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Giorno #12 - Km 3590 - La finestra sul cimitero

Arriviamo a Eforie Nord a notte fonda. Abbiamo guidato per tutto il giorno attraverso la Transilvania e poi nell'infinita monotona pianura che dai Carpazi arriva fino a Costanza e al Mar Nero. Abbiamo mangiato male in un autogrill dopo aver avuto conferma che trovare un posto dove qualcuno sia disposto a farti cenare, da queste parti, è un'impresa impossibile. Abbiamo anche litigato tra di noi, per futili motivi, per nascondere la noia e la delusione. O forse per scacciare la spenta malinconia che ci assale non appena guardiamo fuori dal finestrino. Ma ora abbiamo fatto pace. All'apparenza.
L'affittacamere è, anche stasera, gentile. Ci aspetta fino quasi a mezzanotte, ci fa vedere la stanza e sparisce nell'oscurità. Il luogo è perfetto per quello che ho in programma. Queste case basse costruite proprio sul bordo del cimitero sembrano per la maggior parte abbandonate, il che farà il mio gioco.
In una delle soste pomeridiane sono entrato in una ferramenta e mi sono accaparrato l'ultimo tubetto di colla per tessuti. I guanti di lattice li prendo senza farmi vedere dal bagagliaio, prima di salire in camera, il resto l'ho nella borsa. Le scale scricchiolano, è vero, ma conto di agire rapido e di non aver più bisogno di scendere una volta chiusa a chiave la porta.
Appena soli MaLa pretende di risolvere le questioni pomeridiane. Io abbozzo, le do ragione.
"Perché hai cambiato idea improvvisamente?" mi chiede lei, sospettosa.
"Perché ci ho ragionato sopra, e sono arrivato alla conclusione che ho sbagliato io, oggi," mento spudoratamente.
"Non sono d'accordo: sono io ad aver sbagliato, e ti chiedo scusa," mi risponde, a sorpresa.
Segue un'ulteriore litigata a riguardo, a parti invertite rispetto a questo pomeriggio. Io non riesco a convincerla che ha ragione lei, e non sono disposto ad ammettere che è stata lei a sbagliare. Una situazione imbarazzante. Finiamo per metterci a letto dandoci le spalle, spegniamo la luce e chiudiamo gli occhi senza esserci augurati la buona notte.
"Te la do io la buona notte" penso tra me, mentre aspetto che lei si addormenti per mettere in atto il mio piano.
Il mio piano è semplice, efficace, geniale. Consiste nello spalmare la colla per tessuti sul cuscino, applicarlo alla faccia della mia compagna in maniera che lei non possa urlare e, prima che soffochi, forarle i talloni sopra il tendine di Achille e passare nel buco una cinghia. Conto di riuscire a fare almeno tre, forse quattro giri attorno al letto e, una volta soddisfatto il mio ego - perché ha ragione lei: IO ho ragione - scioglierla nell'acido. Certo, avrei preferito avere un carro da guerra per poterla trascinare nella polvere attorno alle mura di questa villetta, ma nonostante la preponderanza dei morti rispetto ai vivi questo quartiere potrebbe essere ancora troppo attento ai dettagli per poter agire in tal senso in maniera indisturbata.
Attendo fino a che mi sembra che il suo respiro si sia fatto regolare, e poi piano piano faccio per scivolare fuori dal letto. Lei ha un sussulto, un sospiro, e io mi blocco. Rimango fermo nel buio ancora cinque minuti ma niente, sento che si muove lenta dalla sua parte del letto. Fossi riuscito a farle accettare le sue ragioni, a quest'ora starebbe già dormendo e io sarei pronto nel buio con il cuscino in una mano e il cacciavite nell'altra! Mai una volta che mi dia ragione, testarda che non è altro.
Il tempo passa, i rumori continuano. Non riesce ad addormentarsi, e nel frattempo sta venendo a me, il sonno. E infatti, mio malgrado, sono io a chiudere gli occhi e a cedere. Dormo.
Fino a che un rumore sospetto mi sveglia. Per un attimo penso di essere stato fortunato, di avere finalmente l'occasione che aspettavo da tempo. Invece anche MaLa, mi accorgo, ha aperto gli occhi e si muove circospetta dalla sua parte del letto. Frustrato, resto in ascolto.
Ancora un rumore, dall'esterno. C'è qualcuno che cerca di aprire la porta. Piano piano scivolo fuori dalle coperte, ancora armato di cuscino e cacciavite, e mi avvicino all'interruttore della luce. Un crack, improvviso, e la maniglia cede - non avevo dubbi a proposito: era marcia come il resto di questa stanza. Accendo la luce e rimango per un attimo abbagliato.
Tutti rimangono abbagliati, in effetti, e ho tempo di osservare con cura la scena come fosse un fermo immagine. La porta è penzoloni su uno dei cardini. Un tipo ha ancora in mano la maniglia, sradicata. È alto come me, ma più secco, e sporco di terra. In effetti è parecchio secco, anzi sembra quasi mummificato. La pelle del viso è scura e rugosa, gli occhi spenti dentrole orbite. I denti gialli. Quei pochi che ha, almeno. Di capelli ne ha meno di me, al contrario del secondo, subito dietro, più basso e con una lunga treccia incrostata. Stessi tratti somatici, se si eccettua per un neo bianco sulla guancia. Il neo si muove. Non è un neo, ma un verme: sono zombie, ovvio. Loro e tutta la folla che spinge per entrare a farci visita.
