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Io non li odio, i charteristi

Il Beneteau che mi si infila a fianco è enorme. Voglio dire, è un 50 piedi, ovvio sia grosso, ma è comunque esagerata la larghezza del suo baglio.
In realtà qualunque cosa è esagerata a bordo. Ciascuna delle finestre della sua tuga ha più plexiglass di tutti i miei oblò. Il suo albero ha più alluminio degli infissi del mio condominio. La sua randa rollabile più tela delle tende da sole del mio palazzo. Al confronto, la Duna sparisce.
Anche i parabordi sono proporzionati. Peccato che nessuno, nonostante i miei sforzi linguistici, si degni di spostarli da dove il cantiere li ha annodati nel giorno del suo varo, evidentemente a fianco di altri 50 piedi, a dove potrebbero essere utili a tenere lontano il bottazzo di un microscopico vecchio Serenity. In pratica, oltre ad avermi schiacciato, sono i miei parabordi a rischiare di scoppiare, mentre i suoi si riposano, morbidamente avvolti nel panno blu, certo lavato in ammorbidente.
La bandiera è del Delaware, e da queste parti i soli a battere bandiera di quel remoto paese non sono né i tori né le checche, bensì i charteristi turchi.
Ora, io non ho niente contro la pratica del charter in genere. Come non ho nulla contro le rande rollabili, i winch elettrici, le eliche di prua, i tendalini che impediscono qualsiasi vista delle vele a qualsiasi membro dell'equipaggio. Non ho niente, a priori, nemmeno contro i condizionatori in ogni cabina e i bagni in ogni cabina e i generatori accesi per far funzionare ogni cabina. Sono estremamente aperto alle nuove amicizie, soprattutto in banchina, e so che a volte una seconda occasione fa scoprire delle belle persone. Come il vicino di sinistra: anche lui con una barca rispetto alla quale la Duna impallidisce. Anche lui con tutto rollabile. Con parabordi enormi, che abbiamo sistemato insieme. Ci abbiamo messo un po', con Erik, a entrare in rapporti di buon vicinato, e certo non posso aspettarmi da un Belga il calore di un mediterraneo - o forse no, ecco che parla il mio "razzismo", il mio "orgoglio libico", ogni Belga ha il diritto di essere espansivo o introverso esattamente quanto me. In ogni caso con Erik abbiamo un rapporto di buon vicinato. Coi Turchi sottovento non abbiamo alcun rapporto. Semplicemente sono arrivati, si sono infilati a forza mentre i miei parabordi saltavano e i loro erano bellamente assenti e io in banchina a ricevere le cime che hanno impiegato ere geologiche a riprendere indietro, hanno spento il motore e si sono fatti i cavoli loro. Manco 'n saluto. Saranno introversi, che non ne hanno il diritto, pure loro?

Comunque siamo stretti coi tempi: è arrivato il momento per Manu di salire a malincuore sull'aereo che la riporterà a casa. Stiamo scendendo a terra per andare ai taxi quando dei tizi, quelli della barca a destra dei Turchi, salpano. Pot pot pot, cominciano a girare per il porto, cercando difficoltà ancora prima di accorgersi di averne già in abbondanza. Credo siano anche loro Turchi. Lo scorso anno, proprio qui a Samos, credetti di capire che la marineria turca morì a Lepanto. In realtà quest'anno, dopo il mare di Marmara e i suoi pescatori tanto simili ai greci, dopo Istanbul e i suoi mille traghetti in perenne conflitto di rotta, devo ricredermi anche su questo. La marineria turca è viva e vegeta e allineata alla potenza del paese per cui naviga. Sono specificamente i diportisti turchi a non avere idea di cosa cazzo significhi andare per mare. Troppi soldi, e troppo in fretta.
Ecco, torniamo al discorso di prima: io non ho niente contro la pratica del charter in genere, ma odio profondamente chiunque sia convinto di poter andare per mare da signore e padrone solo perché "ha pagato". E forse di più, non me ne vogliano alcuni miei amici, odio chi per professione glielo fa credere.

In ogni caso i forse Turchi alla fine trovano il loro problema. Nello specifico, i sicuramente Turchi, quelli simpatici alla mia dritta, gli hanno piazzato 25 chili di ancora e 50 metri di catena del 10 sopra il calumo. I forse Turchi cominciano complicate manovre che, complice il vento al traverso, li portano ancora più raminghi per il bacino portuale mentre alano a fatica il ferro nemico.
La barca colpevole è deserta, si sono tutti dati in un attimo, e privata dell'àncora comincia inesorabilmente a scadere sottovento. Manu è nervosa, "ecco, proprio adesso doveva succedere?", perché mi vede incerto sul da farsi. Io decido di affidarmi all'italiano a prua della sua barca, 15 metri sottovento, il quale è particolarmente preoccupato che i forse Turchi, una volta liberata la loro àncora, non lascino cadere quella dei miei vicini proprio a cavallo della sua catena. Vana speranza.
"Io vado all'aereoporto, butta un occhio per me se puoi" gli faccio, è bello oggi tanto potersi esprimere nella propria lingua, e ricevuto il suo assenso scendo a terra e mi avvio ai taxi. Ogni tanto però mi giro, e vedo il 50 piedi, un plasticone orrendo preso a nolo e dotato di assicurazioni di ogni genere, allargare la prua al vento e avvicinare la poppa in banchina.  È pur sempre una barca, non se lo merita, e anche i charteristi, in fondo, ma che ne so di loro, chi sono cosa fanno nella vita e perché magari per una sola volta sono stati poco socievoli. "Aspetta solo un attimo", faccio a una Manu sbuffante fuoco dalle nari, e torno di corsa a bordo, prendo una cima e assicuro la loro prua alla mia. Sperando non mi spedi l'àncora, lui e le sue finestrature da camper coatto. Poi scappo.

