di poppa, con delle cime, e avranno di fronte a loro le catene in acqua, con le ancore piantate nel fango. Nella situazione ideale queste catene sono parallele tra loro, perché se non lo sono quando chi è arrivato per primo se ne va tira su anche l'ancora di qualcun altro, la abbandona da un'altra parte e comincia la reazione a catena che io chiamo "il circo". Avendo innumerevoli volte partecipato come comparsa, e un paio come protagonista, cerco sempre di calare la mia delta esattamente tra le catene della barca alla mia destra e di quella alla mia sinistra. E così fanno, o quantomeno dovrebbero fare, tutti. Con alterne vicende, ovvio. Spesso infatti, vuoi il vento, vuoi l'imperizia, vuoi il caso e a volte anche il menefreghismo, i calumi finiscono per incrociarsi. Dopo un po' che sei in giro da queste parti ti ci abitui, cerchi di evitare le situazioni pericolose, cerchi di aiutare gli altri a evitarle e smetti, soprattutto, di incazzarti per il vento, l'imperizia, il caso. E, quando capita, perfino per il menefreghismo. <p></p><p>Ed eccoci, dopo un pomeriggio dedicato a risalire il vento, all'entrata del porto di Egina. </p><p><br /></p><p>C'è una boetta rossa in mezzo al porto, e non può che essere un grippiale. </p><p>A occhio, visto che non è esattamente a metà tra i due moli ma leggermente spostato verso quello nord, deve appartenere al motoryacht ormeggiato da quella parte. Sta proprio lì davanti. Segnala, non si sa bene perché, la sua ancora.</p><p>Ora, filare un grippiale al centro di un porto trafficato, su cinque metri di fondo fangoso oltretutto libero da catenarie o altra robaccia del genere è a mio avviso:</p><p>1) egoistico: pensi di avercela solo tu, l'ancora, o che la tua sia importante e le altre no, e con questo segnale pretendi che la tua venga riconosciuta ed aggirata prima e meglio delle altre.</p><p>2) maleducato, perché limiti la manovra di tutti gli altri con il tuo galleggiante di merda. </p><p>3) criminale: la tua boetta al centro del bacino è un pericolo per chi entra e chi esce. Senza contare che di notte qualcuno potrebbe prenderla nell'elica, al buio, e passare guai seri.</p><p>3) inutile, perché, ripeto: qual è la difficoltà a tirar su l'ancora da fango di Egina? E non ti salva certo dalle catene incrociate, a meno di passare la tua vita in vigilanza perpetua.</p><p>4) stupido, perché mentre fai danno agli altri rischi di procurarne a te stesso: ti prendono la cima con l'elica, ti tirano su l'ancora e ti ritrovi spedato, al buio, legato a una barca in balia del vento.</p><p>Considerazioni a parte, il motoryacht ha un posto libero alla sua destra e uno alla sua sinistra. Quello alla sua sinistra è più grande e, visto che tra poco dovrebbe arrivare Ale che è più largo di noi, scegliamo l'altro. Solita manovra alla "viareggina", saluto i vicini preoccupati per la loro murata ben fiorita di parabordi per poi chiedergli "gentilmente" aiuto per le cime visto che il loro spring ci impedisce di arrivare in banchina, e in una manciata di minuti io e MaLa ci ritroviamo a prua a fare aperitivo con ouzo, olive e tzatziki.</p><p>Alessandro arriva dopo 20 minuti. Appena dentro sistema il tender a prua e viene nel posto che gli abbiamo lasciato, quello a sinistra del motoryacht, calando l'ancora, giustamente, appena a sinistra della famosa boetta.</p><p>E da quattro, vi giuro quattro barche più in là una voce gutturale comincia a urlare in un inglese dall'accento nordico "It's my anchor, go away! Go away! GO AWAY!!!" a testimonianza che il proprietario, oltre a quanto già elencato sopra, è anche affetto da profonda imperizia marinara. </p><p><br /></p>Carlo Perishttp://www.blogger.com/profile/01924708518801326577noreply@blogger.com0Egina, 180 10, Grecia37.7408815 23.50142139.4306476638211549 -11.6548287 66.051115336178839 58.657671300000004tag:blogger.com,1999:blog-1755301731905751871.post-45536455277934661142020-10-22T13:40:00.003+02:002020-10-22T13:40:44.185+02:00La pesca fortunata, e altri incontri<p><span style="font-family: georgia; font-size: large;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-family: georgia; font-size: large;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-OVjNBPmBJUU/X5FvJfnGQJI/AAAAAAAAdFo/P84H7RNCRs0ugGDF1btwNWc_HtpGPYGRwCPcBGAYYCw/s1024/IMG_20201022_143629.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="768" data-original-width="1024" height="480" src="https://1.bp.blogspot.com/-OVjNBPmBJUU/X5FvJfnGQJI/AAAAAAAAdFo/P84H7RNCRs0ugGDF1btwNWc_HtpGPYGRwCPcBGAYYCw/w640-h480/IMG_20201022_143629.jpg" width="640" /></a></span></div><span style="font-family: georgia; font-size: large;"><br />Ieri pomeriggio tirava un bel vento da nord ovest. Col pandino di Giuseppe abbiamo attraversato tutta l'isola, siamo scesi sul versante nord e, sfidando la forza di gravità e la coesione del terreno, siamo arrivati praticamente su due ruote davanti alla scogliera da cui avremmo dovuto immergerci. Io guardavo con preoccupazione il mare schiumoso. Il mio amico mi aveva spiegato che quando c'è onda è più comune trovare pesce. "Almeno qui a Oinoussa" aveva aggiunto, per fedeltà al metodo scientifico.</span><p></p><p><span style="font-family: georgia; font-size: large;">Ma l'idea di infilarmi là in mezzo e andare a nuotare proprio nei frangenti a pochi metri dagli scogli non mi trovava molto entusiasta.