MaLa è oltre il letto, di fronte a me, addossata al muro. Perfettamente vestita, ha in una mano un martello da ciabattino, nell'altra una sega da falegname. Mi pare strano, ma al momento gli zombie sono assai più insoliti, e mi concentro su di loro. Il primo si avvicina, e io gli appiccico il cucino in faccia. Comincia ad annaspare, roteando goffamente le braccia lunghe e ossute. La forza centrifuga gli fa perdere pezzi, e devo abbassarmi per schivare il mignolo, che colpisce il muro dietro di me e rimbalza a terra. Da lì, piano piano, comincia a strisciare verso il suo leggittimo proprietario.
Nel frattempo MaLa, mi accorgo, è occupata a segare via il braccio dal secondo zombie, rivelatasi una donna di mezza età particolarmente aggressiva, e contemporaneamente martellarle la fronte. Il braccio viene via ma non ferma l'avanzata della donna. Io, dal canto mio, do uno spintone all'uomo col cuscino e affronto il vecchietto contorto subito dietro. È basso, ma arriva più su di me grazie al colbacco spelacchiato e tarlato che ondeggia di qua e di là mentre lui mi perquote col suo bastone. Il bastone, scopro presto, è di legno buono, e i tarli non l'hanno attaccato. Dietro a lui il mio primo avversario si è strappato via il cuscino dalla faccia, e la faccia è rimasta attaccata al cuscino.
Indietreggio, salgo sul letto e mi metto spalle al muro. La stessa cosa fa MaLa, e ci troviamo fianco a fianco nell'estrema difesa. La stanza ora è talmente piena di corpi in putrefazione che, se non da loro, potremmo morire soffocati dalla puzza. Sempre che non crolli il pavimento... ma anche in questo caso noi saremmo gli unici a rimetterci la pelle.
Sferro colpi alla cieca col mio cacciavite, mentre la mia compagna si difende come può col martello da ciabattino - la sega è rimasta incastrata nel collo di uno zombie. Il tutto si svolge in perfetto silenzio, tanto che nonostante il fiatone MaLa riesce a chiedermi, polemica.
"Ora mi spieghi perché dormivi con un cacciavite in mano? Lo sapevi, che sarebbero arrivati? Hai chiuso male il cancello?"
"Spiegami TU cosa facevi con la sega da falegname e con quel martello da ciabattino. Per inciso, se lo giri e lo usi dalla parte delle punte sarai più efficace" e affondo il cacciavite nell'orecchio del vecchio, con soddisfazione. Quando lo estraggo, viene fuori anche un apparecchio acustico. Lui continua a picchiarmi col suo bastone.
"Il solito precisino. Io il MIO martello lo uso come mi pare, capito? COME-MI-PARE!" scandisce le ultime tre parole a tempo con tre colpi con cui, in effetti, stacca i due orecchi e il naso al panzone strabico che ha davanti. Lui, più brutto di prima, continua ad attaccare.
"Volevo soffocarti e poi trascinare il tuo corpo tre volte attorno alle mura della città, va bene? E l'avrei anche fatto, se non fosse per questi scarti cimiteriali" strappo via il bastone dalle mani del vecchietto. Vengono via anche le mani e, mentre colpisco il loro proprietario, mi si arrampicano lungo le braccia e cominciano a stringermi il collo. Annaspo.
"E io volevo inchiodarti al letto e poi farti a pezzi, segandoti via arto dopo arto, va bene? Sei contento ora?" visto che non rispondo mi guarda e vede che sto per morire soffocato. Sbuffa, scocciata, fa finta di niente, poi alza le spalle in segno di protesta e si volta ad aiutarmi.
Con la sinistra prende le mani del vecchietto, con la destra le martella.
"Stai attenta con quel martello, ho gli occhiali" intervengo.
Lei si offende, si ferma e mi guarda con quell'aria che sembra dirmi "Sei proprio uno stronzo"
"Sei proprio uno stronzo" conferma infatti a voce, un attimo prima di essere raggiunta dagli zombie, che cominciano a rosicchiarla con le loro gengive sdentate.
E qui cominciamo a urlare.
In realtà non sono io che urlo: come potrei, con una delle mani del vecchietto in bocca.
E non è neanche MaLa: la stanno strangolando con una vecchia sciarpa di lana, che ogni pochi secondi si rompe e deve essere riannodata e poi utilizzata di nuovo.
Gli zombie si fermano improvvisamente. Dal retro si fa strada il tipo con la faccia rimasta attaccata al cuscino, arriva davanti a me e mi tende un telefono. Il mio telefono.
"това е твоята майка" mi dice
Sento che gli altri si sussurrano tra loro "е майката", alzano le spalle, qualcuno si fa il segno della croce.
 
