Le esche sono cinque, collegate con dei braccioli lunghi appena 30 centimetri al cavo principale. Ognuna ha due corone di punte acuminate rivolte verso l'alto. Calamari non ne hanno mai presi, ma riescono mirabilmente a infilzarsi su dita, vestiti, parabordi, cime, perfino teak. Ma soprattutto, amano prendersi tra di loro e accoppiarsi furiosamente fino a strangolarsi coi loro stessi guinzagli.
Ho cominciato da uno dei capi e sono arrivato fino al "nodo": un ammasso globulare di fili di diverse dimensione, mal tagliati alle giunzioni (a mia parziale discolpa devo specificare che ho comprato l'accrocco già fatto, di mio ci ho messo solo l'ingarbugliamento), dentro il quale si indovinano le forme dei cinque pescetti morbidosi e colorati che i calamari, finora, hanno sempre schifato. Impossibilitato ad andare avanti, ho preso l'altro capo e sono risalito, con pazienza, fino alla prima esca, in corrispondanza della quale cominciava il caos. La vedevo, era lì, eppure non era possibile estrarla. La pazienza si è esaurita in un "puff" ed estratto il coltello ho tagliato il bracciolo, convinto di risolvere così la situazione. E invece no: il pescetto è rimasto lì, incastrato, annodato, comunque impossibile da tirar fuori.
Ieri era una bella giornata, il sole caldo e amichevole. Per questo sono tornato alla lenza dopo pranzo. Con la pancia piena, e con un pomeriggio lungo e sonnolento da far passare, la pazienza è pressocché infinita. E infatti dopo neanche due ore sono riuscito a districare l'ultima esca. Avevo risolto un problema che mi portavo dietro da quasi un mese: sbrogliare la lenza per calamari ingarbugliata durante una notte buia e noiosa a Fourni.
Tutto questo perché ieri al tramonto dovevamo uscire con Giuseppe, pescare per un paio d'ore fuori al porto, ancorare nella rada qui accanto e cenare - calamari o carbonara, a seconda della nostra fortuna - per poi rimanere a dormire lì.
Sbrogliata la lenza sono salito su fino al supermarket per comprare lo yougurt e i cetrioli da servire come antipasto una volta trasformati in tzatziki. L'isola è piccola, più d'uno mi ha detto per scusarsi, ragione per cui il supermercato apre a degli orari assolutamente casuali. Ieri pomeriggio, nello specifico, era chiuso.
Rimasto lì fuori a smaltire il fiatone e a far compagnia ai gatti, ho alzato gli occhi al cielo attirato da un'ombra e ho visto la Nuvola. Una nuvola? Che ci fa una nuvola in questo mio perfetto mondo di fine estate (è autunno, lo so, ma a ciò io ieri non mi ero ancora rassegnato) in cui i cieli saranno tersi e i venti gentili fino a quando io e solo io deciderò di lasciare la barca in cantiere? Era di quelle grigie, basse, e sfilacciate. E ce n'era un'altra accanto, e un'altra, e un'altra. Per farla breve, mi sono seduto sul muretto, ho scostato il gatto roscio che voleva a tutti i costi pisciarmi sulla coscia, e ho controllato il meteo. E ho scoperto che l'estate sta miseramente finendo persino qui in oriente.
Nuvole in arrivo, pioggie previste, raffiche (ovvero, tradotto: temporali) e salti di vento. Altro che esche, calamari e tranquille cene in rade esposte a sud. Quando più tardi abbiamo incontrato Giuseppe ci siamo trovati tutti d'accordo nel rimanere ben saldi in banchina e cucinare una carbonara qui in porto.
Dopo cena, rimasto solo con MaLa, il vento è in effetti aumentato. Vento da sud ovest, a schiacciarci sui respingenti in gomma nera del molo di cemento. Sono sceso a spostare i parabordi là dove più servivano, e mentre ero lì due tipi del luogo hanno cominciato a parlarmi in greco. Da quel che ho capito mi stavano dicendo che appena venti metri più in là, dove la banchina piegava a destra di forse trenta gradi, sarebbe stato assai meglio. Considerando che i tipi del luogo normalmente ruotano la testa per non guardarti quando ti incontrano, ho avuto il sentore che il loro consiglio fosse da considerare molto attentamente. E non ho potuto che dargli ragione. A che mi hanno chiesto se volevo che mi aiutassero a farlo subito. Ho risposto sì, sperando di aver capito bene (l'alternativa, forse più in sintonia col normale mood locale, era "Se vuoi ti tagliamo le cime e ti prendiamo a calci il candeliere proprio lì dove la saldatura sta cedendo", ma ieri sera mi sentivo ottimista) e, con Mala in mutande scesa a proteggere la murata di Duna, abbiamo spostato a mano la barca di quei venti metri. Poi i tipi hanno accettato con modestia i miei ringraziamenti e se ne sono andati per la loro strada. In condizioni normali non mi avrebbero neppure salutato, forse non gli sono nemmeno simpatico, ma avevo bisogno di aiuto e me l'hanno offerto, come si fa tra gente di mare. Pratici e di poche parole, i locali: non per niente da quest'isola provengono i più grandi armatori della Grecia, e quindi del mondo.
Più tardi il vento è aumentato ancora, e ha cominciato a piovere. Il mini trasloco aveva dato i suoi frutti: mentre prima arrivava al traverso-lasco, ora veniva dal giardinetto-poppa. Sembra poco, ma fa una bella differenza. Sarebbe da sentire in proposito il catamarano che ha ormeggiato in piena notte al nostro vecchio posto. Ieri era al pontile turistico, sulla sua ancora: probabilmente gli ha ceduto sul più bello.
E quindi ora siamo qui, chiusi in barca sotto la grandine a controllare che oblò e osteriggi non facciano acqua. Credo sia il caso di ammettere che l'autunno è qui tra noi, o quantomeno vuole intromettersi a tutti i costi tra noi e la prossima estate di navigazioni. Temo anzi finirà per farcela.
Quel che è sicuro è che abbiamo fatto un gran bene a non uscire a pesca, a non rimanere all'ancora in rada, ieri sera. Fortuna ha voluto che siamo su una piccola isola, dove il supermarket è in cima al paese ed apre ad orari assolutamente casuali.
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