</span></p><p><span style="font-family: georgia; font-size: large;">Fortunatamente anche Giuseppe si sentiva un po' pigro. "Sì può fare, ma per te sarebbe molto scomodo, e anche io di andarmene a 500 metri dalla costa fino alla secca che ti dicevo stamattina, con questo mare non è che ho tutta questa voglia."</span></p><p><span style="font-family: georgia; font-size: large;">E così siamo rimontato in macchina e siamo tornati indietro, sempre su due ruote per evitare di rimanere coinvolti nella frana definitiva che cancellerà di qui alla fine dell'inverno quella stradina, di un paio di chilometri. Ci siamo fermati proprio davanti allo stretto attraverso il quale neanche una settimana fa Duna faceva il suo ingresso nell'arcipelago. La nostra zona di pesca sarebbe stata quella sulla riva opposta: la scogliera battuta dalle onde (più basse) per me, una secca in mare aperto (più vicina alla costa) per lui.</span></p><p><span style="font-family: georgia; font-size: large;">Giuseppe è un uomo dal multiforme ingegno, e tra le varie specialità in cui eccelle annovera sicuramente la pesca subacquea. E in più è entusiasta di condividere la sua esperienza e le sue conoscenze con chi si dimostri interessato. Tipo io, che mi immergo senza prendere un pesce da quando ero un pischello in maglione di lana (che protegge dal freddo, un poco, ma infinitamente meno di una muta) al seguito dello zio strafigo. In effetti è anche da quando ero un pischello in maglione di lana al seguito dello zio strafigo che mi caco sotto dal freddo, in acqua. Anche questa potrebbe essere una chiave di lettura.</span></p><p><span style="font-family: georgia; font-size: large;">Comunque sia, Giuseppe è ancora più figo di mio zio, e mi introduce a quella che sarà la prima pesca della mia nuova vita subacquea con un rigore scientifico che forse neanche si rende conto quanto io apprezzi.</span></p><p><span style="font-family: georgia; font-size: large;">Invano. Perché - spoiling - nemmeno oggi prenderò niente. L'acqua è torbida per la corrente (quella sbagliata per i dentici, commenta lui), le onde frangono vicino agli scogli e non mi fanno sentire sicuro. Arrivo sul fondo lentamente seguendo i suoi consigli e mi aggrappo alle rocce. In effetti, immobile, riesco a star sotto molto più del solito. E in effetti dopo qualche secondo mi rendo conto di essere diventato, per il mondo subacquo intorno a me, una delle tante rocce. Pesci prima nascosti saltano fuori dalle tane e mi girano attorno, come piccioni sulla statua di Garibaldi. E ogni tanto qualcuno passa anche davanti alla punta del mio fucile. Ma l'unico che avrei potuto colpire, un bel cefalo apparentemente di 50cm, e quindi lungo forse la metà, mi ha guardato con uno sguardo talmente languido che non ho avuto cuore di premere il grilletto e spappolargli le carni.</span></p><p><span style="font-family: georgia; font-size: large;">Ma questo è successo dopo.</span></p><p><span style="font-family: georgia; font-size: large;">Perché durante il viaggio di andata ad attraversare il canale verso la zona di pesca, a un certo punto abbiamo notato qualcosa di bianco uscire da sotto una roccia. Io, di mio, sarei passato oltre dopo averlo classificato come un "boh bianco", ma Giuseppe mi ha richiamato indietro, mi ha fatto posizionare meglio, e allora ho visto.</span></p><p><span style="font-family: georgia; font-size: large;">La roccia era in realtà uno strato di arenaria che formava un tetto, una sorta di riparo, profondo poco più di un metro. Nel riparo, la cosa bianca si allargava, si allungava fino ad arrivare a un paio di pinne e a un mantello grigio scuro sui lati. Era una foca monaca.</span></p><p><span style="font-family: georgia; font-size: large;">"Sarà morta" ha ipotizzato Giuseppe. Che poi, curioso, si è immerso - saranno stati 4 metri - si è acquattato piatto dietro uno scoglio e, con la punta del fucile, è arrivato a toccare la coda della bestia.</span></p><p><span style="font-family: georgia; font-size: large;">Questa si è stirata pigramente, ha rivolto uno sguardo sdegnato al rompipalle che aveva osato svegliarla, uno ancora più schifata a me, rimasto con il fiato sospeso nonostante fossi in superficie, e con le sue ridicole pinnette ha spinto lentamente via il suo corpo possente. Il maggiordomo sovrappeso, baffuto e dallo sguardo insolente è sparito dopo pochi metri in mezzo alla nebbia portata dalla corrente e illuminata dal sole.</span></p><p><span style="font-family: georgia; font-size: large;">Ecco, già solo questo è bastato a fare di me il pescatore più fortunato del mondo.</span></p><p><span style="font-family: georgia; font-size: large;"><br /></span></p><p><span style="font-family: georgia; font-size: large;">Ieri sera abbiamo cenato a casa di Giuseppe con il pesce che lui - ovviamente - aveva catturato. Noi, di nostro, abbiamo messo l'ouzo artigianale preso a Plomari. Tutto sommato uno scambio proficuo per entrambi. Poi, abbiamo salutato lui, il suo protetto a quattro zampe Malakismeno ed Eleni della taverna.</span></p><p><span style="font-family: georgia; font-size: large;">Stamattina siamo partiti, in parte perché comincia il nostro mal digerito ritorno, in parte per toglierci di mezzo prima dell'arrivo della prossima perturbazione da sud, che promette vento, tuoni e fulmini di qui a tre giorni.