Sono qui, davanti a me, turchi e vittime di loro stessi. In mezzo al porto su uno yacht grigio di dimensioni "vorrei ma non posso" nuovo di pacca. Due ragazzi in maglietta bianca al musone di prua, l'armatore e la sua bionda industriale sul fly bridge, ai comandi. La loro ancora a pennello, incastrata sotto tutte le altre. Ecco il porto di Simi alle cinque del pomeriggio di un giorno di agosto in cui in Turchia, qui davanti, è festa nazionale. Arriviamo - come sempre nelle ultime settimane - in due barche: io al timone di Orpheas, il 48 piedi dove stiamo sfangando il clou della stagione, MaLa prodiera e addetta al primo vaffanculo a prua (in questo operiamo come un rasoio bilama, lei alza il pelo e io lo taglio) e Ale con Kallikratis. Eravamo convinti, illusi, di essere in orario per trovare posto. Ah! Un grosso motoscafo galleggia a mezzo porto con l'ancora incastrata sotto due catene. Un altro gli gira intorno, in attesa di una mossa falsa del primo per calar...