Sono i primi di luglio, ed eccomi di nuovo lungo le coste di quest'isola. Arrivati nella tempesta, dieci giorni fa, fummo cacciati da una prima baia (Plati Gialos), poi da una boa (a Ormos Psarù), trovando alla fine ospitalità e riposo dopo 400 miglia consecutive di bolina a Paradise Beach.
Nome meravigiosamente azzeccato, se solo chi glielo ha dato fosse stato un fine umorista: la spiaggia più coatta di Mykonos come la immagina il burino più becero, infatti, è questa.
Cacofonia da ben tre diversi bar discoteca in neanche duecento metri, che alzano la musica oltre l'umana decenza già alle dieci del mattino, quando nessun balla, nemmeno l'immancabile ragazza in bikini sul cubo, andando poi avanti fino all'alba guidati da tale dj Alex da Bari che delizia e incita il pubblico internazionale con riflessioni del tipo "Ma quanta voglia di uccello c'è qui, stasera."
Luigi, navigatore conosciuto in Dodecaneso e spesso incrociato, con cui ho diviso informazioni e cene a bordo, è passato qui davanti un'ora fa. Due miglia al largo, ha accelerato per sfuggire al rumore sparato verso l'orizzonte dalle rocce chiuse ad anfiteatro di questa baia.
Però, penserete, è un buon riparo. Un par di palle. L'ancora, una delta di 15Kg seguita da 55 metri di catena da otto millimetri su un fondale apparentemente sabbioso di sei metri, ha mollato di botto dopo aver tenuto per un giorno e una notte le raffiche rabbiose di un forza otto, e ha riagguantato inopinatamente un miglio al largo, su un sasso a 40 metri di profondità. Ma questa è un'altra, interessante storia.
Si sta di merda, quindi, e non si è neanche sicuri che il fondo tenga. Però è bella? Ni. C'è più cemento qui intorno che all'EUR, ma senza neanche un albero o un aiuola.
E quando non c'è vento? Si balla, come in tutta la costa di Mykonos, perché passano i traghetti, i daily cruisers, i pescherecci, le moto d'acqua, gli sciatori, i paracadutisti e queli che si divertono a essere sbattuti qua e là su un salsicciotto di plastica giallo.
Tonnellate di biomassa preistorica fossilizzata invano, e riportate faticosamente alla luce solo per essere bruciate in pochi demenziali minuti di noia.
Però Mykonos è grande, direte. Infatti oggi con Cristina, la mia conavigatrice, alle cinque abbiamo raggiunto la saturazione e, nonostante lei dovesse prendere l'aereo di lì a poco (eccolo l'unico vantaggio di Paradise Beach, e l'unico motivo per cui sono finito qui: l'autobus che ogni mezz'ora con 2€ ti porta all'aerodromio), siamo migrati a est.
La baia successiva è la "Super Paradise". Più che una baia è un cannone dal quale vengono sparati fuori moto d'acqua e salsicciotti gialli pieni di bipedi annoiati. E super musica, ovvio.
Quella dopo è Elia. Ci siamo avvicinati a una spiaggia apparentemente tranquilla - la prima che vedo nell'isola - abbiamo superato un motoryacht il cui proprietario ci ha fatto un ampio gesto a indicare la propria linea di ancoraggio, dritta per dritta fino alle boe dei bagnanti, e immediatamente dallo stabilimento balneare un tipo barbuto in canottiera (li fanno con lo stampino i coatti mafiosetti, qui in Grecia?) ci ha fatto cenno di no con il dito indice agitato insieme a tutto il braccio peloso. Io ho raggruppato le dita all'insù e ho mimato il cenno universale del "Checcazzo vuoi?". Ero un poco nervoso, dopo cinque ore di dj Alex, e non avevo niente da perdere perché non avevo comunque intenzione di fermarmi. Il cane da guardia ha mandato immediatamente il suo sgherro, in moto d'acqua, per intimarmi di non ancorare lì.
"No anchor here"
"Why?" ripondo io, polemico ma gentile.
"Non lo so. So solo che qui non puoi ancorare."
"E dove, allora?"
"Più in là" e accompagna queste parole con il gesto, tipico di Mykonos, che con le mani aperte che fanno come a spingerti lontano indica come il problema del guardiano di turno finisca dopo che tu ti sarai spostato: a quel punto sarai il problema di qualcun altro. Del tuo, di problema, semplicemente se ne fregano.
"Dopo le boe?" suggerisco io, indicando le grosse boe gialle sapientemente posizionate proprio al limite tra sabbia e posidonia, quello oltre il quale alla prima raffica spedi e arrivi a Naxos senza neanche il tempo di chiamare Nico per un posto in porto.
"Sì. O forse no. Non ne sono sicuro."
"E di notte? Posso ancorare qui di notte?" insisto: magari scappo qui, al tramonto, per dormire tranquillo.
"Boh." E alza le spalle. "Ma qui non puoi stare" ribadisce, e fa per andarsene.
L'isola è abitata da una manica di stronzi, decido, ma mi manca un ultimo particolare.
"E il motor yacht, perché lui sì?" indicando la barca di 18 metri ancorata esattamente nel centro della zona a me proibita.
"È una barca sola" e alza di nuovo le spalle.
Avessi una testata atomica a bordo toglierei la sicura e mi farei saltare in aria. Se non altro per fermare il roteamento di palle che questa isola inospitale mi provoca.
Vogliamo parlare del porto? L'harbour master, se lo chiami, ti impone di mandargli un sms. Se gli mandi un sms di solito non ti risponde. Ma a volte lo fa, scrivendoti: "Chiamami domattina alle nove." Poi, domattina alle nove (il che già è assurdo: non posso mica decidere dopo colazione se venire o no a Mykonos con una barca a vela che a cinque nodi impiega minimo 3 ore ad arrivare dal ridosso notturno più vicino) tu lo chiami e lui non ti risponde.
Su Navionics un utente, in un commento, riassume egregiamente la situazione:
"Worst marina in Cyclades, built in a wind acceleration zone and run by farmers with no understanding of yacht handling. Do not expect friendly assistance."
Unfriendly: la parola chiave che definisce perfettamente questa isola.
Concludendo, ora son di nuovo qui, a Paradise Beach, ballando nell'onda lunga della sera, contrastando pateticamente dj Alex e la sua sua musica per infoiati de borgata con lattine di birra a gogò e barocco italiano a volume punk.
Ma non basta. Stasera ci sono anche le zanzare.
PS: la foto NON è scattata a Mykonos
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