</span></p><p><span style="font-family: georgia; font-size: large;">Il canale tra Chios e la Turchia è pieno di sole, e il vento da nord è ancora gentile a questa ora della mattina. MaLa è di sotto in versione pasticcera, io scremo le foto di ieri, controllo che il genoa non si incaramelli allo strallo, do un'occhiata alla traina. Ecco, dritto verso la traina sta arrivando un gommone. Da forma e dimensioni mi pare tanto qualcosa di militare.</span></p><p><span style="font-family: georgia; font-size: large;">Tiro su la lenza prima di causare un incidente diplomatico e i poliziotti si accorgono del pericolo e girano attorno per arrivare a noi, gentilmente, sottovento.</span></p><p><span style="font-family: georgia; font-size: large;">Le domande di rito me le fa un ragazzone roscio con la barba da vichingo. Chiede consiglio a un militare bruno di capelli, carnagione e umore mentre, ai comandi, una ragazza castana dalle guance piene di efelidi è concentratissima nel non toccare Duna nemmeno per sbaglio. Sono svedesi dell'operazione Frontex, con un militare della coast guard di Chios a coordinare. </span></p><p><span style="font-family: georgia; font-size: large;">Salgono a bordo per chiederci i documenti, guardano perfino nell'armadio. Sono professionali, pignoli, ma con una tranquilla gentilezza che non mi fa rimpiangere i controlli in mare subiti "altrove".</span></p><p><span style="font-family: georgia; font-size: large;">Il Vichingo è interessato a Duna, e mi chiede modello e cantiere. Chiacchiero anche con la ragazza al timone, che mi racconta che il gommone è arrivato con un camion, e loro sono qui per un turno di sette mesi.</span></p><p><span style="font-family: georgia; font-size: large;">"Bello!" commento</span></p><p><span style="font-family: georgia; font-size: large;">E lei si guarda intorno, quasi imbarazzata di questo mare blu e di questo sole caldo nonostante l'autunno, e la gioia le illumina il viso.</span></p><p><span style="font-family: georgia; font-size: large;">"Sì," risponde ridendo. </span></p><p><span style="font-family: georgia; font-size: large;">Immagino che per un guardiacoste scandinavo saltare l'inverno artico e venire su un'isola greca a pattugliare il mediterraneo orientale per sette mesi sia quasi una vacanza premio, come vincere un terno al lotto. E, simpatici come si dimostrano, sono sinceramente contento per loro. </span></p><p><span style="font-family: georgia; font-size: large;"><br /></span></p><p><span style="font-family: georgia; font-size: large;">E anche per noi. Scendiamo nel vento fresco verso la prossima baia riparata. Il sole è ancora alto, faremo in tempo a dare ancora prima del tramonto. Forse, addirittura, potrò andare in cerca di un'altra foca monaca. Abbiamo acqua, cibo, ouzo. La canna in acqua, la vela a riva, e Duna che corre a cinque nodi.</span></p><p><span style="font-family: georgia; font-size: large;">È banale concludere affermando che siamo assolutamente, fortemente, felicemente vivi? </span></p><p><br /></p>Carlo Perishttp://www.blogger.com/profile/01924708518801326577noreply@blogger.com0Chio, Grecia38.368182399999988 26.131005610.057948563821142 -9.0252443999999983 66.678416236178833 61.2872556tag:blogger.com,1999:blog-1755301731905751871.post-88625253605101958462020-10-11T18:52:00.000+02:002020-10-11T18:52:15.367+02:00L'isola è piccola<p><span style="font-size: large;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"></div><p><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;"></span></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-Ldy51KgQsK0/X4M28KtEhaI/AAAAAAAAdEg/teLb_3pLM-McvxzF6E5DlqDMEa2O3TIkwCPcBGAYYCw/s2048/IMG_20201007_171119.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1536" data-original-width="2048" height="480" src="https://1.bp.blogspot.com/-Ldy51KgQsK0/X4M28KtEhaI/AAAAAAAAdEg/teLb_3pLM-McvxzF6E5DlqDMEa2O3TIkwCPcBGAYYCw/w640-h480/IMG_20201007_171119.jpg" width="640" /></a></span></span></div><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;"><br />Le esche sono cinque, collegate con dei braccioli lunghi appena 30 centimetri al cavo principale. Ognuna ha due corone di punte acuminate rivolte verso l'alto. Calamari non ne hanno mai presi, ma riescono mirabilmente a infilzarsi su dita, vestiti, parabordi, cime, perfino teak. Ma soprattutto, amano prendersi tra di loro e accoppiarsi furiosamente fino a strangolarsi coi loro stessi guinzagli.<br />Ho cominciato da uno dei capi e sono arrivato fino al "nodo": un ammasso globulare di fili di diverse dimensione, mal tagliati alle giunzioni (a mia parziale discolpa devo specificare che ho comprato l'accrocco già fatto, di mio ci ho messo solo l'ingarbugliamento), dentro il quale si indovinano le forme dei cinque pescetti morbidosi e colorati che i calamari, finora, hanno sempre schifato. Impossibilitato ad andare avanti, ho preso l'altro capo e sono risalito, con pazienza, fino alla prima esca, in corrispondanza della quale cominciava il caos. La vedevo, era lì, eppure non era possibile estrarla. La pazienza si è esaurita in un "puff" ed estratto il coltello ho tagliato il bracciolo, convinto di risolvere così la situazione. E invece no: il pescetto è rimasto lì, incastrato, annodato, comunque impossibile da tirar fuori.