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Visualizzazione dei post da settembre, 2015

Spezzo le catene!

Passo i pomeriggi a fotografare le nuvole. Si avvicinano da ovest, di là dalle cime di Milo, fanno ruotare il vento, soffiano raffiche che strappano schiuma al mare color del vino, mi passano sopra e si allontanano. Via, lontane. E io qui. Passo le mie giornate a fotografare le nuvole, e le albe e i tramonti. E i gabbiani alti nel cielo, e i riflessi della luna piena sull'acqua ferma appena sotto la scogliera. E le giornate passano, lunghe eppure rapide. Brevi intermezzi tra una colazione e una cena. Infinite ore a controllare la presa dell'àncora. Sto scadendo? Accendo il motore? C'è il sole e tutto mi sembra possibile. Partirei subito, anzi sto per farlo. Ma l'orizzonte si fa scuro, e io lì devo andare, e il tuono si fa sentire, cupo. Aiuto, penso senza volerlo, sto per morire. Nuvole che passano sopra di me, al mio fianco, e la barca che segue docile i cambi di vento. Ho dato catena, tanta catena per essere sicuro, questa mattina, quando la prima raffica

La ricerca del Graal

“All paths are the same: they lead nowhere. ... Does this path have a heart? If it does, the path is good; if it doesn't, it is of no use. Both paths lead nowhere; but one has a heart, the other doesn't. One makes for a joyful journey; as long as you follow it, you are one with it. The other will make you curse your life. One makes you strong; the other weakens you.”  ― Carlos Castaneda, The Teachings of Don Juan: A Yaqui Way of Knowledge Sono seduto su un alto sgabello al tavolo di un gyros qui ad Adamas, Milo. Neanche un'ora fa ho dato àncora dopo aver puntato il molo, staccato il motore e affidato il timone ad Arthur. Apri frizione, stringi frizione, ha fatto testa: apri di nuovo, ma non troppo. Di nuovo io al timone, 180 da guappo e via in banchina. La scusa ufficiale, anche con me stesso intendo, è che ho finito la birra. In realtà è da Leros che non tocco un porto, e comincio ad avere fisicamente bisogno di gente intorno. Strano, non lo avrei mai detto. E

Le infinite possibilità future

La vita è una giovane donna stesa accanto a te. Sembra dormire, beata nel sole di luglio, e se fai attenzione puoi sentire il suo respiro rilassato, profondo. La pelle nuda delle sue spalle, del suo collo, è profumata e liscia e abbronzata del colore dorato delle spiagge di Ios. Desideri con tutto te stesso toccarla, o almeno sfiorarla carezzarla, ecco che le tue dita si muovono da sole con un'intenzione che non pensavi tua, ma poi si fermano, a pochi millimetri, là dove ti sembra di sentire il suo calore nonostante il tepore estivo. Hai paura di svegliarla. Di più, non sai come reagirà al suo risveglio: accetterà la tua carezza, o si scuserà imbarazzata lasciandoti in fretta? E allora rimani così, immobile, quasi trattenendo il respiro, a cercare di credere di sentir fluire qualcosa nonostante la distanza, ad assaporare tutte le possibilità future, che il tuo gesto rimandato - solo di un altro poco, promesso - lascia intatte.  È così che vedo sfuggire le isole più belle, in

I demoni di ieri

Sveglia alle quattro e mezza, sistemo le ultime cose e parto che è ancora notte. Lasse è sveglio ma "nasconde le lacrime", Giovanni agita da lontano una torcia in segno di saluto, gli altri sono ormeggiati lontano, li ho abbracciati ieri sera dopo cena. Esco da Lakki come sono entrato: al buio. Fuori il mare monta rapido, e sul più bello abbocca un tonno di quelli che quando hai recuperato tutto e li guardi negli occhi e ti preoccupi di sguainare il raffio senza infilartelo nel sottocoscia ti dicono "ciao" e si riprendono tutta la bobina. Svento tutto, ma non basta, orzo, e il meltemi alza la sua voce di un tono. Per un'ora e mezza siamo io e il pesce, muscolo contro muscolo, mentre Duna viaggia verso ovest risalendo le onde. Poi l'amo ha la meglio, il mulinello lo porta sottobordo, e in equilibrio tra il legno della pedana e la schiuma dei frangenti lo arpiono col raffio, lo tiro a bordo, lo finisco a coltellate, lo assicuro al pulpito. Lo lascio lì

I've had a dream

Ho fatto uno strano sogno, che ancora adesso non mi lascia dormire. E allora rimango qui in pozzetto, a dondolare nella debole risacca lasciata dal vento appena calato e nel canto dolce proveniente dalla spiaggia di Sivrice Limani. Mi arriva attraversando la nera superficie liquida insieme ai riflessi dei lampioni e delle luci delle palafitte, così come mi è arrivato il richiamo del muezzin, puntuale alle 21.50, roco stasera, triste e stonato come fosse vecchio e stanco l'uomo di là dal microfono. Alle mie spalle il Sagittario insegue lo Scorpione sullo sfondo della Via Lattea, in un cielo di seta. E al di là del canale, a poche miglie, le luci di Lesbo. Siamo a un passo dalla Grecia, potremmo quasi toccarla con un dito, da qui, o approdarvi facilmente se solo ci facessimo trasportare dalla debole e fidata corrente. Lo faremo tra un paio di giorni, dopo aver sbrigato la burocrazia di uscita ad Ayvalik, poco più giù. La sera è dolce, la cantante sulla spiaggia intona una canzo

Io non li odio, i charteristi

Il Beneteau che mi si infila a fianco è enorme. Voglio dire, è un 50 piedi, ovvio sia grosso, ma è comunque esagerata la larghezza del suo baglio. In realtà qualunque cosa è esagerata a bordo. Ciascuna delle finestre della sua tuga ha più plexiglass di tutti i miei oblò. Il suo albero ha più alluminio degli infissi del mio condominio. La sua randa rollabile più tela delle tende da sole del mio palazzo. Al confronto, la Duna sparisce. Anche i parabordi sono proporzionati. Peccato che nessuno, nonostante i miei sforzi linguistici, si degni di spostarli da dove il cantiere li ha annodati nel giorno del suo varo, evidentemente a fianco di altri 50 piedi, a dove potrebbero essere utili a tenere lontano il bottazzo di un microscopico vecchio Serenity. In pratica, oltre ad avermi schiacciato, sono i miei parabordi a rischiare di scoppiare, mentre i suoi si riposano, morbidamente avvolti nel panno blu, certo lavato in ammorbidente. La bandiera è del Delaware, e da queste parti i soli a