Ovvero, l'unico tentativo fatto da Skiathos per farmi sentire "a casa".
Porto di Skiathos. Ieri pomeriggio gli ormeggiatori comunali mi avevano impedito di occupare uno dei tre posti liberi, urlandomi di andare ad ancorare in rada. Stamattina uno dei motoscafoni cui erano destinati i posti ha salpato, e io di corsa riesco ad infilarmi in banchina. Mentre sistemo le cime - è in arrivo una brutta perturbazione - ecco l'omino del comune, quello con la maglietta blu e la barba, quello che ieri mi ululava di lontano, che esordisce con "Ya su, kalimèra" il che, se non fosse appunto per ieri, ci starebbe pure visto che è la quarta volta in nemmeno un mese che ormeggio qui. Il successivo, mieloso, "My friend" svela immediatamente il segreto del nostro improvviso idillio, preludendo alla sua richiesta: mi devo spostare fuori asse di un metro per far spazio a un'altra barca. Giusto, penso io, anzi: c'è Max all'ancora qui fuori, ora lo chiamo e gli dico che tra poco ci sarà un posto, se si sbriga magari riesce a prenderselo lui. Poi ho un dubbio, e chiedo al mio nuovo e temporaneo migliore amico:
"Lo spazio è per una barca, in generale, o per una in particolare?"
La seconda: entro un'ora arriverà una specifica barca che avrà il posto a lei destinato.
"Quindi è possibile prenotare?" Perché se è possibile - cosa strana per la Grecia - la prossima volta lo faccio pure io.
"No", e la sua faccia da pitbull ha un microriflesso di imbarazzo, rimasto chi sa come impigliato nel suo sistema nervoso per colpa di una malevola quanto inutile frequenza scolastica. Ma è in gamba, e dopo un decimo di secondo ha già ripreso padronanza di sé: guarda ancora dalla mia parte ma non mi vede, ha messo a fuoco un punto sull'orizzonte lontano.
Subito dopo gli squilla il telefono, e sento che dice sottovoce, in Inglese, "Il porto è pieno, non ho un posto da darti, non venire".
E senza muovere le spalle scivola all'indietro verso il motorino, ruota su se stesso e se ne va.
home sweet home
RispondiElimina