<br />Ieri era una bella giornata, il sole caldo e amichevole. Per questo sono tornato alla lenza dopo pranzo. Con la pancia piena, e con un pomeriggio lungo e sonnolento da far passare, la pazienza è pressocché infinita. E infatti dopo neanche due ore sono riuscito a districare l'ultima esca. Avevo risolto un problema che mi portavo dietro da quasi un mese: sbrogliare la lenza per calamari ingarbugliata durante una notte buia e noiosa a Fourni.</span></span><p></p><p><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;">Tutto questo perché ieri al tramonto dovevamo uscire con Giuseppe, pescare per un paio d'ore fuori al porto, ancorare nella rada qui accanto e cenare - calamari o carbonara, a seconda della nostra fortuna - per poi rimanere a dormire lì.<br />Sbrogliata la lenza sono salito su fino al supermarket per comprare lo yougurt e i cetrioli da servire come antipasto una volta trasformati in tzatziki. L'isola è piccola, più d'uno mi ha detto per scusarsi, ragione per cui il supermercato apre a degli orari assolutamente casuali. Ieri pomeriggio, nello specifico, era chiuso.<br />Rimasto lì fuori a smaltire il fiatone e a far compagnia ai gatti, ho alzato gli occhi al cielo attirato da un'ombra e ho visto la Nuvola. Una nuvola? Che ci fa una nuvola in questo mio perfetto mondo di fine estate (è autunno, lo so, ma a ciò io ieri non mi ero ancora rassegnato) in cui i cieli saranno tersi e i venti gentili fino a quando io e solo io deciderò di lasciare la barca in cantiere? Era di quelle grigie, basse, e sfilacciate. E ce n'era un'altra accanto, e un'altra, e un'altra. Per farla breve, mi sono seduto sul muretto, ho scostato il gatto roscio che voleva a tutti i costi pisciarmi sulla coscia, e ho controllato il meteo. E ho scoperto che l'estate sta miseramente finendo persino qui in oriente.<br />Nuvole in arrivo, pioggie previste, raffiche (ovvero, tradotto: temporali) e salti di vento. Altro che esche, calamari e tranquille cene in rade esposte a sud. Quando più tardi abbiamo incontrato Giuseppe ci siamo trovati tutti d'accordo nel rimanere ben saldi in banchina e cucinare una carbonara qui in porto.</span></span></p><p><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;"><br />Dopo cena, rimasto solo con MaLa, il vento è in effetti aumentato. Vento da sud ovest, a schiacciarci sui respingenti in gomma nera del molo di cemento. Sono sceso a spostare i parabordi là dove più servivano, e mentre ero lì due tipi del luogo hanno cominciato a parlarmi in greco. Da quel che ho capito mi stavano dicendo che appena venti metri più in là, dove la banchina piegava a destra di forse trenta gradi, sarebbe stato assai meglio. Considerando che i tipi del luogo normalmente ruotano la testa per non guardarti quando ti incontrano, ho avuto il sentore che il loro consiglio fosse da considerare molto attentamente. E non ho potuto che dargli ragione. A che mi hanno chiesto se volevo che mi aiutassero a farlo subito. Ho risposto sì, sperando di aver capito bene (l'alternativa, forse più in sintonia col normale mood locale, era "Se vuoi ti tagliamo le cime e ti prendiamo a calci il candeliere proprio lì dove la saldatura sta cedendo", ma ieri sera mi sentivo ottimista) e, con Mala in mutande scesa a proteggere la murata di Duna, abbiamo spostato a mano la barca di quei venti metri. Poi i tipi hanno accettato con modestia i miei ringraziamenti e se ne sono andati per la loro strada. In condizioni normali non mi avrebbero neppure salutato, forse non gli sono nemmeno simpatico, ma avevo bisogno di aiuto e me l'hanno offerto, come si fa tra gente di mare. Pratici e di poche parole, i locali: non per niente da quest'isola provengono i più grandi armatori della Grecia, e quindi del mondo. <br />Più tardi il vento è aumentato ancora, e ha cominciato a piovere. Il mini trasloco aveva dato i suoi frutti: mentre prima arrivava al traverso-lasco, ora veniva dal giardinetto-poppa. Sembra poco, ma fa una bella differenza. Sarebbe da sentire in proposito il catamarano che ha ormeggiato in piena notte al nostro vecchio posto. Ieri era al pontile turistico, sulla sua ancora: probabilmente gli ha ceduto sul più bello.</span></span></p><p><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;"><br />E quindi ora siamo qui, chiusi in barca sotto la grandine a controllare che oblò e osteriggi non facciano acqua. Credo sia il caso di ammettere che l'autunno è qui tra noi, o quantomeno vuole intromettersi a tutti i costi tra noi e la prossima estate di navigazioni. Temo anzi finirà per farcela.<br />Quel che è sicuro è che abbiamo fatto un gran bene a non uscire a pesca, a non rimanere all'ancora in rada, ieri sera. Fortuna ha voluto che siamo su una piccola isola, dove il supermarket è in cima al paese ed apre ad orari assolutamente casuali.</span></span></p><p><span style="font-size: large;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="font-size: large;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-yX7DsO4lcM0/X4M3xF6hIxI/AAAAAAAAdEk/TqcPIkGnKzIc0DLjdLiZ_1QplTVnFCFEgCLcBGAsYHQ/s2048/IMG_20201007_134621.