Le raffiche di vento sbatacchiano l'abitacolo mentre corriamo verso sud. Come al solito abbiamo fatto tardi, e il paesaggio scorre veloce intorno a noi, mentre percorriamo la strada diretti alla stazione. Abbiamo un treno da prendere, ed è con grande soddisfazione che, dopo una discreta ansia, parcheggio miracolosamente la macchina a cinquanta metri scarsi dal binario con mezz'ora di anticipo sull'orario di partenza. Scendiamo, pigramente ora, c'è tempo, ci stiriamo, tiriamo fuori il bagaglio e ci avviamo lenti verso l'ingresso.
Chiuso.
Come, chiuso? Pochi mesi fa era qui che si entrava. Cerchiamo cartelli, avvisi... Niente. Le biglietterie sono sbarrate, le insegne spente. Ci guardiamo intorno smarriti. Una signora si lamenta a voce alta, chiede informazioni, sentiamo la risposta che le viene data: Italo non parte più da qui, ma da Termini. Siamo a Ostiense, lato Eataly, non ci resta che prendere la metro. La mezz'ora di anticipo diventa improvvisamente cortissima mentre ci precipitiamo giù dalle scale (quelle mobili sono rotte) e poi nei lunghissimi corridoi (i tapis roulant sono fuori servizio) trascinandoci dietro la valigia.
Passano i minuti, preziosissimi. Per la metro ho bisogno del biglietto: delle due macchine automatiche solo una funziona, ma l'altra finge abbastanza bene da permettermi di inserire due volte di seguito tutte le monete da 20 centesimi che ho in tasca prima di rinunciare.
Come, chiuso? Pochi mesi fa era qui che si entrava. Cerchiamo cartelli, avvisi... Niente. Le biglietterie sono sbarrate, le insegne spente. Ci guardiamo intorno smarriti. Una signora si lamenta a voce alta, chiede informazioni, sentiamo la risposta che le viene data: Italo non parte più da qui, ma da Termini. Siamo a Ostiense, lato Eataly, non ci resta che prendere la metro. La mezz'ora di anticipo diventa improvvisamente cortissima mentre ci precipitiamo giù dalle scale (quelle mobili sono rotte) e poi nei lunghissimi corridoi (i tapis roulant sono fuori servizio) trascinandoci dietro la valigia.
Passano i minuti, preziosissimi. Per la metro ho bisogno del biglietto: delle due macchine automatiche solo una funziona, ma l'altra finge abbastanza bene da permettermi di inserire due volte di seguito tutte le monete da 20 centesimi che ho in tasca prima di rinunciare.
Corro giù per le scale della fermata Piramide arrivando in banchina in tempo per sentire l'annuncio con cui ci si scusa per le attese, dovute al servizio ridotto. Perfetto.
La gente si accumula sul marciapiede, e quando la metro finalmente arriva ci stipiamo dentro insieme agli altri, contando le fermate. Cerco il treno su internet, dal telefono, sperando di leggere un annuncio di ritardo e scoprendo invece che l'orario ufficiale anticipa di dieci minuti quello stampato sul biglietto. No buono. A Termini ci precipitiamo fuori insieme alla folla, alla ricerca dell'uscita. Un muro di incerti si para tra noi e i pochi, vaghi cartelli. Ci apriamo un varco mentre la valigia fa strage di nemici come le ruote falcate dei carri babilonesi. Corridoio, scala mobile, diramazioni. Dove sono i treni? Da che binario parte Italo? Proviamo a chiedere, ma c'è una diffusa e totale omertà a riguardo, e i tabelloni non aiutano. Per quanto riusciamo a carpire durante la corsa disperata, potremmo anche essere di nuovo nella stazione sbagliata.
Dopo un' ultima scala mobile sbuchiamo finalmente a riveder le stelle, proprio davanti al mega-tabellone della stazione, solo che addobbi non meglio identificati lo coprono alla vista. Altre vittime cadono sotto i colpi della nostra fretta mentre cerchiamo di prendere posizione nell' unico punto esatto dal quale è possibile leggere i binari dei treni. Il nostro non c'è, l'unico che gli somiglia è diretto a Milano e parte cinque minuti più tardi di quanto dichiarato sul biglietto. Proviamo lo stesso: dieci minuti prima, cinque minuti dopo...: un errore vale l'altro.
