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Visualizzazione dei post da giugno, 2020

La relatività dell'essere cicala

Siamo arrivati in cantiere da quasi una settimana. Abbiamo scostato i teli di copertura, liberato la dinette alla meno peggio, lasciato le nostre valigie semiaperte sulle sedute del pozzetto, sgomberato la cabina di poppa giusto per avere un posto dove poterci sdraiare. Qui davanti a noi, dall'altra parte del viale polveroso che separa le file di barche verso mare dalle file di barche verso monte, c'è una coppia di anziani pensionati tedeschi che ricordo di aver incontrato lo scorso anno a Naxos. Lui si vantava di essere l'unico in Mediterraneo - oltre me, aveva appena scoperto - a calare ancora in porto andando di prua per poi girarsi in banchina. Io gli avevo risparmiato la brutta notizia che la nostra manovra viene chiamata in Toscana alla viareggina (cit. il T, che me lo ricorda ogni volta con lo stesso finto, divertito disprezzo), e ci sarà pure una ragione. Loro sono continuamente, ora dopo ora, all'opera. Noi ci svegliamo tardi e lentamente scendiamo la sc

La Libertà

"May I help you?" e mi avvicino alla tedesca avvizzita e curva che, con inutili colpi di clava, sta cercando di smontare un trabattello tra le barche in secco alla mia destra. Il sole già picchia forte qui al marina Evros di Lakki, e nonostante abbia premura di raggiungere i bagni mi pare davvero maleducato lasciare l'anziana signora a se stessa. E anche il trabattello. Mi avvicino, dicevo, e le tolgo gentilmente di mano la clava. Supero con un gesto alcune migliaia di anni di evoluzione utilizzando il medesimo oggetto come leva: come per magia il telaio viene via in un amen. La tedesca se lo carica sulle spalle curve e se lo porta via svelta, tra le pance polverose degli scafi, mormorando "Thank you, I can handle it now". Neanche un saluto. Che burina, penso. E poi, subito dopo: il Covid, cazzarola! Me ne ero dimenticato. Per questo qui in cantiere ognuno si fa i fatti suoi, e nessuno si interessa a noi. Per questo, del resto, a fine giugno tutte le ba

L'inerzia, o la ricerca della stabilità

È notte, sono a letto e guardo il soffitto. Dalla piccola finestra di questa mansarda la luce della luna piena entra a carezzare il nostro sonno. Ma io non dormo. Ascolto, qui vicino, il mare. Il suo respiro regolare, il suo russare quieto come quello di un anziano parente, un po' burbero, i cui interminabilli racconti hanno il gusto malinconico di avventure passate eppure possibili. Possibili eppure passate. Ho fatto ancora una volta le valigie. Ho impacchettato tutti gli oggetti che mi hanno aiutato a vivere in questa casa negli ultimi due mesi e li ho caricati in macchina, impilandoli poi in un garage lontano da qui. Ho piegato i miei tappeti da nomade con i gesti istintivi del nomade che sposta il suo accampamento con la  nuova stagione. Le stelle sono in posizione, anche quest'anno è tempo di migrare. Ma il nomade i cui pronipoti hanno tessuto questi tappeti sapeva, ogni anno, dove andare. E quando, e dove, sarebbe tornato. Era, a suo modo, un pendolare. Aveva la sua