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1536" data-original-width="2048" height="300" src="https://1.bp.blogspot.com/-yX7DsO4lcM0/X4M3xF6hIxI/AAAAAAAAdEk/TqcPIkGnKzIc0DLjdLiZ_1QplTVnFCFEgCLcBGAsYHQ/w400-h300/IMG_20201007_134621.jpg" width="400" /></a></span></div><span style="font-size: large;"><br /><span style="font-family: georgia;"><br /></span></span><p></p>Carlo Perishttp://www.blogger.com/profile/01924708518801326577noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1755301731905751871.post-52552717270511378932020-10-06T15:42:00.002+02:002020-10-06T15:42:49.701+02:00Era Destino<p><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;">"Romani!"<br />Così ci sentiamo chiamare, dall'alto della strada che passa a mezza costa qui a Ormos Aghios Ioannis.<br />Usciamo in pozzetto e vediamo Giuseppe sbracciarsi di lontano.<br />"Vi pensavo in mezzo al mare," gli avevo scritto del nostro viaggio quando eravamo già a metà strada.<br />"Infatti siamo appena arrivati!" risponde MaLa.<br />E la conversazione va avanti, nonostante i cento metri che ci separano. Giuseppe sta andando a fare il bagno a nord di Oinoussa, in macchina. Noi vogliamo invitarlo a pranzo domani, anche se non sappiamo ancora se saremo qui o entreremo in porto, una baia più a est di qua. Lui accetta, ci aggiorneremo in mattinata e ci organizzeremo di conseguenza. E ci saluta.<span></span></span></span></p><a name='more'></a><span style="font-size: large;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/--aP7db0F5Jw/X3xzpE1stmI/AAAAAAAAdD0/9Bbb9FbjbOwPmX4ROgVwwqVYy-uhpd_gQCLcBGAsYHQ/s2048/IMG_20201006_163745.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1535" data-original-width="2048" height="480" src="https://1.bp.blogspot.com/--aP7db0F5Jw/X3xzpE1stmI/AAAAAAAAdD0/9Bbb9FbjbOwPmX4ROgVwwqVYy-uhpd_gQCLcBGAsYHQ/w640-h480/IMG_20201006_163745.jpg" width="640" /></a></div><br /><span style="font-family: georgia;"><br /></span></span><div><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;">Siamo davvero appena arrivati. Partiti ancora prima dell'alba, che non è un gran dire, di questa stagione, quando il sole sorge alle sette e un quarto, abbiamo smotorato verso sud ovest tra Grecia e Turchia. È innaturale che qualcuno debba essere costretto a evitare quest'ultima per venire giù da Lesbo. Non credo sia esistito mai navigante che non abbia fatto sosta di là, durante la rotta tra Lesbo e Chio. Come tra Chio e Samos, e andando più giù tra Symi e Kos, o tra Kastellorizo e Rodi. Questa storia dei confini è una gran rottura di palle, e la navigazione di oggi ne è solo l'ennesima conferma. Come se, in questa stagione, ne avessimo bisogno.<br />Dopo un'oretta monta il vento in cui avevo sperato. Prima timido, poi abbastanza forte da far schizzare Duna, tirata dal genoa grande, sul mare piatto. Tre ore, diciotto miglia abbondanti, metà del percorso di oggi. Poi il vento cala, sparisce, ricompare sull'altro bordo, sparisce di nuovo. Anche le pale eoliche sulla Turchia sono ferme. Accendiamo il motore e, contemporaneamente, visto che questa storia delle frontiere ha - come forse ho già scritto - rotto le palle e ho quindi tagliato dritto in piene acque ottomane, anche il VHF.<br />All'andata avevamo ascoltato per tutta la mattina il messaggio di una modovedetta greca, che tradotto diceva più o meno così:</span><p></p><p><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;"><span></span></span></span></p><!--more--><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;"><i>"Nave da guerra turca alle coordinate ..., qui la nave da guerra della marina ellenica..., siete in acque greche e il vostro comportamento è in aperta violazione con le norme internazionali. Ritiratevi immediatamente o ne affronterete le conseguenze."</i></span><p></p><p><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;"><i><span></span></i></span></span></p><!--more--><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;">Ogni 10' circa. Le coordinate corrispondevano a un tratto di mare tra Chios e la Turchia, proprio sotto Oinuossa. La nave da guerra turca si spostava avanti e indietro a suo piacimento, ed era possibile indovinare la direzione della sua prua, prima ancora che dal punto nave indicato dalle coordinate, dalla tensione nella voce del marconista. Per dovere di cronaca non abbiamo sentito spari, quel giorno, né abbiamo saputo di altri speronamenti.<br />Oggi, quindi, pur scegliendo la rotta (quasi) diretta per risparmiare un paio d'ore di viaggio, diamo un occhio più attento del solito all'orizzonte con il binocolo, e rimaniamo in ascolto sul 16. Ci dispiacerebbe dover rientrare a forza, per di più scortati, nel paese da cui abbiamo tanto faticato ad uscire a inizio stagione.<br />Ma, a parte grosse navi da carico, e un peschereccio che si allontana lento verso oriente, non incontriamo nessuno. Facciamo in tempo a calare il genoa e imbrogliarlo alle draglie. Poi a issarlo di nuovo, per poi calarlo ancora. E poi ancora su, per un'oretta, e infine giù, definitivamente, insieme alla randa. Stiamo per attraversare il passaggio che da nord, lasciando a dritta Capo Alykìs, si infila tra Oinoussa e Passà.<br />Questa notte, infatti, vogliamo passarla in rada. E quale rada migliore di quella lontana da tutto, deserta, recondita, quieta, incontaminata, che sicuramente si trova oltre questo stretto da nessuno percorso?<br />Secondo la mappa di un 'antico portolano' riportata dall'Elias il passaggio c'è, e ha un minimo di 2.7 metri. Che a noi va bene, anche se prevedo mi cacherò sotto.