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Ritorno low cost

"Sono sveglio dalle quattro. Sono partito da Siena, ho lasciato la macchina a Ciampino, sono venuto ad Atene e stasera devo guidare due ore e mezza per tornare a casa. Sono stanco." confessa esausto il ragazzo seduto dall'altra parte del corridoio del volo Ryanair FR1299, partito da Atene a diretto Roma, orario previsto di partenza 20:05 ora locale.
La mia giornata, invece, è cominciata alle sette, in barca. Ho preso un autobus da Galatas ad Atene, una metro fino a piazza Sìntagma, uno scooter fino a casa di Michele. Qui abbiamo pranzato, chiacchierato, abbiamo raccontato e ascoltato le rispettive peripezie accaduteci dopo la nostra separazione agli inizi di agosto, a Lakki: lui col la sua barca a motore verso Arki, Fourni, Ikaria e poi casa, io e la mia Duna verso Patmos e i miei ospiti-conavigatori estivi. Dopo pranzo un altro autobus, l'X95, nonostante il traffico mi ha portato fino all'aeroporto giusto in tempo per il check in. Infine mi sono incamminato verso il gate d'imbarco, il B31, l'ultimo in fondo al piano interrato, quello che raggiungi tramite svolte improbabili quando proprio avevi ormai perso ogni speranza di aver azzeccato la strada giusta.
Attesa.
Fuori è ormai buio, e le luci della sala sono gialle, piatte. Illuminano una folla multietnica seduta stancamente nelle poltroncine, impegnata a ricordare sommessamente gli ultimi giorni di vacanza, a comunicare ore di rientro. Qualcuno fa conoscenza coi vicini, o addirittura ride.
Alle 19:20 la hostess chiama il pre-boarding, ovvero tutti quelli seduti devono alzarsi in piedi, uscire dall'area delle poltrone, mettersi in fila fuori e far controllare documenti e carta di imbarco per poi tornare esattamente al posto di prima. Io ho fortuna, sono tra i primi a essere controllato e, tornando seduto, guadagno posizioni verso l'uscita vera e propria. Sono ottimista.
Alle 19:40 arriva il pulmino. Il personale dà il via all'imbarco prioritario, e pronti i passeggei che hanno pagato il "lussuoso" extra corrono al banco (dove il biglietto e i documenti vengono nuovamente controllati) e vengono poi ammucchiati oltre la porta a vetri. Quando il pulmino è pieno, però, non parte. Rimane lì.
Per dieci minuti ci guardiamo, noi risparmiatori incalliti, in piedi, in fila nella sala d'attesa, e i clienti prioritari, accalcati nel pulmino con lo sguardo di chi è pronto da un momento all'altro a occupare la propria poltrona in un aereo ancora semivuoto. Poi arriva l'ordine di far scendere tutti, e lo sguardo si trasforma in stupito mentre le hostess ci chiedono di far spazio, di rimetterci seduti. "Problemi all'aereo", si lasciano sfuggire, "Ma non sappiamo altro".
Attesa.
Torno al piccolo bar, fortunato per una sera, compro una bottiglia di acqua, qualcosa da mangiare. Ringrazio in Greco, provando piacere nell'usare ancora una volta le poche frasi che ho imparato in questa lingua.
Le hostess continuano a comunicare alla radio, e a non sapere niente, tanto che è il tabellone ad annunciare per loro la novità: il volo è ritardato alle 21:40. Gemito collettivo di delusione. Qualcuno si alza diretto alla civiltà dell'aeroporto e dei ristoranti. I giapponesi tirano fuori le carte e cominciano a giocare. Vince sempre il ragazzo sulla sinistra, e ride sguaiatamente prendendo pesantemente in giro gli altri.
L'orario di partenza arriva, trascorre, si allontana. Alle 22:00 ecco di nuovo il pulmino; si aprono le porte e le hostess ci invitano all'ennesimo controllo dei documenti di viaggio. La gente si accalca al banco senza più rispettare l'imbarco prioritario, che evidentemente vale solo per la prima chiamata. Salgo anche io sul primo pulmino che, miracolo, appena pieno parte immediatamente.
Cominciamo a girare per le piste buie. L'aereo è parcheggiato in periferia, e per quando arriviamo lì comincia a piovere.
Fermi a poche decine di metri dalle scale di accesso, l'acqua comincia a trafilare dai finestrini, poi dal soffitto. Siamo tutti in attesa di poter finalmente entrare nella cabina sicura dell'aereo e, quando per un attimo le porte si aprono, un distinto uomo di affari in camicia bianca scende rapido e poi, sorpreso dalla violenza della pioggia, corre chino verso la scala anteriore, trascinandosi dietro il trolley, con la precisa volontà di arrivare per primo al riparo della tettoia. Non vorrei sbagliare, ma me lo ricordo avanzare rapido e un po' a zig zag, come appena sbarcato sotto il fuoco nemico sulle coste normanne.
Le porte, però, rimangono aperte solo per una frazione di secondo, e si richiudono esattamente dopo di lui: la sua corsa è solitaria e viene facilmente bloccata dal personale di sicurezza a guardia dell'aereo. Torna indietro sconfitto e deve bussare alla porta per essere riammesso, mentre dentro tutti, ma proprio tutti, ridiamo alle lacrime. Il tipo è sportivo, e una volta dentro, grondante acqua, ride anche lui del suo gesto inutile.
Attesa.
