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Le regole di casa



Ieri pomeriggio, a Poros, ho osservato per mezz’ora buona (mezz’ora, davvero, senza esagerazione) le evoluzioni di un charter  israeliano di cinque persone, tre maschi e due femmine. Al timone un tipo pelato con gli occhiali tondi cercava di puntare la barca verso la banchina alla nostra sinistra e di metterla in linea prima di calare l’ancora. Ma la barca puntualmente si traversava prima che potesse dare il comando al prodiere. E lui ripartiva daccapo, tra lo sconforto suo e del suo equipaggio. Il prodiere, anzi, apertamente faceva gesti che nessuno, seppure da lontano, avrebbe potuto esimersi dal tradurre come “E che coglioni questo! Ce la farà a portarmi in banchina?”. Costui avrebbe probabilmente calato l’ancora a cazzo, anche sopra le nostre - la mia e quella di Maurizio e Nadia, che sono qui accanto a me in attesa di alare la barca - pur di arrivare alla sua senz’altro meritata birra. Ma il pelato era un tipo puntiglioso, e voleva che la sua manovra fosse quella corretta. Dopo un po’ che lo vedevo provare e riprovare, poverino, l’iniziale fastidio, trasformato in moderato dileggio, si è trasformato prima in pena e poi in aperta simpatia. 

