La vista dalla terrazza della taverna Ilias è come sempre magnifica. L’intera baia si apre sotto di noi, il mare azzurro e le pareti scoscese nude e aspre.
Il mare azzurro, nello specifico, è spazzato dal vento teso, e pieno di barche.
Quando siamo arrivati, un’oretta fa, abbiamo visto di lontano l’affollamento e, prevedendo di non trovare una boa libera, abbiamo provato a metterci cime a terra nella prima rientranza del piccolo golfo. Ma il vento è tanto, oggi, e soprattutto rafficato. Di calare l’ancora su venti metri di fondo, dare pochi metri di catena e ritrovarmi infine sul lato sbagliato della valle, francamente, non me la sono sentita. Per cui siamo tornati al piano originale, e ci siamo avvicinati al campo boe arancioni.
Miracolosamente, due erano libere!
Kristos si è subito avvicinato col barchino per comunicarci che non potevamo rimanere: le due boe erano libere solo perché prenotate. Però, convinto da MaLa, ha subito cambiato idea e ci ha fatto rimanere per pranzo. Anzi, ci ha anche traghettato fino a terra con costumi e asciugamani. E quindi ora, dopo un tuffo ristoratore, siamo qui e dall’alto ci godiamo il panorama estivo. Sembra quasi di osservare le barche giocattolo di Nico, ad Arkì. Tutte allineate a scodare nei cambi di vento.
Proprio sotto a noi, alla prima boa, c’è un trimarano costruito in Inghilterra negli anni ‘70. Ora lo vediamo solo come un trimarano, origine ed età li scopriremo dopo quando Hans e la moglie saliranno qui da noi a cercare testimoni. Piccolino, con i delicati galleggianti laterali collegati allo scafo centrale da un sistema di tubi imbullonati. Più avanti di lui, a forse dieci metri, c’è solo una barca di pescatori, su corpo morto personale subito di fronte alla spiaggia.
Quando arriva la prima delle barche che ha prenotato ci preoccupiamo e chiediamo a Kristos se dobbiamo affrettarci a finire il pranzo, ma lui ci rassicura, non c’è problema. E noi torniamo alla nostra katziki in umido.
Quando arriva una seconda barca torniamo ad interrogare l’oste, ma ancora una volta lui ci rassicura: “Lui non viene alla boa, ma al porto” e scende a dargli assistenza.
Interessante, penso... Quindi si può stare anche in porto? E mi avvicino alla balaustra per studiare l’ormeggio.
Il tipo ha bandiera svedese. Il che è importante perché quando Matteo mi chiede “Ma non c’è troppo vento per zigzagare come se nulla fosse tra tutte quelle barche?” io gli rispondo, sicuro:
“In Svezia sono abituati al vento, per lui questo è niente”
Un attimo dopo “lui”, istruito da Kristos, comincia la manovra. Che consiste nel dare ancora al centro, oltre il trimarano e la barca da pesca, indietreggiare calando la catena tra le due e venire a legare le cime a terra da questa parte. Probabilmente, calcolo da qui, la sua catena finirà su quella della boa del catamarano. Ma la boa è della taverna, e certo Kristos avrà previsto tutto e sa quel che fa.
La moglie del tipo, a prua, cala l’ancora. Col pulsante. Un metro al secondo circa.
Il tipo, seduto al timone sopravento, gira il pingue collo e inizia la retromarcia.
La figlia vegeta sui divani del pozzetto.
Il vento soffia per lo più dalla montagna qui di fronte, investendo quindi la prua dello svedese, ma frequentemente si diverte a imbucarsi dalla testata della baia, alla destra mia e al traverso del tipo. A sinistra del tipo, sottovento, c’è il trimarano.
Non so davvero se in Svezia siano abituati al vento. Non so nemmeno se il tipo fosse davvero svedese, e ho più di un dubbio che, se anche lo fosse, avesse preso lì o altrove la patente.
