Seconda parte: la prima è a questo link.
È pieno di
palme, qui. E di fiori enormi e colorati come i parei Made in Indonesia
venduti dalle donne locali sulla spiaggia. E sulla spiaggia cadono i
cocchi: così, da soli. Passeggiamo lungo il bagnasciuga e ogni tanto ne
raccogliamo uno. Abbiamo imparato che c'è un punto preciso dove, con un
semplice "tic" battuto con un martello, o un sasso, o il manico di un
coltello da cucina, la noce si apre quasi per magia.
Per questo, la noce di cocco quasi non la vendono, al mercato. Vendono però banane di ogni colore e dimensione, frutti della passione, papaye, avocadi. Banchi enormi di frutta esotica enorme. O piccole barche stracariche di frutta che ci raggiungono quando siamo in rada. Verdura ce n'è poca, e a prezzi esosi. Non che la frutta costi poco, anzi. Qualsiasi cosa costa, qui, più che in Europa. Comprese le banane che pure da qui partono dopo essere cresciute nell'interno dell'isola.
Martinica è Francia. Almeno, loro si sentono francesi. Almeno, molti dei locali hanno la puzza sotto il naso che spesso noi Italiani riconosciamo, a torto o a ragione, nei nostri "cugini d'oltralpe". Inoltre sono caraibici, e come tali molti hanno l'indolenza che spesso noi Europei riconosciamo, a torto o a ragione, negli abitanti dei tropici assolati dove, in effetti, le possibili ore di attività sono limitate dal caldo e dall'umido. Il risultato è che per fare qualsiasi cosa, per concludere qualsiasi affare, non solo impieghiamo ore quando basterebbero minuti, ma perdiamo tempo e sudore ed energia senza avere in cambio il minimo gesto di solidarietà, o almeno di intesa.
A parte per Jean Marc, il responsabile della compagnia charter, e per la segretaria della stessa, gli altri sembrano tollerarci solo in quanto portatori di valuta. E nonostante questo nessuna deroga viene accordata in nostro favore se per caso il negozio sta per chiudere, o il taxi sta per partire, o l'orario di visita non è quello pubblicizzato nei depliants. Non abbiamo certo bisogno di voi, sembrano dirci mentre intascano i nostri soldi.
Il che non è ovviamente vero al 100%. Abbiamo incontrato persone gentilissime, alcune perfino disinteressate, che ci hanno parlato della loro vita, ci hanno chiesto della nostra e a volte anche aiutato. Solo che siamo viziati dalla Grecia, dove quando arrivi in un porto sconosciuto vieni accolto per ospitalità e non per calcolo, e dove se chiedi un'informazione l'intero paese si mobilita e non si dà pace fino a che non ha risolto il tuo problema. Qui no: se finisci i soldi puoi morire all'angolo della strada e lascerebbero il tuo cadavere ai cani randagi.
Usciti dal "Cul de Sac" di Le Marin, che ospita ai moli, alla boa o all'ancora centinaia o forse migliaia di barche di ogni tipo e dimensione, facciamo conoscenza con il mare caraibico. Funziona così: a ridosso delle isole il vento è poco, a volte nullo, tranne che negli sbocchi delle valli dove scende giù tutto insieme quello che non è riuscito a sfogare altrimenti.
Ovviamente non c'è onda, dietro le isole. Tra un'isola e la successiva c'è l'Oceano. Nel senso che sei direttamente di fronte all'Africa: non c'è niente nel mezzo. Quindi il vento accelera, l'onda monta e si sovrappone al costante e profondo respiro costruito dagli alisei in 2600 miglia di fetch. La corrente improvvisamente arriva e ti trascina a 2 nodi verso ovest, il che si traduce nel dover correggere la prua di 10-20 gradi sopravento a seconda della tua velocità: anche un gradevole lasco si trasforma in un traverso, o in una bolina larga. Attorno ai capi, poi, come di consueto le condizioni peggiorano: l'onda si fa più ripida, la corrente fa ribollire l'acqua, il vento ti insegue fin dietro il ridosso per assestare l'ultima zampata. Infine entri nella calma irreale dell'isola successiva, ti togli la cerata e, di nuovo in costume, ti godi il calore del sole dei tropici.
Almeno fin quando non piove. Perché ogni giorno piove, almeno due o tre volte. Senza troppo rumore, senza tuoni, senza lampi. Arriva una nuvola e ti si scarica addosso: per dieci minuti cade talmente tanta acqua che non vedi la prua, poi finisce tutto, torna il sole e in un attimo sei di nuovo asciutto e accaldato. Di giorno ci si ripara sotto la tettoia che copre il pozzetto, di notte si chiudono di corsa oblò e osterigi. In navigazione ci si infila la cerata e si cerca di trovare una posizione in cui siano contenuti i rivoli d'acqua che colano dal collo giù fino alle mutande.