È mio telefono che urla: è la suoneria personalizzata di mia madre.
"Forse è il caso che tu le dica di richiamare, non puoi farle presente che sei occupato?" mi fa notare MaLa, sputando via i pezzi della sciarpa di lana dalla bocca.
"Fammi almeno rispondere, magari è qualcosa di importante" la riprendo, stizzito. "Pronto mamma? Sì, in effetti ho da fare. Sì sono impegnato. Magari possiamo sentirci più tardi? Ah, è una cosa di cinque minuti?"
Faccio spalluccie a MaLa, che nel frattempo ha incrociato le braccia a segnalarmi che l'ho offesa, e mostro la mano aperta agli zombie.
"Cinque minuti solo, scusate, è mia madre"
"е майката" ripetono loro, in coro. Aspettano.
"Eccomi mamma, allora? Ah, ho capito..." e la telefonata va avanti, infinita.
Il tipo con la faccia attaccata al cuscino, che evidentemente è il capo, mi fa cenno di sbrigarmi battendo con due dita sull'orologio. Le due dita si staccano e cadono sul letto, contorcendosi.
Gli tendo il telefono, e lui si ritrae, spaventato. Allora ho un colpo di genio: metto il vivavoce.
"Perchè tuo zio non sa cosa mi è capitato cinquant'anni fa" la voce di mia madre a pieno volume riecheggia nella stanza. Un lamento generale si alza dalla folla di zombie.
"Io solo so quello che è successo quel giorno di febbraio quando uscita da scuola mi sono sbucciata il ginocchio" e qui gli zombie cominciano a spingersi per uscire. Quelli più vicini alla porta scappano direttamente. Alcuni si buttano giù dalla finestra. Altri, nella fretta, dimenticano chi un braccio, chi una gamba. Le mani del vecchietto sgattaialano via passando sotto le gambe di tutti. In breve ci ritroviamo soli.
"Sì mamma, ho capito. Va tutto bene. Ti chiamo domani. Sì, ciao."
Rimaniamo in silenzio, fingiamo di tenerci il broncio mentre ci sistemiamo gli abiti. Poi i nostri sguardi si incrociano e scoppiamo a ridere.
"Scusami per prima, non dovevo spiegarti come usare il martello. Te la stavi cavando benissimo, tra l'altro."
"Eri nervoso, l'ho capito. Anzi scusami tu, per gli occhiali: in realtà non avevo fatto caso tu li avessi addosso."
"Doccia insieme?"
"Sì, ma prima gira a faccia in giù quel cuscino: continua a guardarmi"
Dopo la doccia, rilassati, torniamo in camera da letto e ci infiliamo sotto le coperte.
Il sonno si avvicina rapido, e mi ha quasi preso quando MaLa ha un sussulto e protesta: "Dai amore, siamo stanchi, smettila di farmi il solletico"
"Ma se stavo dormendo..."
"Finiscila con quelle dita" insiste lei
Io sospiro: "Ho capito, ci penso io"
Scendo dal letto e frugo tra le coperte, arrivo alla porta, la apro e lancio verso il cimitero le due dita del tipo con la faccia attaccata al cuscino, mi giro e torno a letto.
Finalmente stasera si dorme.


MaLa, invece, l'ha vista così.

Ringraziamo affettuosamente Riccardo, Manuela e Archimede; Antonella, Renzo e Fabio; Giovanna, Stefano e Saretta; Vittorio e Anna; Alessandro e Angela; Rachele e Buggy. Stefano, Anna, Francesco e Brina; Caio e Daniela; Francesco. Milena. Yuhai Shi. Vasy. Stefan. Lumi&Bela Lugosi.

I diari di Adamo ed Eva
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