<br />Anche secondo Navionics il passaggio c'è. Ma la disposizione dei punti quotati mi fa sospettare che abbiano copiato pari pari la mappa dell'antico portolano. Quindi che mi dica anche lui di passare non aggiunge nulla a quanto già sapevo.<br />MaLa a prua, il motore a regime sempre più basso man mano che la profondità diminuisce.Entriamo. Dieci, otto, sette. Cinque. Quattro. Tre e quaranta: questo avrà segnato, come profondità minima, il mio ecoscandaglio alla fine del passaggio.<br />Solo che, da questa parte, l'acqua è oleosa, e opaca. Anche le spiagge non sono particolarmente attraenti: ciottoli coperti da rifiuti portati dal mare. Andiamo avanti fino alla baia che avevamo prescelto: una parete in cemento armato corre sulla battigia a sostegno della strada costiera. Parecchio costiera. E subito dietro alcune ville sgraziate. Di fianco, invece, baracche di lamiera di pecorai, con i cortili adibiti a discarica edile. Alle spalle, infine, il motivo per cui l'acqua è tutto tranne che invitante: due fish farm una appresso all'altra. Con i venti da sud di questi giorni, i liquami prodotti dai mangimi e dalle gabbie hanno evidentemente invaso questi golfi.<br />Rimunciamo, in dubbio se - già che ci siamo - non sia il caso di andare direttamente in porto, e proviamo a Ormos Fourkerò, la baia papabile successiva. Si apre a sud di Oinoussa, risale mezzo miglio e poi forma due lobi. Ai lati l'acqua, già lo so, non sarà abbastanza profonda per rimanere alla ruota in sicurezza, ma al centro, in testa, su Navionics qualcuno ha messoun waypoint con la recensione "Posto idilliaco, quieto e sicuro. Good holding." Arriviamo su e troviamo una infinita distesa di foltissima posidonia. Non so che ancora avesse il tipo, e non so che tipo di ancoraggi preferisca né cosa intenda per 'good holding', ma io prima di passare la notte ancorato sulla posidonia preferisco rimanere sveglio sotto la pioggia in mare aperto.<br />E quindi, andiamo in porto? Avevamo una terza e ultima possibilità prima di attraccare in banchina. Anche se qui c'eravamo già stati e quindi andavamo sul sicuro. E anche: potevamo risparmiarci il passaggio al cardiopalma e fare il giro classico da ovest. Abbiamo trovato una larga chiazza di sabbia su cinque metri di fondo, abbiamo calato la delta, le abbiamo fatto fare testa. Prima di spegnere il motore ho registrato i cavi delle marce e del gas, che - cambiati una settimana fa - avevano preso un pelo di gioco. Infine, il silenzio.</span><p></p><p><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;"><span></span></span></span></p><!--more--><span style="font-size: large;"><span style="font-family: georgia;">"Romani!"<br />È quasi buio e Giuseppe è tornato. Ci affacciamo di nuovo.<br />"Ho preso un dentice, è troppo grosso per il vostro forno: venite da me a pranzo" e ce lo mostra: in una mano il pesce, dall'altra una delle sue pinne da profondità. Le dimensioni sono le stesse. <br />"Si vede che era destino, che andassimo in porto," sorrido a MaLa. E scendo a mettere il vino in frigo.</span><p></p></span></span></span></span></div>Carlo Perishttp://www.blogger.com/profile/01924708518801326577noreply@blogger.com0Unnamed Road, 821 0138.5229123 26.251407438.092415912956923 25.70209099375 38.95340868704308 26.80072380625tag:blogger.com,1999:blog-1755301731905751871.post-62510761134697852442020-08-12T17:55:00.002+02:002020-08-14T07:38:34.028+02:00La vergogna<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-hxFLJ_EiKag/XzQQQW4nnUI/AAAAAAAAc_U/0T1kjYA6XwIl76AzqfE7pc-ecO9bURuEwCLcBGAsYHQ/s2048/IMG_20200812_130754.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-family: georgia; font-size: x-large;"><img border="0" data-original-height="1536" data-original-width="2048" height="480" src="https://1.bp.blogspot.com/-hxFLJ_EiKag/XzQQQW4nnUI/AAAAAAAAc_U/0T1kjYA6XwIl76AzqfE7pc-ecO9bURuEwCLcBGAsYHQ/w640-h480/IMG_20200812_130754.jpg" width="640" /></span></a></div><p><span style="font-family: georgia; font-size: x-large;"><br /></span></p><p><span style="font-family: georgia; font-size: x-large;">Qui a Lipsi è pieno di barche, soprattutto italiani, soprattutto - ora che si approssima il ferragosto - charter.</span></p><p><span style="font-family: georgia; font-size: x-large;">Charter, di per sé non significa nulla. Chiunque può noleggiare una barca.</span></p><p><span style="font-family: georgia; font-size: x-large;">Tanto che noi siamo fortunati, e ci troviamo accanto a Marco e al suo equipaggio, e circondati dalla flottiglia che lui ha organizzato e guida. </span></p><p><span style="font-family: georgia; font-size: x-large;">Marco è uno esperto, tanto esperto. Ma non se ne vanta. È una caratteristica che esce fuori evidente, prepotente, nel momento stesso in cui mette piede in banchina e comincia ad aiutare tutti, con la pazienza, la gentilezza e la modestia che solo chi è davvero sicuro di sé può permettersi.</span></p><p><span style="font-family: georgia; font-size: x-large;">Marco, ahimè, è un'eccezione.</span></p><p><span style="font-family: georgia; font-size: x-large;">In sole 12 ore, limitandomi a queste ultime per non dover scriverne un romanzo, ho visto cose che hanno fatto impallidire il mio pur traumatico ricordo degli skipper russi ubriachi di Poros.