Binario 10, ci siamo quasi davanti e riprendiamo a correre, per scontrarci contro la fila necessaria ad accedere materialmente ai treni. Perché ora devi avere un biglietto per entrare, e devono controllartelo, per motivi di sicurezza, dicono. Perché il terrorista, è evidente, cercherebbe di entrare invece di straforo, magari anche di viaggiare a sbafo. Nemmeno nei film americani i cattivi sono così stupidi.
La fila ci fa perdere altri minuti preziosi, ma una volta dentro riusciamo ad arrivare al treno prima della sua partenza. Io mi sto per fiondare in carrozza, ma Manu mi ferma "Chiediamo al controllore se questo è il treno giusto". Cedo alla razionalità e affronto due ragazze con l'uniforme sgualcita. Il treno è in effetti di Italo, ma non ferma a Bologna. Il nostro è un altro, ma non sanno dove possa essere perché i loro binari cambiano continuamente. Potremmo provare al 7, per esempio. Un ufficio? No, "non ce l'hanno dato". Hanno però un "totem" al centro della sala biglietterie.
Prendiamo mentalmente nota della deriva linguistica e andiamo al binario sette, dove scopriamo un Frecciarossa per Salerno. Mesti, accettiamo l'idea di aver perso il treno senza nemmeno avere avuto la possibilità di accertarci della sua esistenza e usciamo dalla zona sorvegliata, diretti al totem. Lo troviamo dopo neanche dieci minuti, ma sono troppo innervosito per apprezzare appieno la nostra fortuna.
Il totem consiste in numero due macchine automatiche per biglietti, con una sacerdotessa capo vestita in grigio e due vestali in verde, una bionda e una bruna. Mostro il biglietto, insieme alla mia profonda delusione, lamentando la mancanza di qualsiasi aiuto atto a mettere in condizione un viaggiatore comune di trovare il treno e montarci sopra. La sacerdotessa non fa una piega e, visto che il biglietto è in promozione e quindi non rimborsabile, si avvicina alla macchina automatica e comincia le operazioni per procurarmi un nuovo biglietto a prezzo pieno. La fermo, annunciandole che se i cattivi nascondono i suoi treni e non gli danno un ufficio, a me, da utente, comincia a fregare davvero poco, e che quindi i soldi del mio prossimo biglietto preferisco darli alla concorrenza. Mi risponde, gelida, che è un mio diritto. Non viaggerò mai più con loro, insisto, e pare sia anche questo un mio diritto. A questo punto la vestale bruna ha un moto di patriottismo e interviene, spiegandomi che per prendere il treno avrei dovuto cercarne il binario sul tabellone. Non essendo armato non riesco a spararle tra gli occhi e mi limito a fiammeggiare un saluto a lei, alle colleghe e al loro totem, dirigendomi verso una qualsiasi delle centinaia di macchine automatiche FS.
Qui scegliamo un treno in partenza tra mezz'ora, per poter avere un attimo di respiro, e andiamo avanti nella procedura fino al momento del pagamento, quando ci viene annunciato che i posti da noi selezionati non sono disponibili. Perplessi, riproviamo, solo per dover costatare che, evidentemente, il sistema ti permette di scegliere posti anche quando gli stessi sono esauriti. Serve un altro treno. Il successivo parte troppo tardi, per il precedente abbiamo dieci minuti abbondanti. Il binario è quello qui di fronte, ce la possiamo fare. Scegliamo lui.
Paghiamo i biglietti e corriamo verso il treno. La fila all'entrata è nel frattempo diventata una folla disperata di flagellanti, ognuno con la propria valigia dalle ruote falcate, ognuno in procinto di perdere il proprio treno. L'entrata è a trenta metri e siamo più di cento persone a dover passare per la misera porticina dove un povero cristo si barcamena tra la necessità di fare il proprio lavoro controllando i biglietti e quella di mantenere il proprio corpo intero in prospettiva di facilitare la evidentemente prossima tumulazione. Davanti a noi un tabellone privo di orologio ci ricorda ora e binario di partenza del treno: dobbiamo avere il sospetto di stare per perderlo, ma ci è negata ogni certezza.
