Come nel miele.
Ieri sera abbiamo fatto tardi, persi in chiacchiere con Giovanna e Stefano. Ben dopo mezzanotte abbiamo salito gli scalini che dal soggiorno portano alle camere da letto, abbiamo sfrattato dolcemente Saretta, che aveva colonizzato il nostro giaciglio, e ci siamo infilati sotto le coperte. Lei, bofonchiando, è andata a sdraiare i suoi venticinque chili di pelo sui piedi dei suoi padroni. A metà nottata, poi, si è svegliata e, lenta e silenziosa, è tornata dabbasso, sul divano. Saretta utilizza l'intera casa, e nonostante la veneranda età di quasi quindici anni non teme le scale.
La notte, scrivevo. Un silenzio totale, quale forse ho sentito solo nel Sahara, decenni fa, dormendo in tenda fuori dall'accampamento composto solo da me, la guida libica e il tuareg. Un silenzio talmente assoluto da tapparsi le orecchie per non sentirne il peso. Nemmeno un abbaiare lontano, una macchina, un fruscio. Nulla. Un riposo magnifico.
Non è la prima volta che vengo qui: quella volta avevo forse vent'anni, ed ero arrivato in moto da Civitavecchia per fare la stagione come lavapiatti. Una Moto Morini Kanguro: l'avevamo io e altre tre persone in tutta Italia. Un po' come adesso il CBS Serenity: gli anni passano ma il destino di ognuno di noi prende la rincorsa da lontano. Ci sono tornato poi a più riprese, raramente da solo, spesso accompagnato, ogni volta con avventure più o meno rocambolesche. Come quando, insieme a un mio amico fraterno, eravamo saliti per la festa di compleanno di Giovanna. Eravamo partiti non da Civitavecchia ma addirittura da Ariccia, dove lui mi aveva prelevato dopo una partita di hockey - probabilmente persa, non ricordo - e la serata d'obbligo in fraschetta. Arrivati alla festa ci eravamo dedicati entrambi a due obiettivi impossibili e oltretutto in palese contrasto tra loro: far fuori tutto l'alcol disponibile e far colpo sulla fidanzata di tal Fabio, signorotto locale tronfio e arrogante che avevamo odiato sin dal momento delle presentazioni.
La ragazza era bionda, ricordo questo, e forse piacente. Ci dava spago perché, probabilmente, Fabio era antipatico anche a lei. Può darsi però fosse l'alcol a darci questa impressione. Comunque flirtava con entrambi, e l'unico particolare che ci dava disturbo era che lei, per sue stessa ammissione, fosse una tricomaniaca. Si mangiava i propri capelli e poi li rivomitava, raccontava, ma siccome non lo fece mai davanti a noi appariva, tutto sommato, innocua: già ai tempi ero discretamente stempiato. Della serata ricordo solo i suoi capelli, la faccia contorta di Fabio che non la prese bene, le risate ubriache del mio amico - o forse erano le mie - e la conclusione. La bionda chiamò i carabinieri denunciando tutti per furto, sostenendo che qualcuno tra i presenti, magari qualcuno poco conosciuto da quelle parti, magari qualcuno che veniva da fuori, qualcuno con cui certo lei non aveva mai parlato durante tutta la festa, le avesse sfilato dal portafogli qualche milione di lire. Non era affatto innocua. Vedo ancora il mio amico, barcollante, gli occhi ridotti a due fessure ammiccanti, sussurrare con complicità nell'orecchio del maresciallo: "Lei non deve dare ascolto a questa donna: è una tricomaniaca."
Ci salvarono i nostri amici, testimoniando a nostro favore, e Fabio la lasciò quella sera stessa. Non per questo guadagnò la nostra simpatia, sia chiaro.
La nostra simpatia, invece, va tutta ai genitori di Stefano: Vittorio e Anna. Abitano qui accanto, e in ciabatte ci siamo trasferiti da loro, nel pomeriggio, per una merenda a base di vino e bruschetta che è diventata aperitivo e poi quasi cena. Nella penombra del soggiorno i loro racconti vivono come proiettati sulle pareti bianche, piene di ricordi e trofei. Vette scalate, incidenti alpinistici, navigazioni oltre il Circolo Polare, avventure con la polizia egiziana, alberghi sperduti tra le Alpi e perfino un vascello da corsa, l'Avvenire, con la quale gli avi di Vittorio fecero fortuna. Vite vissute appieno, dense, che traboccano inarrestabili dalla loro memoria. E noi avviluppati come nel miele, sognanti, ignari del sole che cala e sparisce e raccoglie le forze pronto a splendere, invitto, su un nuovo giorno.
PS: Anche oggi MaLa conserva per tutto il giorno il suo cellulare. Ho il sospetto sappia che io scrivo di lei.
MaLa, invece, l'ha vista così.
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