Eravamo rimasti a Galaxidi, in banchina, io e il Tassista a reggere dritto il palo di NE, con i Galli che si allontanavano, sconfitti nell'ormeggio ma non nell'orgoglio, nella luce incerta della sera.
Appena il pomeriggio successivo, al termine di un lunga navigazione a motore allietata solo dalla visita di un grosso branco di delfini, anche noi arrivavamo orgogliosi al prescelto ancoraggio notturno: le isole Alkyonides.
Non starò lì a raccontare vita morte e miracoli del minuscolo arcipelago posto a una ventina di miglia dal Canale di Corinto. È pieno di portolani, questo mare, e con Wikipedia e Google Earth chiunque, con un minimo di giudizio ed esperienza, può fare a meno dei miei consigli. Basti sapere che la Sea Guide di Elias lo marchia come "il miglior ridosso di tutto il Golfo": e tu che fai, te lo perdi?
Il meteo, controllato su svariati siti più o meno conosciuti, prevede una breve sburianata da SE - o SW, come se fosse lo stesso - con un po' di pioggia per le prime ore della notte, poi calma piatta e, in mattinata, l'inizio di un grecale piuttosto arzillo, ottimo da avere al lasco per scendere rapidamente le ultime miglia prima di passare in Egeo.
La baia a Nord offre, si dice, un ridosso quasi perfetto. Ho studiato la situazione, mi son fatto i miei calcoli, ho una strategia: e la baia a nord, imbucato giù in fondo a destra, sarà il perfetto campo di battaglia per questa banale nottata.
Come sempre, dopo ore di motore il vento rinfresca proprio al momento di tirar giù la randa ed entrare nel ridosso. Come sempre c'è da fare slalom tra le coffe dei pescatori, facendosi largo a forza di bestemmie, salvo poi scoprire che, come sempre, avevo giudicato male le distanze: non erano piazzate di fronte all'unico ingresso della baia come le catene a guardia del porto di Siracusa, sarei potuto passare cinquanta metri sottovento e avrei avuto tutto libero. Il che diventerà importante più in là, nel racconto.
Entriamo quindi nell'ancoraggio più sicuro di tutto il golfo, e scopriamo che non siamo i soli ad aver comprato la Sea Guide, o quantomeno che certo Heikell, oltre a noi, ne ha una copia. Tre barche a vela sono allineate lungo la spiaggia di ciottoli grigi ricoperta dai rifiuti portati dal mare. Sono equidistanti. Una sudafricana (partiti anche loro da Galaxidi, sul tardi, ci hanno superato in planata, a motore, e lo faranno anche domani: un bel motoscafo, tutto sommato), una olandese, piena di obesi nudi che ci guardano con occhi da rospo senza rispondere neanche con un cenno del gozzo ai nostri tentativi di saluto, una francese, con una coppia di mezz'età che osserva con educazione, riservatezza e occhio esperto ogni nostra evoluzione.
La spiaggia è finita così, al centro della baia ci sono 18 metri di fondo, sul lato W non si può stare perché se arriva il grecale ci spinge sugli scogli, e domattina voglio dormire, sul lato E non si può stare perché deve sfogare da S e se fosse SW ci manderebbe sulle rocce, e io stanotte voglio dormire, il ridosso alternativo più vicino, il nostro "piano B", è a venti miglia, Kiato il suo nome, ma non ci sentiamo abbastanza disperati per cambiare destinazione. Io, poi, stasera mi sento particolarmente fico. Si tratta, quindi, semplicemente, di decidere a quale barca rompere le palle.
Fosse stata una libera scelta avrei optato per gli obesi olandesi: chi non risponde a un mio saluto - soprattutto stasera che mi sento particolarmente fico - non merita privacy. Facciamo però una survey batimetrica per la baia, vizio professionale, e i fondali condannano i francesi: loro sono ancorati su 5 metri, i ciccioni su 7 e i motovelisti su 9. Il mio ragionamento, che reputo ancor oggi valido, è: su 9 metri devo dare almeno 40 metri di catena, su 5 me ne bastano meno di 30. Lo spazio è poco, le barche alla fonda equidistanti: mi piazzo vicino ai francesi, tra loro e i batraci olandesi, e dormo tranquillo.
