Allungo la mano appena alla mia destra, raggiungo il recipiente arancione e ne estraggo una manciata di cubetti di ghiaccio. Li lascio cadere nel bicchiere, poi aggiungo dell'acqua, infine mi sporgo ancora di più, rischiando di cappottarmi, e arrivo alla bottiglia dell'ouzo che mi accompagna fin da Samos. E che sta per finire.
Lo verso lentamente, piso piso, in modo che rimanga a galleggiare in superficie, morbido come una nuvola di settembre, forte e delicato come lo scafo della Duna all'ancora nella rada di Lakki. Intanto il sole cala lentamente dietro la collina, portando con sé il vento che, appena poche ore fa, ha coperto di sale me e le mie vele. Lontano, verso nord, il castello di Lero controlla i dintorni. Mi sento al sicuro.
L'estate, questa lunga, colorata, faticosa e meravigliosa estate, sta per finire. Ancora poche scorribande in taverna, di quelle in cui con occhio solo apparentemente distratto controlli che la tua barca, salda nell'azzurro al centro della sua chiazza di sabbia, sia ancora la più bella della baia - si sa, gli occhi innamorati hanno sempre ragione - e sarà tempo di tornare a ovest.
Riempio ancora il bicchiere, in un rito - ghiacco, acqua, ouzo - che al tempo stesso stempera e rafforza la mia malinconia. Passa a sorpresa una moto d'acqua, anche qui, e anche in questa stagione, coatta. È evidente che non te la vendono nemmeno, se non sei uno stronzo. La maledico con un gesto lascivo, svogliato, e torno a dondolare a mezz'aria nel rosa del mio tramonto.
Tutto finisce. È banale, lo so, ma da geologo ho la certezza che quest'isola si consumerà nel mare, presto o tardi, e che prima che questo avvenga questa bella baia, Porto Lago di nome e di fatto, si riempirà di roccia sgretolata, sabbia, polvere e sogni infranti. E nessuno potrà fermare il tempo.
Finiscono le stagioni più belle, i giorni più dolci, gli amori più intensi. Finiscono le tempeste ma anche il bel vento al lasco, e finiscono le cene con gli amici, a notte fonda, quando devi tornare a remi verso una luce che lontana si confonde tra i milioni di stelle.
Mi sporgo ancora dalla mia dondolante culla per ripetere il rito: ghiaccio, acqua - le ombre intanto si allungano, la brezza della sera ruota molle la Duna sulla catena, lento il rollio diventa beccheggio - e la bottiglia dell'ouzo, la più desiderata e la più lontana. Quand'ecco che, sul più bello, senza preavviso alcuno, un sussulto improvviso muove l'amaca. La mia mano, rallentata dal lungo aperitivo, annaspa nel crepuscolo, urta il collo della bottiglia, la rovescia.
Tutto finisce, sul far della nera notte. Anche l'ouzo.
Sei un mito!
RispondiEliminaAnzi, una Mythos...😂
🙏😁😁
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