Ovvero: una pedissequa cronaca degli ultimi giorni di vela.
Oggi mi son tuffato da uno scoglio su un fondale pieno di ricci ("ma qui non ci arrivano i pugliesi col camioncino e le bombole, quelli che ogni tanto vengono fermati sull'A12 e multati di cinquecento euro per aver razziato diecimila echinodermi", ricordo di aver pensato). Ovviamente, anche se non ce ne era bisogno, l'acqua diventava subito profonda, ho aperto gli occhi per essere sicuro di non mettere inavvertitamente una mano o un piede su uno degli animali in questione - "potrebbe finire in tragedia" mi aveva minacciato Manu - e ovviamente avevo le lenti a contatto.
È strano, perché senza lenti non avrei avuto ragione di aprire gli occhi: non avrei visto nulla, nemmeno il mio piede o la mia mano, ma, con le lenti, non ho visto comunque nulla, perché una delle due, la sinistra per i più pignoli, mi si è accartocciata tra il bulbo oculare e la palpebra. Tragedia.
Chissà quante volte capita, qui a Galaxidi, di vedere uno straniero nuotare fino al centro del canale, con un braccio solo, con l'altro ben fuori dall'acqua a stringere un qualcosa di invisibile (come si dirà "fottuta lente a contatto" in greco?), per poi iniziare a infilarsi ripetutamente un dito nell'occhio, più e più volte, agitando nel contempo freneticamente i piedi per tenersi a galla. Ecco che finalmente viene utile la breve parentesi pallanuotistica giovanile: come dice sempre mia nonna, "impara l'arte e mettila da parte".
Ma non è questo l'argomento del post, ho sconfitto i ricci malvagi e ho riconquistato la costa incolume. Mi son pure fatto la doccia, qui in Grecia - lo so per noi suona strano - gli stabilimenti sono pubblici e così sono le docce. Almeno fino a quando privatizzeranno tutto e vivranno finalmente meglio.
L'argomento, il titolo, prende spunto dal nostro arrivo a Trizonia, un paio di giorni fa.
Eravamo partiti da Messolongi all'alba delle nostre palpebre con un leggero sud-est. Bolina, lenta, poi il vento era sparito, tira giù le vele. Poi era risalito, da sud-ovest, su il genoa si va al lasco. Poi era ruotato a ovest, e noi a farfalla.
Poi, appena dopo aver contattato Rio Traffic a cinque miglia (a proposito, Luciano: loro ci hanno copiato, fossi in te darei un'occhiata al tuo VHF), abbiamo cominciato a sentire il rombo dei tuoni sulla sponda nord del Golfo di Corinto.
Per andare sul sicuro, al primo lampo lontano ho dato ordine alla ciurma di tirare giù tutto, e ho proseguito a motore. Peccato rovinarsi la media, quest'anno siamo arrivati fin qui con la metà esatta delle ore motore dello scorso anno, ma quando, dopo il ponte, il vento ha ruotato di 180 gradi rinforzando al di sotto delle propaggini dei cumulonembi, ho smesso i preoccuparmi di questi dettagli ringraziando per una volta i traumi infantili grazie ai quali sono cresciuto così timido e timoroso.
Rotta su Navpaktos, allora, a tagliare il golfo, a prendere (perdere) tempo, a cercare un ridosso in caso si metta al peggio - il fondo non è buon tenitore: è biadesivo! Il consiglio che mi arriva in tempo reale da Riccardo - e soprattutto ad ammirare da vicino il porticciolo fortificato davanti al quale probabilmente alcuni dei miei avi rischiarono la vita per difendere gli interessi economici della cristianità a discapito degli interessi economici degli infedeli.
Passata la tempesta ci rimettiamo in rotta, ora di bolina, per poi tirar giù di nuovo le vele in assenza di vento e infine, dopo poche miglia, ritrovarci gagliardi a farfalla diretti alla punta meridionale di Trizonia.