È finita che si è avvicinato abbastanza (pericolosamente) alla mia prua perché potessi parlargli, gli ho consigliato di pensare solo all’ancora, perché una volta calata quella con la barca avrebbe potuto far ciò che voleva, e gli ho dato indicazioni per farlo alla mia sinistra, libera dalla mia catena. Mi ha ascoltato, ha accettato le mie indicazioni, e dopo neanche due minuti era in banchina a ringraziarmi.
Questa premessa per affermare con cognizione di causa che i charteristi non sono tutti da passare per le armi. La coppia norvegese che ha sostituito poco fa gli israeliani, per esempio, è gente di mare: si vede dal modo in cui si sono tonneggiati sulle cime, dai gesti con i quali hanno dato loro volta, ma anche dal semplice fatto che sono passati qui davanti, hanno valutato le possibilità e poi, vistomi in pozzetto, mi hanno fatto un cenno per avvertirmi, educatamente, che avevano deciso di piazzarsi al mio fianco.
Non sono tutti come i tedeschi che alle tre di notte hanno spedato mezzo porto di Perdika la scorsa settimana, sotto la pioggia, per colpa di 15 nodi al traverso. E neanche come i russi che stanno metodicamente sterilizzandosi il fegato a due barche da me, che dopo aver messo l’ancora sono arrivati in banchina, ci si sono appoggiati con due grossi parabordi e hanno mollato dieci metri di catena. Li hanno mollati, non recuperati, tanto che ora il calumo va giù in verticale sotto la prua. Tanto li tengono i parabordi. Vorrei esistesse un dio che gli piazzasse 10 nodi al mascone di dritta stanotte: è in occasioni come queste che sento il peso psicologico, la solitudine, il senso di impotenza, del mio agnosticismo.
La storia di oggi però non è sui charteristi, sulle loro barche esagerate (i norvegesi hanno un 37’, a ulteriore riprova del loro valore), o sui loro catamarani a finta vela dai motori fumanti e generatori instancabili. Per una volta loro non c’entrano, anzi.
Gli israeliani, partendo, mi hanno lasciato acqua nella colonnina. Qui funziona che passa una tipa con delle chiavette, tu gli dai cinque euro e lei cinque euro ti carica su uno dei rubinetti in banchina. La chiavetta è prepagata, e potresti comprarla anche tu, in comune, ma dovresti lasciare un deposito, e poi riprenderlo indietro nel consegnarla alla tua partenza: una rottura di palle per chi sta qui solo mezza giornata. Se però stai qui più tempo, ogni volta che cambi posto puoi recuperare il tuo credito nella chiavetta e spostarlo poi, a tuo piacimento, quando vuoi, in un’altra colonnina, E quando finisce il credito vai in comune e ne carichi altro.
Insomma, gli israeliani avevano comprato, e pagato, cinque euro di acqua, e avendone usata solo uno e spicci  hanno lasciato a me il residuo. Io sono sceso col mio tubo, l’ho attaccato, e mi sono preparato per lavare il fiocco pesante, che volevo piegare e riporre: sono arrivato nel Saronico ormai, e non ho intenzione né previsione di bolinare di nuovo contro 25 nodi, di qui a fine mese.
Fin qui tutto bene. Peccato che è passata la tipa del porto, quella degli ormeggi e delle chiavette, e si è incazzata. Secondo lei ero un ladro perché stavo utilizzando acqua che non avevo pagato. Le ho spiegato i fatti (anche se non ci sarebbe stato nulla da spiegare) e lei ha sostenuto che non sapeva se davvero i miei vicini mi avevano lasciato l’acqua: l’avrebbero dovuto dire prima a lei. Mi ha fatto l’esempio di un ristorante: “Non ti darebbe fastidio se io, ristoratore, dessi a qualcun altro il vino che tu hai pagato?”
Lì per lì le ho risposto che il problema sarebbe stato igienico, se la bottiglia fosse già aperta, e quindi l’esempio non calzava. Poi le ho provato a spiegarle le basi legali del commercio.
Tu hai un bene, lo vendi, non è più tuo. Io lo compro, è mio. Quel che succede dopo riguarda me, non più te. Il mio vicino ha comprato cinque euro di acqua, tu glieli hai venduti: non sono più tuoi. Se avesse voluto avere indietro il suo credito residuo, avresti comprato indietro l’acqua (risposta: “certo che no”)? E allora l’acqua che rimane nella colonnina non è più affar tuo, ma solo dell’israeliano. Se la lascia lì, se non la consuma tutta lasciando aperto il rubinetto la notte o riempendone i gavoni sotto il divano, sono cavoli suoi. L’ha lasciata a chi la usa, una sorta di "caffè sospeso", non certo a te che già hai avuto una volta i tuoi soldi. 
Ma niente, non ha voluto capire. “Le regole a casa mia le faccio io”, ha sostenuto. Come se fossimo in Arabia Saudita, o nell’Inghilterra di Giovanni Senza Terrra prima del 1215. Ovvero dove, e quando, non solo le regole le fai tu come vuoi tu, ma valgono solo per gli altri: tu puoi far come vuoi, senza dover rendere conto a nessuno.
Per farla breve, abbiamo litigato, poi lei mi ha detto di usare l’acqua ma che fosse l’ultima volta (pare infatti che questa faccenda le capiti di continuo: e grazie al cazzo), e io sdegnato mi sono ripreso il tubo commentando “Non mi serve la tua acqua” ma poi invece mi serviva e quindi l’ho riattaccato dopo aver di nuovo discusso con lei e aver concluso che avremmo dovuto parlare ancora della questione, ma fuori dell’orario di lavoro. Quindi ho lavato le vele, ho messo a mollo il bucato, e prima che potessi risciacquarlo lei è passata di nuovo e di nascosto mi ha chiuso l’utenza intascandosi - ovvero fregandosi, rubandomi - i tre euro di acqua avanzati. Perché questo è quello che fanno: la cresta sull’acqua. Ti vendono cinque euro di credito, e quello che non consumi lo recuperano sulla chiavetta e lo rivendono. È come se tu, ristoratore, mi vendessi del vino, mi impedissi di offrirlo ai miei vicini di tavolo, e quello che mi avanza te lo riprendessi e lo rivendessi nuovamente (lo stesso, già pagato, già alienato) proprio al mio vicino, che ha visto tutta la scena. Credo ci sia un termine legale ben preciso per questa pratica, e se avessi tempo da perdere interrogherei volentieri sull’argomento la polizia locale.
Nel caso foste preoccupati per le mie lenzuola: per risciacquarle ho usato l'acqua di Maurizio e Nadia, e peccato che la bionda delle chiavette non fosse in zona perché avrei voluto vedere la sua reazione al casino che sarebbe scoppiato nel caso mi avesse ripreso: ho sentito Maurizio vantarsi di essere in grado di farne parecchio, all'occorrenza.

Ma non finisce qui. Anche il catamarano a fianco ai norvegesi è partito, lasciando ai due ragazzi acqua e luce pagata, come è normale che sia. Io li ho avvertiti, ho consigliato loro di rendere ufficiale il passaggio della proprietà del credito rendendo testimonianza alla bionda del porto, ma lei non c’era e ora loro sono comunque attaccati alla colonnina.
Sono in curiosa attesa di sentire le prime urla.

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