Stamattina, nel vedere un anziano navigatore arrivare in spiaggia con il suo tender, prepararsi con meticolosa cura all'atterraggio e poi finire in acqua con il motore in panne e il gommone rovesciato, non ho certo riso. E neanche mi sono sentito migliore di lui.
Ieri sera, infatti, Alessandro avrebbe voluto tirare a sorte per stabilire a chi toccasse tornare in spiaggia a prendere gli ospiti. Io però avevo la sensazione che toccasse a me, che lui si fosse sacrificato altre volte in questi giorni, e così mi sono offerto volontario.
"Vado io, così poi te lo faccio pesare per i prossimi tre anni" e sono montato sul tender, dopo aver messo in tasca la torcia. Mi sono allontanato nel buio e ho puntato la spiaggia. Mi sentivo molto skipper.
"Ricordati della risacca!" Alessandro che mi ha urlato sottovoce per non svegliare le innumerevoli barche che abbiamo dietro, qui a Salt Whistle Bay, Piccole Antille.
Eravamo arrivati ieri mattina, io, lui, MaLa e sei ospiti paganti, su un Lagoon 42'. Avevamo passato una giornata di relax, tra bagni, passeggiate, vino bianco freddo e spuntini continui. Avevo trovato tempo di lavorare a dei dati che mi erano arrivati dall'Italia via internet - Dio benedica il telelavoro - e persino un po' al mio romanzo. A cena, infine, avevo accompagnato gli ospiti a terra, li avevo sbarcati in spiaggia aiutato dal tipo del "ristorante" e li avevo lasciati andare alla loro festa a base di pesce sulla brace. Poi ero tornato in barca a chiacchierare coi miei compagni di viaggio davanti a un piatto di fusilli al sugo di barracuda.
Fino a quando ci siamo sentiti chiamare. Perché, in realtà, siamo così vicini alla spiaggia che un colpetto di motore sarebbe stato sufficiente ad andarli a prendere direttamente col catamarano, gli ospiti.
Con il tender, quindi, giro attorno alla poppa e mi dirigo verso il buio della spiaggia. Si vedono solo le palme, ritagliate in nero contro il cielo nero, e le luci dei cellulare delle sette persone che mi stanno aspettando. La linea dove la risacca frange è appena davanti alla riva, bianca e lucente alla luce delle stelle.
Ma io starò attento, come son stato già tre volte oggi. Arriverò più vicino possibile alla spiaggia, li farò entrare in acqua mantenendomi appena fuori dal piccolo frangente e aiutandomi all'occorrenza col motore in retro.
Mi avvicino e faccio cenno di entrare in acqua, ma nessuno si muove. Forse al buio non mi hanno visto? Rimango lì, al limite come da progetto, fino a che con una lentezza infinita uno a uno non cominciano a considerare l'ipotesi di decidere di darmi soddisfazione e avvicinarsi pian piano, svogliati, al bagnasciuga. Di entrare in acqua non se la sentono proprio, dopo la cena - come li capisco, anche io mi sono alzato adesso da tavola e sarei volentieri rimasto con le gambe sotto il tavolo a finire il mio vino - e si bagnano giusto i piedi. Lascio che il gommone si avvicini ancora, mi sento sicuro della mia abilità di scansare la risacca inserendo abilmente la retro nel momento adatto. La prua arriva quasi in spiaggia, è il momento di imbarcare gli ospiti o di ingranare la retro e tornare al largo. "Salite, salite!" li chiamo, nel buio, ma loro non colgono l'attimo, e si ammassano a bordo quando la tregua è già finita. Il tender si appesantisce, l'ultimo non ancora salito tiene ben ferma la prua di modo che io non possa allontanarmi neanche dando tutto gas, e del resto, il gambo del motore si è or ora piantato nella sabbia. In un attimo la prima onda arriva e si schianta sullo specchio di poppa, passandoci sopra e riempendo il gommone. La seconda ci trova ancora più bassi nell'acqua, e alla terza finalmente tutti cominciano a scappare, gettandosi scompostamente in acqua e raggiungendo barcollanti la riva, mentre il tender si traversa alla spiaggia rischiando di scuffiare. Io, come da tradizione, sono l'ultimo ad abbandonare il relitto. Tira su, svuota l'acqua, tira giù, metti in moto, ancora onde a bordo, mani aggrappate ai tubolari a sorreggere corpi disperati, riproviamo daccapo...
Mezz'ora dopo, gocciolante, finisco di trasbordare gli ospiti dalla spiaggia al catamarano. Ho impiegato tre viaggi, caricando due persone alla volta. Per prime Lara e Kristine, con Sabrina che ci aveva inseguito per essere salvata fino a che un'onda più alta delle altre non l'aveva stesa lunga in acqua. Poi Fabienne, rapida ora come fosse inseguita dagli squali, e infine la famigliola, con Luca, il padre, appeso alla prua come un naufrago, o forse un tonno agonizzante.
"Lo so: me la farai pesare per i prossimi tre anni." Mi fa Ale, ironico, il suo senso di colpa finto come le doti veliche di questo catamarano diesel.