</span></p><p><span style="font-family: georgia; font-size: x-large;">Ieri pomeriggio la quinta barca di Marco, quella con il comandante "non proprio bravo", come lo aveva definito eufemisticamente Riccardo, ha faticato due ore per mettere ancora. Arrivava in banchina traversata, e per lo più senza aver fatto far testa.</span></p><p><span style="font-family: georgia; font-size: x-large;">Poi, finalmente, tutti erano potuti scendere ben vestiti con tutti i bambini al seguito per sciamare tra le viuzze congestionate di Lipsi.</span></p><p><span style="font-family: georgia; font-size: x-large;">Peccato che a mezzanotte la prua sia cominciata a scadere contro il vicino tedesco, provocando le di lui gutturali bestemmie umide di saliva schiumosa di birra. A bordo, "casualmente", si è trovato Marco, che è uscito, di notte, limitando i danni, ed è riuscito nonostante il vento al traverso e l'uomo all'ancora completamente - e lo dico sul serio - incapace, a riportare la barca al sicuro.</span></p><p><span style="font-family: georgia; font-size: x-large;">L'ancora, l'avevano calata a 10 metri dalla prua.</span></p><p><span style="font-family: georgia; font-size: x-large;">Sempre ieri, nel pomeriggio, un altro charter italiano si è ormeggiato dall'altro lato del porto. Erano solo loro, e potevano scegliere dove meglio calare l'ancora. Beh, stamattina nell'andare via sono riusciti a spedare il francese a venti metri da me, sopravvento, da quest'altra parte del porto. Non solo: tirata su la sua ancora, sono riusciti a liberarla solo dietro il suggerimento del solito Marco ("Usate una cima, non ce la farete mai a mano": perché a mano stavano cercando di sciogliere il nodo tra le due catene di acciaio) e poi, tutti contenti, invece di riportargliela dov'era gliel'hanno buttata giù lì, sul posto. Ovvero 20 metri sottovento: sulla mia, di catena. Poi se ne sono andati via tutti soddisfatti, convinti che risolvere il loro piccolo meschino personale problema li avesse magicamente innalzati al ruolo di grandi uomini di mare. Le nostre facce deluse non li hanno scalfiti. </span></p><p><span style="font-family: georgia; font-size: x-large;">E infine Loro, i veri protagonisti di questa storia. Sempre italiani, arrivano e scelgono il lato sbagliato del porto. A banchina praticamente libera. Signori di mezza età, sicuramente per bene, cui la carta di credito e l'invenzione dell'istituto assicurativo hanno dato un facile e pernicioso accesso a una barca troppo grande per la loro patente nautica. Patente cui del resto hanno avuto facile e pernicioso accesso con la stessa modalità. </span></p><p><span style="font-family: georgia; font-size: x-large;">Non hanno la minima idea di cosa fare, poverini. Non sanno non tanto come calare l'ancora, non tanto dove o quando calarla, ma "perché" farlo. </span></p><p><span style="font-family: georgia; font-size: x-large;">Continuano a mettere poca catena (10 metri su sei metri di fondale con un 50 piedi largo come la Nimitz e 25 nodi di vento al traverso), e rigorosamente sottovento. Arrivano in banchina in diagonale, si attaccano per miracolo alle bitte d'angolo, tirando matasse di cime al malcapitato di turno, e osservano il loro musone abbattersi inesorabilmente sul catamarano ormeggiato all'inglese in testa al pontile. </span></p><p><span style="font-family: georgia; font-size: x-large;">Io sono imbarazzato per loro, per me, per il mondo intero. E anche un po' incazzato con chi gli ha consegnato la barca, mettendo in pericolo tutti noi, e con loro, ignoranti e arroganti tanto da noleggiare un simile coso in agosto in Egeo senza avere la minima idea di cosa significhi manovrarlo. </span></p><p><span style="font-family: georgia; font-size: x-large;">Ma Marco no. Lui ha pazienza con tutti. Ritarda la sua partenza, e quella della sua famiglia e dei suoi amici, sale a bordo con loro e organizza su due piedi un corso di ormeggio. Rovista sottocoperta e scopre il magnetotermico del salpaancora, di cui loro ignoravano l'esistenza, e già che c'è gli rimette in funzione la passerella idraulica di poppa. Poi, non contento, prende il timone e gli porta la barca in banchina, costringendo di tigna il tipo all'ancora a calarla a dovere e quello alle cime a lanciarle al suo segnale. A metterle preventivamente in chiaro no, quello nemmeno lui può farglielo entrare in testa.</span></p><p><span style="font-family: georgia; font-size: x-large;">Infine scende, di fretta, dopo un 'ora buona, mi ringrazia per avergli dato assistenza con le cime, saluta e va verso la sua barca per partire. </span></p><p><span style="font-family: georgia; font-size: x-large;">E il tipo che aveva appena aiutato lo chiama indietro perché vuole pagarlo per l' aiuto. </span></p><p><span style="font-family: georgia; font-size: x-large;">Marco rifiuta, ovviamente, ma il tipo insiste, inseguendolo per il molo con la sua saccoccietta della cassa comune comprata a Kos, a costo di offenderlo.</span></p><p><span style="font-family: georgia; font-size: x-large;">Marco rifiuta ancora, mentendo "La prossima volta mi aiuterete voi", che neanche in tre vite potrà mai capitare, per mare, che quelli siano in grado di aiutarlo. O forse no, le vie degli Dei sono infinite ed è meglio lasciare sempre una finestra aperta.