Abbiamo dormito bene stanotte: in giro non c'era anima viva, e il rumore come di uno zombie sfiatato che starnutisce dietro la porta a intervalli regolari si è rivelato, ad una ispezione diurna, originato dal pozzetto di raccolta del bagno. Probabilmente lo zombie cercava di entrare da lì.
La stanza ha spazio solo per un letto, una sedia e un'anta di armadio. Il soffitto segue l'andamento inclinato del tetto, e per accedere al citato armadio, all'angolo sulla parete di fondo, sbatto la testa. Lo cedo a MaLa e appoggio le mie cose sulla sedia, ai piedi del letto tra la porta e la finestra. Il pavimento è fatto da assi di legno sconnesse, ricoperte da una vecchia moquette color nulla. Scricchiola, ondeggiando pericolosamente, ad ogni nostro movimento. È stato meglio essere arrivati troppo stanchi per fare l'amore, ieri sera, o avremmo rischiato di non trovarci qui, stamattina. Ci saremmo trovati forse qui di fronte, fuori dalla finestra dall'altra parte della strada: al cimitero.
La gita mattutina a Costanza è la ciliegina sulla torta di questo nostro coast-to-coast romeno. Il porto a sud, enorme, dove capitiamo per caso grazie all'usanza locale di appendere le indicazioni dopo l'incrocio invece che prima, è per gran parte abbandonato. L'intera area è color ruggine, come i relitti adagiati a mezz'acqua, con lucenti macchie di plastica e vetro dove qualcuno dei capannoni diroccati ha ancora finestre intatte. La città stessa è composta per metà di edifici cadenti e per l'altra metà di edifici caduti. Il famoso casinò, quello che si vede in tutte le foto del luogo, fa parte di questi ultimi.
Visitiamo il museo, pieno di oggetti anche preziosi rinvenuti nelle tante necropoli che hanno necessariamente accompagnato questa città vecchia di millenni, ricavandone la soddisfazione estetica di un collezionista in cerca dell'affare nella bottega dell'antiquario. Il pezzo che mi ha colpito di più è stato un pentolino di bronzo del terzo secolo dopo Cristo, proveniente da una bottega artigiana posta dalle parti del Flaminio. Chi sa se ha fatto la nostra stessa strada per arrivare qui, attraversando a piedi la Pannonia e la Dacia, o se un mercante l'ha portato via mare.
Pranziamo in uno dei ristoranti di tendenza sulla passeggiata del marina, due buone ciorbe, un hummus e bevande varie venticinque euro. Stephan, il nostro host di Sibiu, ci aveva avvertito: "Waiters here don't know how to behave." Il che non significa che siano stati scortesi: la frase va presa in senso letterale.
Nel pomeriggio viaggiamo verso sud, nervosi, stanchi, scontrosi. Arriviamo alla frontiera e un tipo, dalla guardiola, ci dice burbero che siamo avanzati troppo, dobbiamo tornare indietro. Ingrano la retromarcia e mi piazzo al di qua dello stop, fino a che una mano esce dalla finestrella e mi fa cenno di avanzare di nuovo. Gli tendo i passaporti e il libretto della macchina. Sopra la finestrella c'è scritto "Romania". I documenti entrano lì ma escono fuori dalla finestrella successiva, a circa un metro dalla prima. Sopra c'è scritto "Bulgaria". All'interno lo stesso ufficio. La vecchia dogana bulgara, quella dopo la terra di nessuno, è - come scopriamo a breve - completamente abbandonata.
Entrati in Bulgaria la campagna si fa verde e tornano i boschi. MaLa si mette il rossetto e comincia a canticchiare, allegra. La strada attraversa campi coltivati, paesini (che a noi sembrano) ridenti. Sulla sinistra, tra gli alberi, si intravede il mare. Ci sentiamo stanchi ma improvvisamente rinati. Non so quanto durerà questa sensazione, né se sia solo una sensazione. Ma quando arriviamo a Nesebar l'albergatrice scende fino al porto per permetterci di entrare con la macchina e parcheggiare sotto la stanza, e ci racconta del suo viaggio di due giorni a Roma e a Venezia. E a cena la ristoratrice brinda con noi.
PS: arrivati nell'unico ristorantino aperto fuori stagione a Nesebar ci rendiamo conto che la musica dello stereo è greca. In menù c'è la koriatiki e un altro paio di piatti greci, e la proprietaria, quando ordiniamo, si fa scappare un paio di "Nè": "Sì" in greco. MaLa, emozionata, raffazzona una frase in questa lingua che suona più o meno "Sei greca?" e la tipa non capisce. La frase, onestamente, non era proprio un esempio di correttezza grammaticale, per cui ci sta che un greco non l'abbia capita. Gliela ripetiamo in inglese e la ristoratrice risponde "Nè". Il che, come scopriamo improvvisamente, in bulgaro significa "No". Pensa che casini alla frontiera.
MaLa, invece, l'ha vista così.
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