Flashforward (si dice? Boh?): sto scrivendo alla fonda ad Agia Marina, Aegina. Ho 40 metri di calumo in 5 metri di acqua. L'àncora è quasi sparita sotto la sabbia, l'ho controllata con la maschera al primo tuffo del pomeriggio, e ha tenuto con 30 metri di calumo alle raffiche che per tutto il giorno hanno spinto il generatore eolico a erogare così tanta corrente da farmi riflettere sull'opportunità di cortocircuitarlo per non friggere le batterie. Intorno non ho nessuno: siamo solo noi in 600 e rotti metri di baia. Con i dovuti gesti apotropaici di rito, "questa" si prospetta una nottata tranquilla.
Torniamo indietro alle Alkionides. Faccio la mia manovra, ingrano la retromarcia, arrivo sul punto prescelto, una raffica mi sposta, non va bene, rifaccio il giro. Osservo accuratamente l'allineamento delle prue, indovino con certezza la direzione del calumo e la posizione delle àncore. Retromarcia, raffica, fuori misura. È una questione di metri, nella mia paranoica ansia di perfezionismo, e così rivedo i piani e manovro di prua. "Molla" faccio deciso al prodiere, e Manu molla la frizione del verricello, strattona la catena, litiga con l'àncora, si lamenta della situazione politica in Pannonia, e finalmente, dieci abbondanti metri dopo il punto da me medesimo con tanta pedante pignoleria prescelto, la nostra Delta fa testa. Manovro per girarmi al vento, esagero di retromarcia per testare la tenuta, aggiungiamo calumo fino ad arrivare a 25 metri ed eccolo lì che, a motore spento, finiamo a rompere le scatole, invece che alla gentile coppia francese, agli insaccati asociali. Nel retro della mia coscienza si affaccia il dubbio che forse, dopotutto, tutta questa certezza della direzione del calumo e della posizione delle ancore era solo un mio personale film. Poco male, pensiamo però, insieme, io e il prodiere, dopo aver constatato per l'ennesima volta come sia impossibile ottenere un cenno di saluto dalla Venere callipigia, matriarca olandese, e dai suoi simili. E comunque le distanze, seppure imbarazzanti, sono ancora sicure.
Tutto procede secondo i piani mentre scende la sera. I gabbiani osservano e commentano dall'alto delle scogliere, poi si riuniscono sulla spiaggia a raccontarsi e a litigare e a decidere, come fossero gli spiriti degli antichi Greci delle città stato. Poi prendono il volo all'unisono, fanno due giri, eccoli di nuovo lì a discutere.
Arriva un catamarano, batte il tricolore di oltralpe. Àncora sul lato W, quello scartato da me. Il maschio alfa si strappa via il costume di fronte alla tribù riunita prima di tuffarsi, maschera e tubo, a controllare il ferro. Dà l'ok a tutta a baia, torna a bordo e si asciuga lascivamente mentre le donne stappano la prima di una lunga serie di bottiglie.
Arriva un 14 metri tedesco. Dà ancora al centro della rada, come un panzer, con l'unica accortezza di filare un grippiale: forse per via dei fondali elevati, forse per marcare il territorio con un terminus che "è sacro, e nun se po' sposta' - quello nostro".
Tramonto con luci soffuse, ultimi tuffi a bomba dei flaccidi olandesi, musica classica dai sudafricani (la stessa che abbiamo noi in barca: chi gli ha dato il permesso di copiare la nostra sd card?), silenzio dalla coppia francese qui accanto, gran festa tribale sul catamarano. Noi ci attardiamo, pigri, e andiamo a letto solo dopo aver dovuto ammettere che no, la botta da sud con nuvole e pioggia non solo non c'è stata, ma mai ci sarà, almeno per stanotte.
La festa sul lato W della baia è appena finita, saranno le 2 e mezza, forse le tre, quando parte improvviso il generatore eolico. Esco in pozzetto: il vento non è cambiato, e non è molto: da quando ho revisionato i cuscinetti dopo averli grippati arrotolandoci attorno 100 metri di lenza lo scorso anno, il generatore comincia a caricare anche con un semplice brezza. Lo zittisco, più per i vicini che per me, e torno giù.