Per entrare nel porto venendo da sud bisogna passare larghi sulla punta, e infilarsi tra Trizonia stessa e l'isoletta di Agios Joannis: in pratica, con questo vento, arrivati lì di poppa piena si accosta al traverso per poi risalire di bolina larga le ultime miglia.
"Cambiamo mura al genoa e poi cazziamolo per il traverso" ordino all'equipaggio. La prima parte viene eseguita alla perfezione. La seconda ha un imprevisto: nel canale tra le due isole il vento accelera a palla di cannone, e ci ritroviamo con la Duna in bilico sul suo bottazzo di dritta, con una costa sottovento decisamente troppo vicina per i miei gusti, il genoa mezzo sventato e l'equipaggio che invece di collaborare si spalma sul pagliolato del pozzetto gemendo "raddrizzala, oddio oddio oddio RADDRIZZALA!". Ad onor del vero, devo anche citare Alberto il mio istruttore della patente nautica che mi diceva qualcosa del tipo "se vai di poppa a sei nodi, pensaci un attimo prima di accostare di bolina".
Da intellettuali quali a volte millantiamo di essere, approfittiamo dell'occasione per intavolare una discussione filosofica sulla necessità e/o l'opportunità di raddrizzare la barca, dal momento che per farlo dovrei o sventare anche la randa, fermandoci e schiantandoci sugli scogli, o cambiare rotta e tornare quantomeno al lasco, schiantandoci quindi sugli scogli.
Durante l'acceso dibattito, l'equipaggio partecipa agitando trasversalmente o longitudinalmente la mano non occupata a piantare le unghie sulle panche - piuttosto verticali - del pozzetto, l'isola sottovento pian piano sparisce dietro la poppa, e senza bisogno di dirimere la questione posso permettermi di mollare la scotta della randa, poggiare un pochino, disporre per l'ammainata (parecchio) acrobatica del genoa, accendere il motore.
Al marina di Trizonia il vento è al traverso, diamo àncora con precisione chirurgica, e arriviamo in banchina tra i sorrisi di benvenuto dei vicini svizzeri. La cima di poppa di sinistra è troppo corta e fa fare figure barbine quando lanciandola al volenteroso di turno rimane per un attimo in tragico fermo immagine prima di ricadere in acqua pronta a finire nell'elica, prendere nota.
Spento il motore comicia a piovere e la ciurma ne approfitta per farsi una doccia nature. Poi arriva il finimondo, quello che da Navpaktos ci minacciava da dietro le montagne fingendo noncuranza, ci strapazza per un'ora buona, e ci lascia con un'ultima raffica che finalmente speda l'àncora dei vicini, i quali, nonostante sia notte fonda, sono costretti a scappare in rada.
Tutto questo casino, preparato fin dalla mattina, per scacciare degli Svizzeri da una banchina: a saperlo si faceva noi, e non mi macchiavo le lenzuola dallo scolo dell'oblò lasciato incautamente aperto.
Ahahahahh!
RispondiEliminaPer le lenti ti capisco, visto che in mare le uso pure io, per il resto, nonostante l'otite, ho nelle orecchie quel "raddrizzala" che mi ha risolto un triste lunedì lavorativo di metà luglio. Mitici! Buon Vento :)
Grazie, un abbraacio!
EliminaCi siamo sfiorati, io sono a Sivota Bay.
RispondiEliminaQuei posti li ho fatti nel 2012, bei ricordi.
Prima o poi ci torno.
Bellissimo racconto si impara tanto solo a leggere. E poi si ride. (Che non guasta). Le lenti a contatto sono pure il mio tormentone in acqua. Bravo.
RispondiEliminaPersi le mie prime lenti a contatto in acqua che avevo 16 anni, e allora non c'erano le "giornaliere"... potrai comprendere come il trauma si rinnovi ad ogni tuffo sconsiderato :-D
EliminaGrazie dei complimenti, baci!