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Giorno #2 - Km 600

Genova per noi.


Ci svegliamo con la luce del giorno che entra trionfante dagli oblò di Archimede. Non mi ero accorto, ieri, che ne avesse così tanti: è luminosissima. Esco fuori e subito faccio amicizia con il francese che sta lavorando sulla barca accanto. Comprata all'asta da un ricco medico, è da rifare da cima a fondo. Ora è disalberata, senza timone, piena di stucco, garze e buchi freschi. Il francese prevede almeno tre mesi di lavoro, per lui. E poi per tutti gli altri che dovranno metterci mano. La barca è del 1975, di un cantiere italiano che, pare, ne ha costruite solo sette.
"Alla fine dei giochi un buon usato sarebbe costato assai meno: conviene davvero metterla a posto?"
"A me sì: mi pagano" risponde sornione, finisce la sigaretta, la butta in acqua e torna a bordo, non senza aver dato un'ultima occhiata alla nostra tana di una notte, di cui è evidentemente innamorato.
Noi oggi abbiamo in programma una gita per Genova. Prima tappa gelato da Guarino, che pare sia un must. Abbiamo avuto consigli e indicazioni ieri da Manuela e Riccardo, e così troviamo un parcheggio economico - continuamo ad avere la macchina stracarica di bagagli, e come se non bastasse ieri abbiamo caricato anche il genoa di un amico che ha la barca nel nostro stesso marina - e cerchiamo di raggiungerlo.
Waze ci aiuta, ma rimane vago negli snodi cruciali del percorso, per cui i dieci minuti necessari diventano venti e poi, all'ennesimo errore, trenta. Ci inerpichiamo per una salita strettissima, la prima di una lunga serie, e ci imbuchiamo in un garage.
"Dove la metto?"
"Mi lasci le chiavi nel quadro, ci penso io"
Così facciamo, e solo dopo un centinaio di metri la mia mente costruisce e proietta in visione privata la scena del garage a serranda chiusa dietro il quale la macchina verrà spogliata e poi smembrata per farne pezzi di ricambio: al nostro ritorno avremmo trovato una panetteria e nessuno si sarebbe ricordato di noi. La mia parte razionale viene risvegliata da uno squillo. Antonella ci chiede di raggiungerla alla sartoria alle 13:30. Abbiamo poco tempo, bisogna sbrigarci. Cosa aveva detto Manuela? Ci aveva consigliato di non farcela a piedi ma di prendere... di prendere cosa? Un ascensore, forse. Ma ti pare, un ascensore? Mica dobbiamo salire sulla terrazza di un condominio.
"Funivia" ricorda MaLa. E chiediamo all'edicola.
La funicolare è proprio dietro l'angolo, e pare sia una delle attrazione di Genova. Facciamo il biglietto e, dopo una breve attesa, saliamo sulla vettura. Si tratta di due vagoni fatti a scalini, che salgono a 45° verso le colline sovrastanti la città a 6 metri al secondo. Il viaggio dura 15 minuti, dato che entrambi ricordiamo di dover scendere all'ultima fermata, e comunque se anche non ce lo ricordassimo ci sembrerebbe plausibile. Scendiamo, arranchiamo per una cinquantina di gradini fino all'ultima terrazza su in cima e ci godiamo il panorama. Un pezzo di porto di Genova, ostruito verso sinistra da un palazzo costruito senz'altro con l'unico scopo di ostruire il panorama a chi, come noi due, viene fin quassù a Righi con la vana speranza di prendere un gelato da Guarino.
Perché Guarino, quassù, non c'è. Ci impieghiamo un po' a scoprirlo, il tempo di passeggiare fino al parco, in salita, e poi tornare giù.
"Ascensore, avevo detto ascensore!" ribadisce Riccardo su whatsup, ridendo alle lacrime.
Dovevamo andare sulla terrazza di un condomino, e quel condominio è Genova.