</span></p><p><span style="font-family: georgia; font-size: x-large;">Comunque Marco è oramai di spalle, già con la testa concentrata nelle sue prossime manovre. Ma io lo vedo il tipo, la mano grassoccia nel borsellino in stoffa da bancarella per turisti, che tira fuori la banconota con cui vorrebbe pagare l'ora della pazienza, esperienza, precisione, devozione professionale con cui Marco gli ha appena salvato il culo e il portafoglio. </span></p><p><span style="font-family: georgia; font-size: x-large;">La banconota è da dieci euro.</span></p><p><span style="font-family: georgia; font-size: x-large;">Ora, io dico: ma davvero non vi vergognate? </span></p>Carlo Perishttp://www.blogger.com/profile/01924708518801326577noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-1755301731905751871.post-82755505195040355902020-06-23T16:36:00.000+02:002020-06-24T13:42:02.782+02:00La relatività dell'essere cicala<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-Ar1VkTXrRwY/XvIS9esEUDI/AAAAAAAAcw8/S5CP27DxebUxpHnX-NrGUzyBKA1fTQBLgCLcBGAsYHQ/s1600/IMG_20200623_173320.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1600" height="480" src="https://1.bp.blogspot.com/-Ar1VkTXrRwY/XvIS9esEUDI/AAAAAAAAcw8/S5CP27DxebUxpHnX-NrGUzyBKA1fTQBLgCLcBGAsYHQ/s640/IMG_20200623_173320.jpg" width="640" /></a></div>
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"><span style="font-size: large;"><br /></span></span>
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"><span style="font-size: large;">Siamo arrivati in cantiere da quasi una settimana. Abbiamo scostato i teli di copertura, liberato la dinette alla meno peggio, lasciato le nostre valigie semiaperte sulle sedute del pozzetto, sgomberato la cabina di poppa giusto per avere un posto dove poterci sdraiare.<br />Qui davanti a noi, dall'altra parte del viale polveroso che separa le file di barche verso mare dalle file di barche verso monte, c'è una coppia di anziani pensionati tedeschi che ricordo di aver incontrato lo scorso anno a Naxos. Lui si vantava di essere l'unico in Mediterraneo - oltre me, aveva appena scoperto - a calare ancora in porto andando di prua per poi girarsi in banchina. Io gli avevo risparmiato la brutta notizia che la nostra manovra viene chiamata in Toscana <i>alla viareggina</i> (cit. il T, che me lo ricorda ogni volta con lo stesso finto, divertito disprezzo), e ci sarà pure una ragione. <br />Loro sono continuamente, ora dopo ora, all'opera.</span></span><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-mGTd7nhxAl8/XvITLvbcdDI/AAAAAAAAcxA/JZ4CZnaXbkgaoKr3uF7gbFHkYE8UPMKpQCLcBGAsYHQ/s1600/IMG_20200623_173228.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1600" height="480" src="https://1.bp.blogspot.com/-mGTd7nhxAl8/XvITLvbcdDI/AAAAAAAAcxA/JZ4CZnaXbkgaoKr3uF7gbFHkYE8UPMKpQCLcBGAsYHQ/s640/IMG_20200623_173228.jpg" width="640" /></a></div>
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"><span style="font-size: large;"><br />Noi ci svegliamo tardi e lentamente scendiamo la scala a pioli che ci porta ai bagni. Loro sono già lì a lucidare gli acciai con uno straccio di lana e un piccolo spazzolino da denti.<br />Noi saliamo in motorino per andare a fare un giro, a prendere un caffé, a fare un tuffo in mare. Li lasciamo al lavoro e li ritroviamo ancora intenti a sgobbare. Pulire, scartavetrare, imbarcare cose e sbarcarne altre.<br />Noi pranziamo, all'ombra della copertura che Riccardo ha sistemato sul pozzetto. Loro sono qui sotto, in pieno sole, a respirare la polvere di un ridicolo e costoso aggeggio a vibrazione con il quale pretendono di - e riescono a - carteggiare l'intera opera viva panciuta del loro quindici metri a chiglia lunga.<br />Noi qui a bere vino ghiacciato e loro lì a sudare. E l'elenco potrebbe allungarsi all'infinito.<br />E mi metto, divertito, nei loro panni.</span></span><br />
<span style="font-family: "georgia" , "times new roman" , serif;"><span style="font-size: large;"><br />I panni di una coppia di scorbutici e cocciuti pensionati tedeschi, certamente stremati dal lavoro ingrato che anche quest'anno non hanno voluto subappaltare al cantiere, con forse i classici pregiudizi (peraltro giustificatissimi) sui mediterranei in genere e sugli Italiani in particolare, cui oltretutto mancano due informazioni fondamentali:<br />1) La barca non è la nostra. Siamo solo ospiti di un caro amico il quale poi, al suo arrivo, farà sì a sua volta carena.<br />2) Siamo qui solo per caso, di passaggio, in attesa di poter proseguire per la Turchia e per la nostra barca, dove a nostra volta avremo da lavorare.<br />E mi immagino come amici e parenti probabilmente li accusino con malcelata invidia di comportarsi da cicale, e loro siano orgogliosi, dopo una operosa vita teutonica, di aver scelto questa via, di dare questo esempio. E poi, improvvisamente, di fronte a due 'giovani' come noi, ecco che vengono retrocessi di nuovo al ruolo di formiche. Perché anche l'essere cicala è relativo.<br />E me li immagino, tra loro a denti stretti, le ascelle grondanti e le fronti sudate impastate dalla polvere rosa dell'antivegetativa appena grattata, lamentarsi con voce gutturale:<br />"Italiani, Italiani: noi a lavorare mentre loro solo mangiare, bere e scopare!"</span></span>Carlo Perishttp://www.blogger.com/profile/01924708518801326577noreply@blogger.com0