Oggi pare ci sia un F6, fuori.
“Pare”, scrivo, perché a Despotikò, dove abbiamo passato la notte, arriva vento, parecchio anche, ma le condizioni non sembrano poi così brutte.
Domani il vento aumenterà. F7, dicono. Sempre rafficato, prevedono. E quindi ci sarà poco da risalire. Ma se oggi allungassimo anche solo di poco la scia, in prospettiva di avvicinarci alle Piccole Cicladi e una volta lì aspettare il momento giusto per saltare in Dodecaneso, non sarebbe poi male.
Quindi, da Capitano, propongo una piccola tappa di dieci-quindici miglia, con l’idea di risalire fino a Paros e mettermi in condizioni di scendere al giardinetto verso Skinousa anche con il meltemi arrabbiato dei prossimi giorni.
“E comunque” aggiungo “se una volta usciti quel che troviamo non ci piace possiamo sempre tornare qui e calare l’ancora esattamente dove è ora”.
MaLa ha qualche dubbio, ma si dichiara d’accordo. Paolo e Cristina (ancora) si fidano del mio giudizio. Quindi è andata.
Arrotoliamo alla meno peggio il fiocco Bianchi&Migliori che ieri abbiamo rischiato di scoppiare nelle raffiche di catabatico, e al suo posto ingarrocciamo quello pesante, prendendo già la mano di terzaroli. La randa ne ha tre, e la teniamo così. Partiamo.
Il vento ci spinge fuori, verso Ios. Fino alla punta.
Poi dobbiamo accostare a sinistra, e lì il vento continua a spingerci verso Ios. Considerato che noi puntiamo invece verso Paros, e ci sono circa 60 gradi di differenza, il risultato è una bolina assai bagnata in un mare che ribolle di raffiche e treni d’onda confusi.
Benvenuti nelle Cicladi in estate. Continuo a ripetere gli stessi errori, anno dopo anno. E meno male che ho declinato l’offerta di Ale e non ci tornerò in agosto, come skipper di un quindici metri.
Un paio d’ore di onde che ci bagnano fino alle ossa, e vento che fino alle ossa ci asciuga, e ancora onde. Fino al momento, ormai a a ridosso di Paros, in cui sono pronto a accostare a destra e mettermi il vento al traverso. Peccato che, anche qui non imparo mai, il meltemi gira attorno alle isole: appena cambio rotta anche lui cambia direzione, accompagnando la mia accostata e accelerando sotto costa. Ancora onde, ancora vento, ancora bolina.
Dopo un’altra ora, come una terra promessa, eccoci a Ormos Tria. Qui il vento tira e spinge, strappa l’acqua dalle creste e la sabbia dalla spiaggia, fa schizzare i windsurf che fanno avanti e indietro provando traverso dopo traverso come una colonna di formiche indaffarate a spolpare l’estate. Ma vicino alla costa - ancoriamo al limite delle boe dei bagnanti - si sta bene.
Mi sciacquo dal sale, mi cambio, mi faccio una birra, copro le vele e poi, mentre sto sistemando la ritenuta dell’ancora, questo tipo col suo windsurf azzurro mi punta e, quando sta quasi per prendermi, incazzatissimo, mi chiede acqua.
A me, che sono ancorato. Se non vedi un Serenity all’ancora cosa ne fai della vecchietta che fa il bagno con la cuffia a fiori?
Prima di scendere a dormire ho issato il pallone nero di fonda: non tanto perchè credo lui sappia cosa significhi, quanto per avere la scusa legale, se sento un botto, per uscire e finirlo con l’arbalete.
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