Ci svegliamo nella campagna Croata, a pochi chilometri da Karlovac. Arrivando qui ieri avevamo avuto una vaga impressione di quanto fosse isolato, ma al buio, a mezzanotte e dopo una giornata di viaggio non ce n'eravamo resi pienamente conto. Stamattina, invece, ci aspettano chilometri e chilometri di prati e boschi, con case restaurate o ricostruite da poco con tamponature in mattoni rossi mal cementati e lasciati a vista. Quelle non restaurate hanno buchi sull'intonaco. Credo siano stati fatti dalle mitragliatrici.
Karlovac è piena di gente che passeggia al sole lungo i fossati che circondano il centro storico, trasformati da tempo in giardini. All'interno, l'antica fortezza si indovina dalle forme a stella dei palazzi disabitati e cadenti che ricalcano le mura costruite secoli fa per fermare l'avanzata dei Turchi. C'è un qualcosa di simbolico, forse, nel passare proprio di qui per andare verso la Turchia.
In tarda mattinata partiamo per l'Ungheria, diretti al lago Balaton. Mano mano che ci avviciniamo al confine la condizione delle abitazioni migliora. Alla vista della prima cicogna, dritta sulle zampe con il lungo becco a grattarsi sotto le ali incurante delle macchine, dei passeggiatori, degli avventori del pub lì a due passi, ci fermiamo e con mal represse urla di gioia scendiamo dalla macchina e, correndo in punta di piedi, ci avviciniamo a fotografarla. Il nido è costruito su una piattaforma circolare preparata appositamente in cima a un palo della luce. Tutti i pali della luce del villaggio hanno la stessa piattaforma, e su ogni piattaforma c'è un nido dentro il quale una o due cicogne si grattano o covano o danno da mangiare ai loro marmocchi. Vista una viste tutte, e così sfrecciamo avanti senza più fermarci. Quello che ci stupisce, però, è che passato il confine ungherese il corrispondente, identico paesino non ne ospiti nemmeno una. Che se le mangino, di qua?
Al Balaton ci arriviamo di sera: abbiamo deciso di evitare le autostrade per andare piano e passare per le campagne. Arriviamo alle sue sponde per constatare che neanche morti ci bagneremmo nelle sue acque e ci lasciamo dietro le spalle l'infinita distesa liquida al tramonto per interessarci al primo pasto ungherese. Nel menù c'è la trippa, e me ne scofano con soddisfazione un piatto abbondante. Il risultato finale dell'abbuffata è che per la seconda giornata consecutiva ci troviamo a viaggiare di notte. La cosa ci innervosisce, le strade sono strette e poco segnalate e noi stanchi.
Ce l'eravamo anche detto: "Non viaggeremo col buio" e ripetuto: "Non viaggeremo più col buio", e per ribadire il concetto cominciamo ad accusarci l'un l'altra di aver perso tempo o di aver preso la decisione sbagliata o di non aver obiettato alla decisione sbagliata o di aver grattato la marcia ingranando la prima all'ultimo incrocio. Di buono c'è che ci teniamo svegli e in forma, e che i sereni e costruttivi scambi di opinione fanno passare in fretta il tempo. Mentre gesticoliamo nel buio, una voce improvvisamente ci avverte: "Se diacosa metra mine aristerà!".
Rimaniamo muti, guardandoci allibiti.
"Mine aristerà!" ci ammonisce, di nuovo.
Riconosciamo Yorgos, la voce-guida greca di Waze, cambiata per quella inglese sei mesi fa: tanto erano costruttivi i nostri scambi di opinione che si è sentito in dovere di risorgere dalla memoria del mio telefono e di intervenire a ricordarci che il viaggio per arrivare a casa sua è ancora lungo. Pochi minuti e, non senza aver prima grattato coppa dell'olio, marmitta e quant'altro sul dosso del cancello di accesso, parcheggiamo nel garage della nostra meta notturna, la più economica della regione e forse del mondo.
Ci infiliamo a letto scontrosi e rimaniamo tali per quasi cinque minuti.
MaLa, invece, l'ha vista così.
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