Per questo, la noce di cocco quasi non la vendono, al mercato. Vendono però banane di ogni colore e dimensione, frutti della passione, papaye, avocadi. Banchi enormi di frutta esotica enorme. O piccole barche stracariche di frutta che ci raggiungono quando siamo in rada. Verdura ce n'è poca, e a prezzi esosi. Non che la frutta costi poco, anzi. Qualsiasi cosa costa, qui, più che in Europa. Comprese le banane che pure da qui partono dopo essere cresciute nell'interno dell'isola.
Martinica è Francia. Almeno, loro si sentono francesi. Almeno, molti dei locali hanno la puzza sotto il naso che spesso noi Italiani riconosciamo, a torto o a ragione, nei nostri "cugini d'oltralpe". Inoltre sono caraibici, e come tali molti hanno l'indolenza che spesso noi Europei riconosciamo, a torto o a ragione, negli abitanti dei tropici assolati dove, in effetti, le possibili ore di attività sono limitate dal caldo e dall'umido. Il risultato è che per fare qualsiasi cosa, per concludere qualsiasi affare, non solo impieghiamo ore quando basterebbero minuti, ma perdiamo tempo e sudore ed energia senza avere in cambio il minimo gesto di solidarietà, o almeno di intesa.
A parte per Jean Marc, il responsabile della compagnia charter, e per la segretaria della stessa, gli altri sembrano tollerarci solo in quanto portatori di valuta. E nonostante questo nessuna deroga viene accordata in nostro favore se per caso il negozio sta per chiudere, o il taxi sta per partire, o l'orario di visita non è quello pubblicizzato nei depliants. Non abbiamo certo bisogno di voi, sembrano dirci mentre intascano i nostri soldi.
Il che non è ovviamente vero al 100%. Abbiamo incontrato persone gentilissime, alcune perfino disinteressate, che ci hanno parlato della loro vita, ci hanno chiesto della nostra e a volte anche aiutato. Solo che siamo viziati dalla Grecia, dove quando arrivi in un porto sconosciuto vieni accolto per ospitalità e non per calcolo, e dove se chiedi un'informazione l'intero paese si mobilita e non si dà pace fino a che non ha risolto il tuo problema. Qui no: se finisci i soldi puoi morire all'angolo della strada e lascerebbero il tuo cadavere ai cani randagi.
Usciti dal "Cul de Sac" di Le Marin, che ospita ai moli, alla boa o all'ancora centinaia o forse migliaia di barche di ogni tipo e dimensione, facciamo conoscenza con il mare caraibico. Funziona così: a ridosso delle isole il vento è poco, a volte nullo, tranne che negli sbocchi delle valli dove scende giù tutto insieme quello che non è riuscito a sfogare altrimenti.
Ovviamente non c'è onda, dietro le isole. Tra un'isola e la successiva c'è l'Oceano. Nel senso che sei direttamente di fronte all'Africa: non c'è niente nel mezzo. Quindi il vento accelera, l'onda monta e si sovrappone al costante e profondo respiro costruito dagli alisei in 2600 miglia di fetch. La corrente improvvisamente arriva e ti trascina a 2 nodi verso ovest, il che si traduce nel dover correggere la prua di 10-20 gradi sopravento a seconda della tua velocità: anche un gradevole lasco si trasforma in un traverso, o in una bolina larga. Attorno ai capi, poi, come di consueto le condizioni peggiorano: l'onda si fa più ripida, la corrente fa ribollire l'acqua, il vento ti insegue fin dietro il ridosso per assestare l'ultima zampata. Infine entri nella calma irreale dell'isola successiva, ti togli la cerata e, di nuovo in costume, ti godi il calore del sole dei tropici.
Almeno fin quando non piove. Perché ogni giorno piove, almeno due o tre volte. Senza troppo rumore, senza tuoni, senza lampi. Arriva una nuvola e ti si scarica addosso: per dieci minuti cade talmente tanta acqua che non vedi la prua, poi finisce tutto, torna il sole e in un attimo sei di nuovo asciutto e accaldato. Di giorno ci si ripara sotto la tettoia che copre il pozzetto, di notte si chiudono di corsa oblò e osterigi. In navigazione ci si infila la cerata e si cerca di trovare una posizione in cui siano contenuti i rivoli d'acqua che colano dal collo giù fino alle mutande.
(Continua)
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