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Giorno #7 - Km 1550: Casteo


Abbiamo dormito fino a tardi raccogliendo le forze per il salto in terra straniera, previsto per domani.
Stefano e Brina sono giù, in salotto. Lui lavora al computer, lei finge di essere una pelle d'orso accanto ai suoi piedi. Stefano interrompe la sua attività appena scendiamo, gentile e accogliente come sempre, per offrirci un caffè.
"Lo faccio io, basta che mi dici dov'è la macchinetta" rispondo.
La macchinetta è già pronta sul fornello, e io faccio i due passi che mi separano dalla cucina per accendere il fuoco. Torno con tre tazzine fumanti.
"Quindi dove andrete domani? Da dove passerete?"
Io, che nel frattempo sono stato catturato da Brina e obbligato a coccolarla per un tempo che lei vorrebbe infinito, improvvisamente mi accorgo che in effetti non abbiamo programmi precisi a proposito. C'è l'idea di passare a Trieste, per pranzo. Di battere le campagne friulane in cerca di vino bianco in cartoni da cinque litri. Anche di improvvisare una visita a Sergio, a Treviso, amico mai incontrato dal vivo che scrive le sue perle di umorismo e saggezza da una merceria del centro. Ma una volta fuori dall'Italia la nebbia si fa fitta.
Vorremmo evitare la Serbia, non perché ci stia antipatica lei o i suoi abitanti, ma perché è fuori dall'Europa e dovremmo fare dogana con la macchina carica a bomba, e i pacchi ben incastrati nel bagagliaio, e il caglio in polvere dentro il guanto a mo' di ovulo di cocaina. La faremo tra Bulgaria e Turchia, sì, ma una è sempre meglio che due.
Stefano estrae da una delle fornite librerie di casa due atlanti stradali, roba d'altri tempi come tiene a scusarsi, lui informatico, e li apre. Scopriamo che dovremmo evitare l'autostrada slovena per viaggiare verso est lungo la Croazia fino all'Ungheria. Di lì seguire bassi, o forse no, potremmo anche spingerci fino a Budapest.
"Quelle zone o ci vai apposta o non le vedi mai" sentenzia il nostro amico. E ha ragione.
E dopo scendere verso la Romania, e la Bulgaria per poi uscire, come scrivevo, una sola volta dall'Europa.
Europa che, del resto, ancora non è arrivata del tutto, visto che, come scopro colmando solo oggi la mia intempestiva ignoranza, ognuno dei suddetti paesi batte ancora la propria moneta. Quattro cambi in dieci giorni. Già mi vedo col borsellino pieno di spicci che non riesco a dividere a pagare un caffè con la moneta perennemente sbagliata, e il cameriere di turno che mi guarda brutto come solo un brutto cameriere può guardarmi.

Come ho fatto per tutto l'inverno con l'unico pezzo da mezza lira turca che ho nel portafoglio. E nessuno, brutto o bello, cameriere o barista, che ci sia cascato.

Salutiamo Stefano dandoci appuntamento per il pomeriggio, stacco le mani da Brina non dopo averle promesso di tornare solo e soltanto per lei e usciamo per Castelfranco. La pioggia che scende leggera e grigia sulle viuzze del centro, e noi che passeggiamo protetti dai portici deserti. Dentro le mura, oltre il fossato dove le paperelle imparano a nuotare controcorrente. La libreria chiusa, e il freddo pungente che ci costringe a trovare rifugio nel bar di fronte.

Passiamo la giornata a scrivere davanti a un'ombra di vino e a un cicchetto. Questa faccenda di pubblicare quotidianamente un post alle 18 è interessante ma sta prendendo una piega strana. Sta diventando, nel nostro immaginario, una cosa seria. E se da una parte ci costringe a un'attenzione continua ai particolari che ci passano accanto, dall'altra ci obbliga a trovare per tempo, ogni giorno, un tavolo davanti al quale raccogliere le idee, e una wi-fi decente per metterle online all'ora stabilita. Più stancante di quanto pensassimo.
Portato a termine il nostro compito ci infiliamo nelle libreria Ubik, quella dove lavora Soraya, e facciamo amicizia con il commesso. Siamo entrati per fare un regalo e, con mia sopresa, ne usciamo con solo un libro più del preventivato. Paasilinna, per chi fosse interessato. A nostra insaputa, qualcuno era entrato in questa stessa libreria in mattinata, con simile scopo. Ma lo scopriremo solo rientrando a casa, salendo in camera nostra in punta di piedi, accendendo la luce e scorgendo un oggetto con dedica in prima pagina sul nostro letto.

A proposito di libri, trovo il mio sul tavolo dei genitori del nostro amico, dai quali siamo invitati per una tazza di tè.
"Mia madre vuole un autografo" mi dice Fra, appena entriamo.
Il che fa sì che per la prima mezz'ora, mentre tutti ridono chiacchierano e scherzano, io mi limito a guardare intorno imbambolato, in preda a quello che potrebbe definirsi "blocco dello scrittore" se solo io fossi tale, annaspando come un piccione controvento nel cercare parole da scrivere. Sudo, fingo allegria, rispondo a monosillabi. Prendo la penna, mi fermo, scrivo e immediatamente vorrei cancellare l'intera frase ma non si può mica, non è un file sul computer e non posso premere ctrl-z. Cambio al volo il pensiero, agganciandolo all'ineluttabile, indelebile incipit. Me la cavo, lo so alla fine, nel rileggere la mezza pagina piena fitta delle mie parole scarabocchite nero su bianco. Mi rilasso e partecipo alla discussione, mi imbarazzo quando poi qualcuno vuole leggere a voce alta quel che ho scritto. Nel frattempo ho bevuto il mio tè, ingurgitato un paio di paste, conosciuto Marisa e Alberto e ascoltato le storie di quando erano giovani.
Siamo tutti stati giovani, me lo ricordo incontrando i figli di Stefano, così delicatamente perfetti da strappare applausi a scena aperta a chi li ha accompagnati finora. E saremo tutti vecchi, se avremo fortuna. Se avremo ancora più fortuna, poi, avremo storie da raccontare, come quelle di Marisa, e qualcuno che le ascolterà con interesse sincero. Io le mie, nel dubbio, le scrivo subito. In quanto al lettore... nel tempo magari avrò più fortuna che con la mezza lira turca, e qualcuno ci cascherà.

È solo alle 21, al secondo spritz, che Francesco si rende conto di non aver avvertito del nostro arrivo Caio e Daniela. Lo fa immediatamente, e immediatamente loro mollano tutto e ci raggiungono. Così, mentre attorno a noi la folla dell'aperitivo si rarefà per essere poi sostituita dalla folla del dopocena, noi rimaniamo a bere e a chiacchierare fino a tardi. Gli amici si susseguono, qualcuno arriva mentre altri si accommiatano, e noi raccontiamo di nuovo del nostro viaggio, dei Caraibi, di Cuba. Passato, presente e futuro si inseguono, incalzati dagli spritz, dai prosecchi e dalle ombre di rosso, fino a che il locale chiude e noi ci troviamo fuori da quella che per un giorno è stata la nostra casa. È tempo di salutare tutti e andare a letto: domani - di nuovo - si parte.


MaLa, invece, l'ha vista così.

Ringraziamo affettuosamente Riccardo, Manuela e Archimede; Antonella, Renzo e Fabio; Giovanna, Stefano e Saretta; Vittorio e Anna; Alessandro e Angela; Rachele e Buggy. Stefano, Anna, Francesco e Brina; Caio e Daniela; Francesco.

I diari di Adamo ed Eva
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