Per farlo dobbiamo prima tornare giù, e poi risalire dall'altra parte. Ancora diffidente nei confronti dell'elevatore meccanico, che da qui del resto non vedo, chiedo il percorso pedonale a Google Map e cominciamo a seguirlo. Svoltiamo a sinistra, poi a destra, poi a sinistra, su una piccola salita. Poi nuovamente a sinistra, ma la strada che dovremmo seguire non c'è, sembra un vicolo cieco. Torniamo indietro pochi passi e, dietro un cancello accostato, vedo la targa con il nome della via. Possibile che sia una strada privata? Ma è aperta: entriamo, e cominciamo a salire.
56 metri di dislivello, mi indica il navigatore. Ora so che sono tanti. Carrugi sempre più stretti, gradinati e non, si inerpicano sulla collina che si trasforma in montagna da scalare. Il sole è a picco, e il mio ginocchio destro, quello fracico, decide che è un buon momento per gonfiarsi cominciare a pulsare.
"A scendere lo prendiamo, 'sto ascensore" faccio a MaLa
"M'anfatti. Non lo potevamo prendere anche a salire?" mi risponde lei, fermandosi a prendere fiato.
Dopo dieci minuti buoni di arrampicata arriviamo a un altro cancello, dietro cui un altro carruggio, visibilmente pubblico, visibilmente anche lui in salita, minaccia di portarci a destinazione. Il cancello è chiuso, a doppia mandata.
Tornare indietro? Troppa strada. Di fronte all'imponderabile subentra la disperazione, e ognuno agisce secondo la propria natura. MaLa contorce il braccio attorno alle sbarre per arrivare con la mano ai citofoni, e comincia a pigiare alla cieca tutti i pulsanti. Io studio il telaio del cancello, e poi sollevo la sbarra che tiene chiusa l'anta di destra: la serratura cede, il chiavistello si sfila dalla sua fessura e il cancello si apre. Passiamo, lo richiudo fingendo la noia dell'abitudine e ci allontaniamo fischiettando per quanto il fiato ce lo permette.
Il gelato su in cima è davvero buono, e l'ascensore a scendere davvero utile. Soprattutto perché abbiamo fatto tardi e dobbiamo correre da Antonella e Renzo che hanno la loro ditta, la CEAM, dall'altra parte della città.
Ci accolgono a braccia aperte, ci fanno visitare tutto lo stabilimento. Antonella e MaLa parlano di lavoro mentre Renzo mi propone progetti per il pomeriggio: andare in macchina al centro - dopo averla scaricata di tutto vela compresa - e passeggiare per Genova.
Così facciamo, dopo aver imbucato la mia fedele C3 da amici di Antonella, e passiamo l'intera giornata prima per le banchine e poi per le viuzze di questa soprendente città.
Canottiere stese all'ultimo piano di palazzi affrescati, chiese dalle facciate imponenti; carruggi talmente stretti che se i palazzi cedessero rimarrebbero lì, appoggiati l'uno all'altro, con le gambe delle prostitute che escono dai portoni in cui sono sedute. E lì accanto gioiellerie, e poi negosi asiatici, e poi artigianato di lusso. E gente, tanta. Mi pare, a un angolo, di essere a Napoli, al successivo al quartiere Galata di Istanbul, oppure, dove è più quieto, sopra il porto di Cagliari. Ma è Genova, ed è inutile paragonarla a mille altre città.
E quando neanche Renzo riconosce più la strada per arrivare a Piazza Lavagna, dove siamo diretti per l'aperitivo, ottiene le indicazioni chiedendo al garzone di un negozio, egiziano.

PS: MaLa non perde il telefono neanche una volta, ma alle 16 le si spegne perché è scarico.

MaLa, invece, l'ha vista così.

Ringraziamo affettuosamente Riccardo, Manuela e Archimede; Antonella, Renzo e Fabio.


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