La gente si accumula sul marciapiede, e quando la metro finalmente arriva ci stipiamo dentro insieme agli altri, contando le fermate. Cerco il treno su internet, dal telefono, sperando di leggere un annuncio di ritardo e scoprendo invece che l'orario ufficiale anticipa di dieci minuti quello stampato sul biglietto. No buono. A Termini ci precipitiamo fuori insieme alla folla, alla ricerca dell'uscita. Un muro di incerti si para tra noi e i pochi, vaghi cartelli. Ci apriamo un varco mentre la valigia fa strage di nemici come le ruote falcate dei carri babilonesi. Corridoio, scala mobile, diramazioni. Dove sono i treni? Da che binario parte Italo? Proviamo a chiedere, ma c'è una diffusa e totale omertà a riguardo, e i tabelloni non aiutano. Per quanto riusciamo a carpire durante la corsa disperata, potremmo anche essere di nuovo nella stazione sbagliata.
Dopo un' ultima scala mobile sbuchiamo finalmente a riveder le stelle, proprio davanti al mega-tabellone della stazione, solo che addobbi non meglio identificati lo coprono alla vista. Altre vittime cadono sotto i colpi della nostra fretta mentre cerchiamo di prendere posizione nell' unico punto esatto dal quale è possibile leggere i binari dei treni. Il nostro non c'è, l'unico che gli somiglia è diretto a Milano e parte cinque minuti più tardi di quanto dichiarato sul biglietto. Proviamo lo stesso: dieci minuti prima, cinque minuti dopo...: un errore vale l'altro.
Binario 10, ci siamo quasi davanti e riprendiamo a correre, per scontrarci contro la fila necessaria ad accedere materialmente ai treni. Perché ora devi avere un biglietto per entrare, e devono controllartelo, per motivi di sicurezza, dicono. Perché il terrorista, è evidente, cercherebbe di entrare invece di straforo, magari anche di viaggiare a sbafo. Nemmeno nei film americani i cattivi sono così stupidi.
La fila ci fa perdere altri minuti preziosi, ma una volta dentro riusciamo ad arrivare al treno prima della sua partenza. Io mi sto per fiondare in carrozza, ma Manu mi ferma "Chiediamo al controllore se questo è il treno giusto". Cedo alla razionalità e affronto due ragazze con l'uniforme sgualcita. Il treno è in effetti di Italo, ma non ferma a Bologna. Il nostro è un altro, ma non sanno dove possa essere perché i loro binari cambiano continuamente. Potremmo provare al 7, per esempio. Un ufficio? No, "non ce l'hanno dato". Hanno però un "totem" al centro della sala biglietterie.
Prendiamo mentalmente nota della deriva linguistica e andiamo al binario sette, dove scopriamo un Frecciarossa per Salerno. Mesti, accettiamo l'idea di aver perso il treno senza nemmeno avere avuto la possibilità di accertarci della sua esistenza e usciamo dalla zona sorvegliata, diretti al totem. Lo troviamo dopo neanche dieci minuti, ma sono troppo innervosito per apprezzare appieno la nostra fortuna.
Il totem consiste in numero due macchine automatiche per biglietti, con una sacerdotessa capo vestita in grigio e due vestali in verde, una bionda e una bruna. Mostro il biglietto, insieme alla mia profonda delusione, lamentando la mancanza di qualsiasi aiuto atto a mettere in condizione un viaggiatore comune di trovare il treno e montarci sopra. La sacerdotessa non fa una piega e, visto che il biglietto è in promozione e quindi non rimborsabile, si avvicina alla macchina automatica e comincia le operazioni per procurarmi un nuovo biglietto a prezzo pieno. La fermo, annunciandole che se i cattivi nascondono i suoi treni e non gli danno un ufficio, a me, da utente, comincia a fregare davvero poco, e che quindi i soldi del mio prossimo biglietto preferisco darli alla concorrenza. Mi risponde, gelida, che è un mio diritto. Non viaggerò mai più con loro, insisto, e pare sia anche questo un mio diritto. A questo punto la vestale bruna ha un moto di patriottismo e interviene, spiegandomi che per prendere il treno avrei dovuto cercarne il binario sul tabellone. Non essendo armato non riesco a spararle tra gli occhi e mi limito a fiammeggiare un saluto a lei, alle colleghe e al loro totem, dirigendomi verso una qualsiasi delle centinaia di macchine automatiche FS.