Sta di fatto che la barca, dopo un abbrivio iniziale, comincia ad essere rallentata dalla catena. Senza abbrivio, all’indietro, comincia a scadere sottovento, e finisce per trovarsi con la boa del trimarano a contatto con il giardinetto di sinistra. A quel punto ho sperato 'così forte da farmi uscire il sangue dal naso' Adesso dà motore avanti e timone a dritta, torna in acque libere e ricomincia la manovra da zero. Ma non sono stato ascoltato.
Il tipo ha invece continuato la sua lenta retromarcia, e una volta libero dalla boa si è trovato improvvisamente ed elasticamente dietro il trimarano, con la catena sul galleggiante di destra di questi.
Attimo di indecisione, folle, barca richiamata dal peso del calumo e
“SBEM!”
“CRACK!”
La prua dello svedese va a incrinare il bilancere del trimarano.
A questo punto i proprietari tedeschi escono da sottocoperta e si trovano di fronte all’assurdo: loro, apparentemente al sicuro alla prima boa della spiaggia, con una catena che tenta di segargli e tirargli via i tubolari dello scafo di destra. Provano a intervenire manualmente ma con la barca appesa le maglie sono troppo pesanti da scostare, e comunque lo svedese ha fatto metà giro ed è finito ormai alla loro poppa, avvolgendoli di metallo.
Il tipo al timone è ancora seduto, e guarda la scena con leggere torsioni del collo. Non ci è dato di sapere a cosa stia pensando. Sappiamo però che la retro è di nuovo ingranata. La moglie, a prua, ricomincia a filare catena. La figlia compare con un parabordo bianco immacolato di venti centimetri, e lo espone come fosse la statua della vergine protettrice dei naviganti tutti, ma proprio tutti.
Ovviamente il timone, a barca ferma e incastrata, non risponde: l’unico effetto della retromarcia è di tirare ancora di più la catena che scorre lenta dal musone. La signora tedesca è costretta a ringiovanire di trent’anni e a balzare di lato come una gazzella per salvare il suo ginocchio. Lo scricchiolio del metallo sulla vetroresina si avverte fin quassù. Noi tutti guardiamo, attoniti e angosciati, calati istintivamente e tragicamente nei panni della sventurata coppia svegliata dal pisolino pomeridiano in maniera tanto brutale e violenta.
Lo svedese a questo punto si accorge che c’è qualcosa di sbagliato nella manovra, e passa al piano B (quello che ogni comandante deve avere, quando tenta un ormeggio azzardato). Ordina quindi alla moglie di recuperare il calumo (altra mossa infelice che la donna esegue pedissequamente, per il gran danno del trimarano), inverte la marcia, dà tutto motore in avanti e cerca di andarsene.
La catena, sempre accuratamente tesa come una corda di violino, si aggancia al golfare di prua del bilanciere dei tedeschi, e si trascina via tutta la barca, l’equipaggio e pure la boa della taverna. Da qua su le due barche sono un tutt’uno che fa avanti e indietro nel vento tra urla e scossoni. Lo svedese, infatti, quando avrebbe dovuto andar veloce è andato lento, ma ora che dovrebbe andar lento ha il motore a tutta manetta.
Solo dopo lunghi minuti il tipo mette a folle e, finalmente, interviene Kristos. Si avvicina al golfare, lo libera dalla catena e, prima che qualcuno si accorga di lui e lo ricolleghi all’intera vicenda, schizza via, ormeggia il barchino, sale in taverna e si nasconde nell’orto fingendo di esser rimasto lì a occuparsi delle capre per l’intera mattinata.
I tedeschi nel frattempo sono finalmente liberi, respirano profondamente, contano i danni e attendono che lo svedese si fermi all’ancora, o tiri su anche quella per poi avvicinarsi.
Ma l’ultima sorpresa è che la barca dei violentatori, dopo aver recuperato tutto a bordo, si dilegua a tutta velocità fuori della baia e oltre l’orizzonte.
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