Passa ai contenuti principali

Era Destino

"Romani!"
Così ci sentiamo chiamare, dall'alto della strada che passa a mezza costa qui a Ormos Aghios Ioannis.
Usciamo in pozzetto e vediamo Giuseppe sbracciarsi di lontano.
"Vi pensavo in mezzo al mare," gli avevo scritto del nostro viaggio quando eravamo già a metà strada.
"Infatti siamo appena arrivati!" risponde MaLa.
E la conversazione va avanti, nonostante i cento metri che ci separano. Giuseppe sta andando a fare il bagno a nord di Oinoussa, in macchina. Noi vogliamo invitarlo a pranzo domani, anche se non sappiamo ancora se saremo qui o entreremo in porto, una baia più a est di qua. Lui accetta, ci aggiorneremo in mattinata e ci organizzeremo di conseguenza. E ci saluta.



Siamo davvero appena arrivati. Partiti ancora prima dell'alba, che non è un gran dire, di questa stagione, quando il sole sorge alle sette e un quarto, abbiamo smotorato verso sud ovest tra Grecia e Turchia. È innaturale che qualcuno debba essere costretto a evitare quest'ultima per venire giù da Lesbo. Non credo sia esistito mai navigante che non abbia fatto sosta di là, durante la rotta tra Lesbo e Chio. Come tra Chio e Samos, e andando più giù tra Symi e Kos, o tra Kastellorizo e Rodi. Questa storia dei confini è una gran rottura di palle, e la navigazione di oggi ne è solo l'ennesima conferma. Come se, in questa stagione, ne avessimo bisogno.
Dopo un'oretta monta il vento in cui avevo sperato. Prima timido, poi abbastanza forte da far schizzare Duna, tirata dal genoa grande, sul mare piatto. Tre ore, diciotto miglia abbondanti, metà del percorso di oggi. Poi il vento cala, sparisce, ricompare sull'altro bordo, sparisce di nuovo. Anche le pale eoliche sulla Turchia sono ferme. Accendiamo il motore e, contemporaneamente, visto che questa storia delle frontiere ha - come forse ho già scritto - rotto le palle e ho quindi tagliato dritto in piene acque ottomane, anche il VHF.
All'andata avevamo ascoltato per tutta la mattina il messaggio di una modovedetta greca, che tradotto diceva più o meno così:

"Nave da guerra turca alle coordinate ..., qui la nave da guerra della marina ellenica..., siete in acque greche e il vostro comportamento è in aperta violazione con le norme internazionali. Ritiratevi immediatamente o ne affronterete le conseguenze."

Ogni 10' circa. Le coordinate corrispondevano a un tratto di mare tra Chios e la Turchia, proprio sotto Oinuossa. La nave da guerra turca si spostava avanti e indietro a suo piacimento, ed era possibile indovinare la direzione della sua prua, prima ancora che dal punto nave indicato dalle coordinate, dalla tensione nella voce del marconista. Per dovere di cronaca non abbiamo sentito spari, quel giorno, né abbiamo saputo di altri speronamenti.
Oggi, quindi, pur scegliendo la rotta (quasi) diretta per risparmiare un paio d'ore di viaggio, diamo un occhio più attento del solito all'orizzonte con il binocolo, e rimaniamo in ascolto sul 16. Ci dispiacerebbe dover rientrare a forza, per di più scortati, nel paese da cui abbiamo tanto faticato ad uscire a inizio stagione.
Ma, a parte grosse navi da carico, e un peschereccio che si allontana lento verso oriente, non incontriamo nessuno. Facciamo in tempo a calare il genoa e imbrogliarlo alle draglie. Poi a issarlo di nuovo, per poi calarlo ancora. E poi ancora su, per un'oretta, e infine giù, definitivamente, insieme alla randa. Stiamo per attraversare il passaggio che da nord, lasciando a dritta Capo Alykìs, si infila tra Oinoussa e Passà.
Questa notte, infatti, vogliamo passarla in rada. E quale rada migliore di quella lontana da tutto, deserta, recondita, quieta, incontaminata, che sicuramente si trova oltre questo stretto da nessuno percorso?
Secondo la mappa di un 'antico portolano' riportata dall'Elias il passaggio c'è, e ha un minimo di 2.7 metri. Che a noi va bene, anche se prevedo mi cacherò sotto.
Anche secondo Navionics il passaggio c'è. Ma la disposizione dei punti quotati mi fa sospettare che abbiano copiato pari pari la mappa dell'antico portolano. Quindi che mi dica anche lui di passare non aggiunge nulla a quanto già sapevo.
MaLa a prua, il motore a regime sempre più basso man mano che la profondità diminuisce.Entriamo. Dieci, otto, sette. Cinque. Quattro. Tre e quaranta: questo avrà segnato, come profondità minima, il mio ecoscandaglio alla fine del passaggio.
Solo che, da questa parte, l'acqua è oleosa, e opaca. Anche le spiagge non sono particolarmente attraenti: ciottoli coperti da rifiuti portati dal mare. Andiamo avanti fino alla baia che avevamo prescelto: una parete in cemento armato corre sulla battigia a sostegno della strada costiera. Parecchio costiera. E subito dietro alcune ville sgraziate. Di fianco, invece, baracche di lamiera di pecorai, con i cortili adibiti a discarica edile. Alle spalle, infine, il motivo per cui l'acqua è tutto tranne che invitante: due fish farm una appresso all'altra. Con i venti da sud di questi giorni, i liquami prodotti dai mangimi e dalle gabbie hanno evidentemente invaso questi golfi.
Rimunciamo, in dubbio se - già che ci siamo - non sia il caso di andare direttamente in porto, e proviamo a Ormos Fourkerò, la baia papabile successiva. Si apre a sud di Oinoussa, risale mezzo miglio e poi forma due lobi. Ai lati l'acqua, già lo so, non sarà abbastanza profonda per rimanere alla ruota in sicurezza, ma al centro, in testa, su Navionics qualcuno ha messoun waypoint con la recensione "Posto idilliaco, quieto e sicuro. Good holding." Arriviamo su e troviamo una infinita distesa di foltissima posidonia. Non so che ancora avesse il tipo, e non so che tipo di ancoraggi preferisca né cosa intenda per 'good holding', ma io prima di passare la notte ancorato sulla posidonia preferisco rimanere sveglio sotto la pioggia in mare aperto.
E quindi, andiamo in porto? Avevamo una terza e ultima possibilità prima di attraccare in banchina. Anche se qui c'eravamo già stati e quindi andavamo sul sicuro. E anche: potevamo risparmiarci il passaggio al cardiopalma e fare il giro classico da ovest. Abbiamo trovato una larga chiazza di sabbia su cinque metri di fondo, abbiamo calato la delta, le abbiamo fatto fare testa. Prima di spegnere il motore ho registrato i cavi delle marce e del gas, che - cambiati una settimana fa - avevano preso un pelo di gioco. Infine, il silenzio.