Qui scegliamo un treno in partenza tra mezz'ora, per poter avere un attimo di respiro, e andiamo avanti nella procedura fino al momento del pagamento, quando ci viene annunciato che i posti da noi selezionati non sono disponibili. Perplessi, riproviamo, solo per dover costatare che, evidentemente, il sistema ti permette di scegliere posti anche quando gli stessi sono esauriti. Serve un altro treno. Il successivo parte troppo tardi, per il precedente abbiamo dieci minuti abbondanti. Il binario è quello qui di fronte, ce la possiamo fare. Scegliamo lui.
Paghiamo i biglietti e corriamo verso il treno. La fila all'entrata è nel frattempo diventata una folla disperata di flagellanti, ognuno con la propria valigia dalle ruote falcate, ognuno in procinto di perdere il proprio treno. L'entrata è a trenta metri e siamo più di cento persone a dover passare per la misera porticina dove un povero cristo si barcamena tra la necessità di fare il proprio lavoro controllando i biglietti e quella di mantenere il proprio corpo intero in prospettiva di facilitare la evidentemente prossima tumulazione. Davanti a noi un tabellone privo di orologio ci ricorda ora e binario di partenza del treno: dobbiamo avere il sospetto di stare per perderlo, ma ci è negata ogni certezza.
Nella disperazione andiamo avanti, passo dopo passo, metro dopo metro. "Se mi esplodono le palle faccio una strage" ricordo di aver pensato. Dopo smadonnamenti, litigate, incastri, gomitate, ritroviamo la libertà e la utilizziamo per correre, correre verso il binario, dove troviamo le porte del treno chiuse e il controllore in procinto di fischiare la partenza. Ci vede da lontano, rallenta le operazioni e ci fa salire nell'ultima carrozza. Il treno si avvia, Bologna e il pranzo dei velisti Slow Sail ci attendono.
Trovato a fatica il nostro posto, parecchie carrozze più avanti, riprendiamo finalmente fiato. Chiamo Giovanni, che ci verrà a prendere in stazione. Poi tiro fuori la mini-sceneggiatura che ho preparato nel caso ci "mettessero in mezzo" e ne scrivo a matita le ultime righe, mancanti. La passo a Manu per la revisione finale. Lei comincia a leggerla sottovoce, poi si fa prendere dalle battute e comincia ad alzare il tono e ad agitare le mani, provando le pause, le occhiate, le diverse espressioni.
Nel retro dell'ultimo foglio è stampato il biglietto di Italo. Ne approfitto per leggerlo attentamente, per la prima volta da quando, un mese e mezzo fa, l'ho comprato.
Trovato a fatica il nostro posto, parecchie carrozze più avanti, riprendiamo finalmente fiato. Chiamo Giovanni, che ci verrà a prendere in stazione. Poi tiro fuori la mini-sceneggiatura che ho preparato nel caso ci "mettessero in mezzo" e ne scrivo a matita le ultime righe, mancanti. La passo a Manu per la revisione finale. Lei comincia a leggerla sottovoce, poi si fa prendere dalle battute e comincia ad alzare il tono e ad agitare le mani, provando le pause, le occhiate, le diverse espressioni.
Nel retro dell'ultimo foglio è stampato il biglietto di Italo. Ne approfitto per leggerlo attentamente, per la prima volta da quando, un mese e mezzo fa, l'ho comprato.
"Partenza da Roma Termini" c'è scritto a chiare lettere. Anche a terra, in quanto a idiozia, mi difendo bene.
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