Torno un'oretta dopo, e trovo il porto in subbuglio. I forse Turchi hanno lasciato andare l'ancora dei sicuramente Turchi il più lontano possibile sottovento. Il plasticone dondola di sbieco a un pelo dalla banchina, e quel pelo dipende dalla mia linea di ancoraggio. I greci del porto fanno di tutto per salvare la situazione, ma quel tutto si risolve nell'arrotolare in coperta qualche metro di catena e nel cercare nei vari ristoranti i noleggiatori della barca.
Finalmente ecco però avvicinarsi due degli occupanti. Lui, giovane sui 30 anni, alto e pingue, lei, giovanissima ed esile. Sistemano la passerella senza accorgersi di nulla. Salgono, e solo dopo lunga insistenza dei Greci, e intercessione dell'Italiano che, esce fuori, parla benissimo Turco, capiscono che la situazione ha qualcosa di strano, e richiede che facciano qualcosa.
Lui va al verricello e comincia a recuperare catena, non prima di avere indossato costosissimi guantini in neoprene di ermellino. L'Italiano emette un urlo di angoscia: così facendo avrebbe spedato mezzo porto, ma Lui, avendo finalmente capito di avere la sua àncora messa di traverso fino ai pescherecci giù in fondo, gli risponde sicuro e saccente "no problem, tomorrow I'll leave first". Limortaccitùa, penso istantaneamente in civitavecchiese stretto, il "no problem" proprio non lo sopporto, ma l'Italiano è parecchio motivato e riesce ad avere ragione, spiegando al pingue che l'unica è salpare con estrema cura e ridare ancora. Vedo la luce nei suoi occhi, mentre risponde "ok, I'm waiting for dad". Poi si sente maturo, e osa "if you help me, I do it now". L'Italiano non vede l'ora di togliersi la rogna ed accetta, sale a bordo e va al verricello. Ora sono tranquillo anche io, mi illudo.
Riassumo la situazione, mentre il Turco si allontana dalla banchina tirato via dal suo verricello, il che già da sé testimonia quanto abbia capito della situazione: ha il telecomando al timone, e posso apprezzare la faccia sgomenta dell'Italiano che credeva di poter controllare l'incontrollabile mentre la poppa del plasticone fa il pelo alla sua barca incustodita. C'è una terza persona a bordo, la giovane esile fidanzata del figlio di papà pingue. È bionda, porta gli occhiali da sole e, appena salita in barca, aliena a qualsiasi situazione di emergenza, si è stesa sul divano del pozzetto. Sorride, forse pensando alle sue unghie dei piedi certo accuratamente smaltate, e non muove un dito, non corruga un sopracciglio, mentre l'oggetto che le permette di galleggiare mette a rischio la sicurezza di mezzo porto. Mi ricorda, in peggio, Bunny Lebowsky.
Non sto qui a raccontare quali evoluzioni possa aver fatto il tipo prima di ripresentarsi, armato di elica di prua, completamente sbandato in banchina. Io sono qui ad aspettarlo, insieme a Papis, il "comandante" del porto, il quale dal momento che la prima cima flaccida atterra sul molo, e la seconda sulla sua faccia, non fa altro che ripetere al pingue "ok, now stop the engine" con lo stesso tono con cui Frankestein ripete "rimetti a posto la candela". Ma il pingue, ostentando una sicurezza che davvero non è possibile comprendere, insiste a dare manetta avanti o indietro, casualmente, a seconda di quale delle sue sinapsi vada in corto nell'umidità della sera.
Mentre stringo la cima sopravvento appena passata nell'anello, con l'idiota che ha deciso essere il momento di allontanarsi dalla banchina, mentre le mie mani stringono il doppino e friggono nel tentativo di mantenere la presa, osservo ancora la bionda. È sempre lì, lo sguardo perso nel nulla delle sue unghie smaltate, languidamente appoggiata al suo divano da pozzetto in pelle. "Che droga usi?" non posso fare a meno di chiederle, sinceramente interessato. Purtroppo nessuna risposta.

