Una storia che non parla della randa rollabile, della quale non mi frega assolutamente nulla. Però ho attirato la vostra attenzione.
Sono in bagno quando Roberto mi chiama per la prima volta. "Carlo vieni su a vedere" mi fa, con quel tono di voce che sottintende "Non è urgente ma non metterci troppo". Io mi asciugo di corsa le ascelle e salgo, in mutande e canottiera di lana.
La canottiera di lana mi serve ormai da una settimana per proteggermi dal meltemi di fine settembre, insieme al cappello dello stesso materiale e alla cerata quando siamo in navigazione verso nord, cioè tutti i giorni; Roberto è il conavigatore che ha scelto volontariamente di attraversare insieme a me, contovento, l'intero Egeo dal Dodecaneso al golfo di Atene.
Il mio conavigatore mi indica al di là della nostra prua. La barca inglese che stanotte è riuscita non so come a infilarsi tra noi e la spiaggia - non pensavo fosse possibile dare ancora più in là di dove l'ho data io ieri pomeriggio arrivati da Kythnos - sembra visibilmente più vicina rispetto ad appena mezz'ora fa.
La osservo un po', vedo un tipo che esce, si guarda intorno, non mostra segni di preoccupazione. Ma io sì, e allora vado a prua e gli rivolgo un cenno di saluto.
È scuro di pelle, Indiano o Pakistano forse, giovane, con dei pantaloni a fiori e occhiali da vista con la montatura scura.
Solo il fatto che, con questo vento rafficato e rabbioso, io e lui riusciamo a parlare, dovrebbe farmi riflettere sulla sicurezza della distanza che ci separa.
"Hi!" gli dico
"Hi sir" mi risponde lui, compito.
"La tua ancora sta arando, o hai calato più catena?" in inglese
"La mia ancora è a posto, adesso: ho appena controllato"
"Ah" mentre cerco di decodificare la lingua, afferrare il concetto, valutare i sottintesi
"Ma ho il genoa strappato" e indica la massa informe malamente avvolta al rullafiocco
"E la randa incastrata" insiste, puntando il dito verso un altro avvolgitore, esterno all'albero, gonfio di dacron deformato dalla tensione
"Sei arrivato a motore quindi?" gli domando, sperando così di scoprire se è in grado di accenderlo e spostarsi nel caso finisca per venirmi addosso
"Sì, ma la barca fa acqua dall'ecoscandaglio: il trasduttore si è allentato sbattendo sulle onde. Mi arrivava al ginocchio quando me ne sono accorto"
"Ommèrda" non riesco a trattenermi "ma l'hai noleggiata o è la tua?"
"È la mia bella barca, e la sto portando a Mikonos" è orgoglioso e folle. Mi fa simpatia e tenerezza, lui e il suo vecchio Bavaria 34.
"Posso aiutarti?" mi pare doveroso chiedere
"No, grazie. Ora va tutto bene"
"Ok, noi partiamo entro un'ora, se hai bisogno di aiuto chiamami"
"Thank you sir"
Torno in pozzetto, e prima di scendere a far colazione faccio a Roberto un sunto della situazione, concludendo con le istruzioni in caso di collisione imminente: "Per ora togli la ritenuta alla catena. Se si avvicina troppo apri la frizione e fila tutto il calumo rimasto, poi accendo il motore e in qualche modo risolviamo"
Scendo. Caffè, succo, caffè. Sto per avvicinarmi al bagno quando Roberto mi chiama di nuovo, allarmato, e io nella fretta di salire mi verso metà tazzina sulla mia bella maglietta "Shiatsu On Board", mannaggia.
Il tipo, mi rendo conto istantaneamente con un sospiro, non sa neanche cosa significa, "controllare l'ancora". Ci è arrivato in un attimo quasi al traverso, e alla prossima raffica fatta bene il botto è assicurato. Dal canto suo, però, lui pare tranquillo. Ci guarda dal pozzetto, è al telefono, forse non sa che a Mikonos ci arriverà a breve e con tutta la catena penzoloni, se non fa qualcosa.
A me di andare a Mikonos non va. L'isola in sé non mi attira e poi, dopo tutto il mazzo che ci siamo fatti negli ultimi giorni per risalire il meltemi, mi parrebbe stupido giocarsi tutto il sopravento andando alla deriva incastrato con un seppur educatissimo giovane Inglese di origini asiatiche. Così taglio corto i preparativi mattutini, rimando il giro di controllo di prese a mare e osteriggi e, con tanto di basilico ancora in coperta, accendo lo Zio e dribblo il Bavaria in discesa libera. Roberto, a prua, recupera rapido la catena fino a quando questa, finita nella foga sotto la barca, crede bene di uscire dalla sua puleggia.
L'indiano ci guarda senza intervenire, mi sta meno simpatico, ora che io sono costretto a salpare l'ancora in retromarcia controvento, tra evoluzioni e virtuosismi, e lui al suo fottuto motore non ha nemmeno riscaldato le candelette.
Passano lunghi minuti, e alla fine la mia manovra ha successo. L'ancora è a bordo, il giovane folle diretto a sud evitato, Duna alla cappa secca scivola lenta verso il largo mentre la prepariamo alla navigazione, sistemiamo il basilico e e issiamo le vele già terzarolate da ieri.
Poco dopo siamo fuori da Sounion e il vento ci spinge veloci sul mare piatto. Evitiamo una nave diretta ad Atene, poi arrivano le raffiche dell'isolotto di Gaudouròniso. L'onda monta e si fa confusa, rabbiosa a tratti, mentre ci allontaniamo dalla costa puntando per 240°, verso il canale di traffico del Pireo e verso Poros, ultima meta della stagione, con una veloce e movimentata galoppata per un volta, finalmente, al lasco.
Ma in questa storia c'è una morale, e non riguarda i Bavaria né le vele rollabili né i giovani inglesi educati di origine asiatica diretti a Mikonos, tutti dettagli per me privi di qualsiasi genere di connotazione.
La morale è che se ti scappa appena alzato è meglio approfittarne, cogliere l'attimo: il tuo vicino potrebbe spedare in qualsiasi momento, e costringerti ad una precipitosa, lunga e costipata fuga prematura.
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