Luciano ci ha segnalato un bel ridosso, isolato, solitario, sull'isolotto Sarakino, qui davanti. Io mi studio i portolani, le carte, le immagini satellitari (cercando di indovinare dalle rughe delle onde la rotazione dei venti e la direzione delle raffiche), le previsioni meteo confrontate sui due tre siti di cui più mi fido da queste parti. E alla fine stabilisco che daremo àncora altrove. A un paio di miglia, ridossati dal SE, e in modo che l'eventuale mare lungo, entrando dopo la strettoia e rimbalzando sulle scogliere, si perda nelle diramazioni di questo golfo. Dove, non ve lo dico, è troppo bello, è uno di quei posti che o ci si arriva per volontà divina - o per Caso, a seconda delle preferenze - o è meglio (per l'equilibrio generale dell'Universo, intendo) non disturbare affatto con la propria presenza.
Gli indizi, però, ci sono. In condizioni normali, questo sarebbe un posto da evitare. "Fierce gusts", commenta Heikell, "Se passi da queste parti accendi un cero" riporta la dinastia Elias nella Sea Guide. Ma noi siamo partiti da Ormos Karistou approfittando di una finestra meteo concessaci da un Fato benevolo, che ci ha permesso di smotorare curiosi su per lo stretto di Kafireas, di avvicinarci a Skyros senza subire le temute raffiche. E mentre scrivo, in pozzetto alla luce della luna, una calma surreale circonda Duna e la sua àncora che morde la sabbia del fondale e le sue cime di poppa avvolte due volte alle rocce. Sento le pecore belare sul pendio qui dietro, appena oltre l'olivo che ci ha donato la sua ombra per la merenda pomeridiana. Sento lo sciacquettio della risacca sugli scogli, là dove abbiamo raccolto ricci da accompagnare col vino rosso. Sento i grilli, il cui canto mi arriva dalle piante odorose di queste colline che danno loro asilo. Timo, origano, rosmarino e salvia, questo è l'odore intenso che ci droga da quando siamo arrivati qui, in pieno meriggio.
Siamo scesi a terra carichi dei nostri averi e siamo andati fin sotto l'olivo, l'unico dell'intero golfo. Lì abbiamo affettato il prosciutto di Parma rimastoci nella dispensa, e l'abbiamo gustato nel fresco dell'ombra insieme a pane carasau e a vino di Cefalonia.
Attorno a noi le lucertole ci guardavano curiose, e poi passavano oltre. Le pecore pascolavano sulla spiaggia di ciottoli bianchi, accanto al tender, leccando sale dalle rocce corrose dalle onde. Nessun altro segno di vita.
E allora ci siamo chiesti, in questa ebbrezza di odori e luce e colori e vino: ma se Ulisse e Diomede, venuti qui, in questo stesso luogo che certo non è cambiato poi molto da allora, a recuperare con l'inganno Achille, avessero portato, oltre alla cesta di armi e a quella di gioielli, anche del pane carasau, del prosciutto di Parma e del vino rosso di Cefalonia… Avrebbero mai distrutto le mura di Ilio, i tre Achei, o sarebbero rimasti qui, all'ombra di questo ulivo, a mangiare, a bere e, chissà, a giocare a dadi?
Carlo scusa la franchezza.,ma non sono certo che quell'ulivo ci fosse già. Quindi è colpa dell'ulivo! :)
RispondiEliminaO di chi l'ha piantato troppo tardi :)
EliminaSecondo me due su tre sarebbero rimasti, ma Ulisse comunque li avrebbe convinti...quello era tremendo!
RispondiEliminaLi avrebbe prima spennati barando a dadi :)
EliminaAhahahah
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