Abbiamo appuntamento alle 10.30 con Maria, la nostra agente a Kastellorizo. Noi ci presentiamo alle 10.40, lei ci fa aspettare altri dieci minuti, e alla fine torniamo all'orario delle 11, esattamente il primo che ci aveva proposto ieri e che noi, con molte miglia davanti e desiderosi di partire, avevamo rifiutato.
Non solo: scopriamo che la capitaneria deve ancora timbrare le nostre carte - e 'ora c'è il traghetto, sono tutti occupati' - e che quindi, dopo il riconoscimento facciale alla polizia di frontiera, dovremo aspettare ancora un'ora prima di avere il visto di ingresso e di poter, infine, circolare per la Grecia con i documenti in regola.
Il bello è che in realtà in questo paese siamo già entrati da due giorni, e da due giorni camminiamo per strada e salutiamo tutti, guardia costiera e polizia di frontiera compresa. Qui di fronte, a Kas, lo scorso anno, il controllo passaporti l'abbiamo dovuto fare tendendo i documenti dalla plancetta di Duna, dopo che il doganiere turco mi aveva ripreso perchè avevo appoggiato un piede in banchina per aiutarlo a sistemare le mie stesse cime di ormeggio.
Concluse le pratiche riusciamo a lasciare l'isola, partendo da Mandraki. Ma solo alle 14, dopo aver razziato la foresta di capperi lungo il sentiero che dal porto comunale si inerpica fino alla tomba licia e da lì, a picco sul mare azzurro, gira attorno il promontorio per scendere al vecchio approdo dei pescatori al centro del quale Duna ha aspettato, placida sulla sua ancora, il nostro ritorno.
Ma, soprattutto, partiamo solo dopo aver aiutato l'economia ellenica con 181 preziosissimi euro, equivalenti alle 1200 lire turche con le quali saremmo potuti sopravvivere dignitosamente un mese ad appena quattro miglia da qui.
Poche miglia a motore ed è già il momento di ammainare la bandiera greca, a così caro prezzo conquistata, per battere di nuovo quella turca. Di straforo, infatti, passeremo la notte poco oltre Calcan. Rodi è troppo lontana stasera, 80 miglia controvento in mare aperto, e ripassare dalla dogana sarebbe un'inutile e grottesca perdita di tempo, oltre che di denaro.
Arrivati quassù, scegliamo una rada fuori dal golfo. Sabbia bianca su sei metri di fondo, perfetta per l'ancora. Sappiamo già che si ballerà, stanotte, un po' perché è aperta, un po' perché le isole qui di fronte rifletteranno verso di noi le onde perennemente provenienti da NW. Ma domattina ci sveglieremo già avanti, e senza le cime a terra necessarie in ogni altro ancoraggio qui intorno. Risparmieremo almeno un'ora, scusate se è poco.
Questa rada, dicevo, è un incanto. Ci sono cinque o sei caicchi, di quelli piccoli però, e oltretutto giornalieri: al tramonto se ne vanno uno a uno fino a lasciarci soli.
Anche le cicale, una a una, smettono di frinire, e l'unico rumore che rimane è quello del mare.
MaLa con i suoi capperi, io a scrivere questo diario. Il rollio è sopportabile, almeno per noi. Beviamo vino - lei - e ayran - io - e ci godiamo la prima rada solitaria dell'anno.
Madre Natura, incontaminata, ricompensa chi è disposto a viaggiare lento e consapevole. Questo è quello che ci diciamo, persi nella comunione olistica tra noi e il Mondo, commossi dalla perfezione dell'Attimo ma ancor più dalle nostre stesse parole.
E nel mezzo dell'Attimo veniamo assaliti da un'intera nidiata di vespe, che si infilano tra i capperi di MaLa, nel mio ayran, tra le dita che battono sulla tastiera, tra i nostri vestiti e i nostri corpi. Frugano ovunque in maniera assolutamente gratuita, senza ricavarne alcunché di utile, solo per controllare meticolosamente chi noi siamo, cosa portiamo con noi e cosa stiamo facendo. E noi, goffamente immobili, attenti a non urtare la loro suscettibilità, a non fare gesti che possano essere fraintesi, a facilitarle nel loro compito senza senso convinti - a torto - che prima si accorgeranno che non abbiamo nulla di interessante prima ci lasceranno in pace.
Un po' come la dogana che oggi c'eravamo risparmiati, insomma. E, come con i doganieri, per quanto tu sia gentile e accomodante loro trovano la scusa per pizzicarti.
E infatti così è andata. Madre Natura un cazzo.
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