Un paio di ore dopo io sono impegnato nel rimontare lo spray hood, dopo aver passato il pomeriggio a ricucire e rinforzare gli strappi dell'età e del meltemi. Il pingue e Bunny Lebowsky sono mollemente abbracciati sullo stesso divano di pelle. Più esattamente, lei ha sotto di sé due divani di pelle, di cui uno pingue. Non mi hanno più rivolto la parola da quando, in banchina, scherzando, per ricevere un ringraziamento che non è comunque arrivato, ho detto loro che forse avrebbero dovuto offrire da bere.
C'è della musica di sottofondo, ma non ci faccio caso più di tanto. Ho passato il pomeriggio a cucire, a mangiare pistacchi di Egina e a bere Fix. Sono a Pitagorion, la conosco, mi piace, è il tramonto e sono in pace col mondo.
Il pingue mi apostrofa, in inglese, io mi giro e incontro lo sguardo vacuo e il sorriso morfinomane della bionda, ci metto un po' a mettere a fuoco le parole, deve ripeterle. "It's Italian opera" c'è un tenore che canta, in effetti, "I put it to let you feel home" - il che è anche falso, era una compilation, ma magari può essere una battuta simpatica - "only that you can't feel home, because you are not in Italy but in Greece". Gongola.
Ma qui, pingue figlio di papà i cui soldi ti danno l'apparente diritto di andare per mare come signore e padrone e io ti odio, te e chi ti ha noleggiato questa merdosissima barca, hai toppato.
"You're wrong, my friend: I actually AM at home" e, incurante della sua reazione, qualunque essa sia, riprendo a montare il mio spray hood forte della Verità nelle mie parole.
Sullo sfondo il porto di Pitagorion al tramonto, le barche in rada oltre il faro, i pescatori che rientrano rapidi, il brusio delle taverne, il chiacchiericcio degli avventori e dei turisti lungo la banchina di pietra, il cielo azzurro, il mare, io sulla mia Duna. 
E chi non l'ha mai provato non può capirlo.

Commenti

  1. ciao tutto bello tranne la parte del : " Come non ho nulla contro le rande rollabili, i winch elettrici, le eliche di prua, i tendalini che impediscono qualsiasi vista delle vele a qualsiasi membro dell'equipaggio. Non ho niente, a priori, nemmeno contro i condizionatori in ogni cabina e i bagni in ogni cabina e i generatori accesi per far funzionare ogni cabina."
    Io possiedo randa rollabile e winchi elettrici perchè quando ho acquistato la barca, era già armata in questa maniera. Ora son con te coi generatori, son con te coi condizionatori, ma avere un winch elettrico a bordo, ti toglie d'impaccio da tante situazione se navighi da solo. Quindi, capisco che sia un tuo punto di vista che rispetto ma che che NON condivido assolutamente.
    Nn è che nn sei un velista se possiedi randa rollabile, o tendalino ( se ti piace bruciarti o rincoglionirti al sole è una tua scelta), semplicemente sono due tipi di randa con pregi e difetti tutto qui.
    NN lo prendere come un affronto, è solo uno scambio di vista e apprezzo molto il tuo blog, anzi........
    Bv
    Ps: ma Luciano Piazza su PIAZZA GRANDE nn ha la randa rollabile?

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    Risposte
    1. Pietro (o Massimo?), mi dispiace constatare, non solo da quello che scrivi tu ma anche da altri commenti - purtoppo meno articolati e gentili del tuo - ricevuti su FB, che la mia ironia ha incasinato le cose più di quanto volessi. Ovvero, per dirla tutta, che ho sbagliato qualcosa nella forma... mi sono espresso male, insomma.
      Io DAVVERO non ho nulla contro tutto ciò che ho elencato nelle frasi incriminate. Ho messo insieme tutto quello che i puristi e/o i fichetti e/o i tradizionalisti prima o poi citano schifati (forse ho dimenticato i parabordi appesi, che ho in questo momento in navigazione da Samos ad Agathonisi), perché mi sono reso conto col passare degli anni e delle miglia di non avere preconcetti su nulla. Ben vengano winch elettrici, rande rollabili o quant'altro. Non mi sento superiore o spocchioso (o inferiore e quindi rosicante) perché non ho il generatore e il condizionatore. Davvero, seriamente. Non odio nemmeno i charteristi, è serio il titolo. Spero di essere stato chiaro. Sono neutro a qualsiasi cosa, aspetto di conoscere se la persona che c'è dietro è un "marinaio" o un "credit card captain" e, in tutta sincerità, non sono nemmeno così sicuro di quale sia la mia posizione lungo questa scala.
      Quindi in realtà condividi il mio punto di vista più di quanto pensassi :)

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    2. Il relativismo nautico, in questo caso, mi sembra inapplicabile: troppo sofisticato. Ma i puristi, i fichetti, i tradizionalisti non sono una categoria umana ben definita; lo è viceversa, quella dei "troppi soldi troppo in fretta".Ed è categoria sociale dalla quale difendersi perchè pericolosamente ed inconsapevolmente aggressiva. In mare come a terra. Parabordi surdimensionati necessitano, e forse non bastano. La finezza di pensiero ed il garbo nel giudizio e nel tratto finiscono con l'essere interpretati come una debolezza. Il predatore si eccita. Certo il Serenity, nelle giuste mani, senza farsi troppo notare,è capace di grandi navigazioni, e questo si rileva. Come altro.
      Diaro sempre originale che leggo con piacere, complimenti.
      Ponzese

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    3. Giusto. E grazie per l'apprezzamento

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