Le raffiche continuano. Mi sforzo di dormire - l'àncora terrà, mi dico - fino a quando mi rendo conto che la barca ha cambiato allineamento. Esco di nuovo: è cambiato vento! Mi spiego meglio: il mio vento, era cambiato, perché i miei vicini, a soli pericolosi fottuti dieci metri da me, avevano ancora la prua verso NW.
Seguono ore insonni, in cui ognuno di noi viene trasportato da raffiche chirurgicamente individuali ora ad allontanarsi, ora ad avvicinarsi alla barca accanto. Ammetto di aver pregustato, nel dormiveglia forzato, l'abbordaggio tra il panzer tedesco e i naturisti sovrappeso olandesi - ci zono andati ben vicino - ma ho ben vivo nella mente l'episodio dello scorso anno a Capri, e in tutta coscienza non auguro a nessuno una simile esperienza.
È il catamarano il primo a mostrare cenni di cedimento. Come previsto, ancorati sul lato W, essendo ormai chiaro che il grecale promesso per le 9 è in anticipo di mezza nottata, si sono ritrovati con la poppa troppo vicina agli scogli. Sono andati a letto da pochi minuti, dopo vino e risate, e si ritrovano a puntare torce nella notte per capire dove sono e dove stanno andando. Non li invidio, mentre tirano su l'àncora e provano a spostarsi, una, due, tre volte…
Intanto le raffiche aumentano in intensità e capricci. È evidente che l'aria si accumula dall'altra parte delle alte pendici dell'isola fino a quando, raggiunta una massa critica, scende su questo lato lungo una via sempre diversa. Nessuno parla, ma mi accorgo che ogni barca ha almeno una sentinella in pozzetto, nascosta ma pronta a intervenire. Ogni barca tranne quella dei ciccioni.
Alle quattro il mio vicino francese, sempre con educazione, senza chiasso o gesti di stizza, si arrende alla possibilità che prima o poi io gli possa finire addosso. Lo vedo nel buio, insieme alla compagna, che sistemano tutti i loro parabordi sul lato di dritta, il mio lato. Alle quattro e mezza stabilisco che è inutile continuare così, tanto vale restituirgli un po' di pace. Prendo accordi con il prodiere, accendo il motore e abbandono il campo, in slalom tra il catamarano che ancora non ha deciso dove trovare pace, il grippiale del tedesco e le coffe del pescatore. Usciamo di scena illuminati ad occhio di bue dalla torcia preoccupata dei sudafricani, ultimi da superare prima di guadagnare il mare aperto.
Fuori ci aspetta, come ormai sapevo, il volenteroso grecale, gagliardo già ora con l'orizzonte ancora buio ad oriente. Tiro su il fiocco, spengo il motore, metto in acqua la canna e, in attesa dell'alba, mi godo la sensazione di libertà che solo l'essere appena scappato da una trappola può dare.
E ripenso allo skipper francese di Galaxidi, che tanto aveva insistito per ormeggiare maldestramente laddove non avrebbe dovuto, ma si era reso conto dell'errore in tempo per rinunciare ad imporre una situazione pericolosa alla sua barca e a quelle vicine. Sono stato come lui? E in che senso? Avrei dovuto rinunciare ieri sera, avrei dovuto insistere, è stata solo sfortuna? O è fortuna tutte le altre volte, ma io non me ne accorgo e penso che il successo sia dovuto alla mia abilità? Questi dubbi valgono solo per la vela, o è tutta la mia vita che va rimessa in discussione, scelta dopo scelta?
E sul più bello, quando sto quasi per trovare la risposta che darà un senso a tutta la mia esistenza passata, presente e futura, e forse non solo alla mia, ecco che abbocca il Pesce più grosso che abbia mai potuto immaginare, e dimentico tutto.
Così va la vita.
il momento delle decisioni è come quello che ti porta verso la mano di terzaroli. Ti viene in mente??? ecco, fallo
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