"Facciamo quattro." Gli rispondo con un ghigno salato, agganciando il tender alle gruette. "E comunque domani tocca a te."
Ieri sera, infatti, Alessandro avrebbe voluto tirare a sorte per stabilire a chi toccasse tornare in spiaggia a prendere gli ospiti. Io però avevo la sensazione che toccasse a me, che lui si fosse sacrificato altre volte in questi giorni, e così mi sono offerto volontario.
"Vado io, così poi te lo faccio pesare per i prossimi tre anni" e sono montato sul tender, dopo aver messo in tasca la torcia. Mi sono allontanato nel buio e ho puntato la spiaggia. Mi sentivo molto skipper.
"Ricordati della risacca!" Alessandro che mi ha urlato sottovoce per non svegliare le innumerevoli barche che abbiamo dietro, qui a Salt Whistle Bay, Piccole Antille.
Eravamo arrivati ieri mattina, io, lui, MaLa e sei ospiti paganti, su un Lagoon 42'. Avevamo passato una giornata di relax, tra bagni, passeggiate, vino bianco freddo e spuntini continui. Avevo trovato tempo di lavorare a dei dati che mi erano arrivati dall'Italia via internet - Dio benedica il telelavoro - e persino un po' al mio romanzo. A cena, infine, avevo accompagnato gli ospiti a terra, li avevo sbarcati in spiaggia aiutato dal tipo del "ristorante" e li avevo lasciati andare alla loro festa a base di pesce sulla brace. Poi ero tornato in barca a chiacchierare coi miei compagni di viaggio davanti a un piatto di fusilli al sugo di barracuda.
Fino a quando ci siamo sentiti chiamare. Perché, in realtà, siamo così vicini alla spiaggia che un colpetto di motore sarebbe stato sufficiente ad andarli a prendere direttamente col catamarano, gli ospiti.
Con il tender, quindi, giro attorno alla poppa e mi dirigo verso il buio della spiaggia. Si vedono solo le palme, ritagliate in nero contro il cielo nero, e le luci dei cellulare delle sette persone che mi stanno aspettando. La linea dove la risacca frange è appena davanti alla riva, bianca e lucente alla luce delle stelle.
Ma io starò attento, come son stato già tre volte oggi. Arriverò più vicino possibile alla spiaggia, li farò entrare in acqua mantenendomi appena fuori dal piccolo frangente e aiutandomi all'occorrenza col motore in retro.
Mi avvicino e faccio cenno di entrare in acqua, ma nessuno si muove. Forse al buio non mi hanno visto? Rimango lì, al limite come da progetto, fino a che con una lentezza infinita uno a uno non cominciano a considerare l'ipotesi di decidere di darmi soddisfazione e avvicinarsi pian piano, svogliati, al bagnasciuga. Di entrare in acqua non se la sentono proprio, dopo la cena - come li capisco, anche io mi sono alzato adesso da tavola e sarei volentieri rimasto con le gambe sotto il tavolo a finire il mio vino - e si bagnano giusto i piedi. Lascio che il gommone si avvicini ancora, mi sento sicuro della mia abilità di scansare la risacca inserendo abilmente la retro nel momento adatto. La prua arriva quasi in spiaggia, è il momento di imbarcare gli ospiti o di ingranare la retro e tornare al largo. "Salite, salite!" li chiamo, nel buio, ma loro non colgono l'attimo, e si ammassano a bordo quando la tregua è già finita. Il tender si appesantisce, l'ultimo non ancora salito tiene ben ferma la prua di modo che io non possa allontanarmi neanche dando tutto gas, e del resto, il gambo del motore si è or ora piantato nella sabbia. In un attimo la prima onda arriva e si schianta sullo specchio di poppa, passandoci sopra e riempendo il gommone. La seconda ci trova ancora più bassi nell'acqua, e alla terza finalmente tutti cominciano a scappare, gettandosi scompostamente in acqua e raggiungendo barcollanti la riva, mentre il tender si traversa alla spiaggia rischiando di scuffiare. Io, come da tradizione, sono l'ultimo ad abbandonare il relitto. Tira su, svuota l'acqua, tira giù, metti in moto, ancora onde a bordo, mani aggrappate ai tubolari a sorreggere corpi disperati, riproviamo daccapo...
Mezz'ora dopo, gocciolante, finisco di trasbordare gli ospiti dalla spiaggia al catamarano. Ho impiegato tre viaggi, caricando due persone alla volta. Per prime Lara e Kristine, con Sabrina che ci aveva inseguito per essere salvata fino a che un'onda più alta delle altre non l'aveva stesa lunga in acqua. Poi Fabienne, rapida ora come fosse inseguita dagli squali, e infine la famigliola, con Luca, il padre, appeso alla prua come un naufrago, o forse un tonno agonizzante.
"Lo so: me la farai pesare per i prossimi tre anni." Mi fa Ale, ironico, il suo senso di colpa finto come le doti veliche di questo catamarano diesel.
"Facciamo quattro." Gli rispondo con un ghigno salato, agganciando il tender alle gruette. "E comunque domani tocca a te."
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