"In treno eravamo già arrivati" esagera qualcuno ad alta voce. Risolini nervosi, forse comincia a montare il dubbio che non sia una battuta troppo lontana dalla realtà.
Il pulmino è scosso dalle raffiche di vento. Mi chiedo se è così anche a Galatas, se ho chiuso bene tutto sulla Duna. Mi pento di averla lasciata sola, di averla abbandonata per l'inverno.
Poi ci muoviamo di nuovo, ci allontaniamo dall'aereo, torniamo davanti alla sala di attesa. "Se vi facciamo rientrare, poi dovremo di nuovo controllare tutti i documenti" si scusa la hostess, "Per cui è meglio rimaniate qui. Cinque minuti". E noi aspettiamo ancora, in piedi nel pulmino, nel caldo umido di corpi e sudore e pioggia. Passano venti minuti, in cui io approfitto per attaccare discorso con una coppia che mi sembrava di conoscere e infatti sì, ci eravamo incontrati a Kythnos, in rada: ci avevano scambiati per altri e salutato e avevamo finito per fare amicizia. Ci scambiamo i numeri di telefono, ci ripromettiamo di sentirci e vederci magari questo inverno a Methana, dove loro vivono con soddisfazione da tre anni.
Il pulmino riparte e finalmente apre le porte davanti all'aereo. Piove ancora e ci accalchiamo sulle scale per ripararci dall'acqua. La hostess fa per ricontrollare i documenti, poi rinuncia di fronte alle nostre facce stanche e grondanti di pioggia, e ci lascia entrare senza altre attese. Mi siedo, tiro fuori il mio libro, ascolto distrattamente prima le scuse di rito del pilota, poi le istruzione di sicurezza, mando un messaggio a Manuela, che da ore aspetta di sapere quando dovrà venire a prendermi a Ciampino. "Stiamo partendo con due ore e mezzo di ritardo, immagino che finiremo per arrivare intorno alle 23:30 ora italiana". Illuso, crollo addormentato e mi sveglio mezz'ora dopo, quando finalmente l'aereo comincia davvero a muoversi.
Decollo, viaggio. Alterno momenti di lettura a svenimenti, svegliandomi solo per cambiare posizione alle ginocchia costrette dal sedile ai limiti delle dimensioni umane. Passano le hostess a vendere cibi e bevande ma in pochi, nonostante l'ora, comprano qualcosa.
All'ennesimo risveglio, fuori dal finestrino riconosco, nonostante il buio, il golfo di Napoli. Poi Gaeta.
Il pilota prende la parola per annunciare il nostro arrivo in dieci minuti. Sospiro generale di sollievo.
Passano pochi minuti ed è di nuovo lui al microfono, in un Inglese affrettato che non tutti capiscono immediatamente: "Ehm... Sono davvero davvero spiacente, ma mi hanno appena comunicato che data l'ora Ciampino sta chiudendo e quindi dovremo atterrare a Fiumicino. Le vostre famiglie sono state avvertite."
Il ruggito della folla monta piano piano, man mano che le parole vengono decifrate e il messaggio trasmesso ai più distratti. "Ma io ho la macchina a Ciampino" protesta il mio vicino con la hostess. "There will be a bus or something" e scappa via. Ci interroghiamo sul significato di quel "something", certi che il sottotesto sia "Io non ne so nulla l'importante è che sbarchiate senza prima avermi linciato". Il senese comincia a raccontarmi delle sue disavventure. Il vicino greco si informa su orari di bus e metro, deve andare a Termini a prendere una coincidenza che ormai non sarà più lì da ore. Quello italiano, alla mia sinistra, cerca qualcuno con cui dividere un taxi. Io penso a Manuela, che mi sta aspettando a Ciampino almeno dalle 23:00 e che non posso avvisare del cambio di aeroporto, e che nessuno avrà avvertito nonostante le promesse del pilota. "Abbiamo avvertito le vostre famiglie", ho scoperto poi, significa che hanno mandato una email all'indirizzo di registrazione, ovvero a me che sono guardacaso sequestrato proprio su questo aereo senza possibilità di comunicare con nessuno.
Atterrati a Fiumicino poco prima dell'una, chiamo finalmente Manuela e le comunico le ultime novità. Lei ovviamente è ancora parcheggiata davanti a Ciampino. Il sito dell'aeroporto, quello che dà notizie dei voli in tempo reale, ha cessato di comunicare aggiornamenti alle 23:30.
L'aereo si muove veloce per le piste deserte. Il viaggio via terra dura talmente tanto che qualcuno ipotizza che sia lui il "something" che ci porterà a Ciampino. Poi però si ferma davanti al terminal, e rimaniamo in attesa.
"Ehm..." la voce del pilota stavolta è davvero affranta.
Ci comunica, dopo essersi ancora una volta profuso in scuse profonde, che non possiamo scendere perché la porta anteriore non si apre, dobbiamo aspettare che vengano da fuori a sistemarla.
Ma ormai siamo a Roma, e accettiamo anche questo senza dar fuoco a nulla.
Del resto negli ultimi messaggi scambiati con Michele l'Ateniese, in cui gli raccontavo dei primi ritardi, lui concludeva ironico "Cosa ti aspettavi, per 30 euro?". Bella domanda, che però non ho avuto il coraggio di rigirare al ragazzo di Siena il quale, per poter tornare a casa alle cinque di mattina, ne aveva pagati più di 100.



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