"Romani!"
È quasi buio e Giuseppe è tornato. Ci affacciamo di nuovo.
"Ho preso un dentice, è troppo grosso per il vostro forno: venite da me a pranzo" e ce lo mostra: in una mano il pesce, dall'altra una delle sue pinne da profondità. Le dimensioni sono le stesse.
"Si vede che era destino, che andassimo in porto," sorrido a MaLa. E scendo a mettere il vino in frigo.

Commenti

Post popolari in questo blog

Improbabilità infinita

La Heart of Gold si stava avvicinando al punto cruciale del suo viaggio interstellare. Di lì a pochi minuti sarebbe stata risucchiata dalla forza di gravità e sparata a tutta velocità attraverso il canale centrale della nebulosa fino allo spazio libero, vuoto e sicuro che la separava dalla sua destinazione finale. Aveva poco tempo, perché il flusso gravitazionale, ora favorevole, si sarebbe invertito in meno di un’ora. Ai comandi, Arthur scrutava con attenzione le orbite degli asteroidi più vicini, quando Trillian esclamò proccupata: “C’è un oggetto in rapido avvicinamento dietro di noi”. Il computer anticipò le loro intenzioni proiettando sullo schermo principale l’immagine di un’astronave tozza, sgraziata, grigia. “Arthur: è un’astronave Vogon!” “Sì, ma non stanno certo cercando noi...” “Invece si avvicinano, mi sembra facciano segnali…” “Stanno aprendo un portello… Dio quanto sono brutti!” “Cosa vorranno? Non recitarci una poesia, spero” “Se dovessero solo minacciarlo,

Intermezzo tecnico

"Il tuo fiocco piccolo andrà benissimo per quando Lui arriverà",  mi diceva premuroso Nicola. "Ti invidio la tua trinchetta", la gentile Francesca. E noi con il fiocco piccolo e due mani alla randa, ancora spaventati per la sventolata presa tra capo e collo a Kea, ad aspettare Lui. Vedendo gli altri intorno a me veleggiare incuranti con tutta la tela a riva, sorridevo tra me e me, li consideravo stolti, celando l'invidia segreta per le loro vele avvolgibili - il garroccio è una scelta di vita di cui andare orgoglioso, soprattutto quando i soldi per il rollafiocco non li hai - finendo in entrambi i casi col compatirli perché prima o poi sarebbe arrivato Lui, e avrebbe fatto piazza pulita di tutti coloro che Gli mancavano di rispetto prendendola con tanta allegria. Quanto ero serio, io, e quanto mi sentivo figo con il mio fazzoletto ingarrocciato, che mi spingeva a quattro nodi quando il vento sparava la schiuma via dalle onde e mi costringeva a smotorare q

Guido io vorrei

Tranquil Bay, una sera di settembre. Per tutto il giorno ho consultato siti meteo, divaricato compassi su carte nautiche stampate in casa, scritto a matita note su miglia, gradi bussola, ore di partenze e relativi arrivi. Sto rientrando in Italia, e il maltempo unito alla vastità dello Ionio mi tengono in ansia, talmente in ansia che si fa strada in me l'ipotesi, suffragata e anzi giustificata dalle previsioni ad oggi disponibili, di tagliare direttamente da Paxos allo Stretto di Messina senza nessuna tappa intermedia. Tanto per togliermi il dente e passare oltre.  Ora, sgomberato in parte il tavolo della dinette, mi dedico al problema alimentazione. La cena prevede frittata di zucchine e torta locale all'arancio, annaffiati da vino rosso della cooperativa Robola di Cefalonia. Soffriggo le zucchine con uno spicchio d'aglio, sbatto due uova con un po' di latte, aggiungo un cucchiaio di yogurt e, all'ultimo momento, colto da ispirazione, sostituisco il parm