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Verso il Dodecaneso

"Dobbiamo andare in Dodecaneso, il nove agosto arriva Fiore. E poi il 10 partono F e S: non vogliamo salutarli prima che vadano?" ho esordito io una mattina di qualche giorno fa, a Hermioni. 
"Va bene, partiamo" mi ha risposto Manu, senza porre - inspiegabilmente - neanche una condizione. 
E allora siamo subito partiti. Da Hermioni, ovvio, non è così immediato raggiungere Leros. C'è da fare prima il golfo di Hydra e non possiamo certo evitare una sosta a Poros, per salutare Vincenzo e per un trattamento shiatsu a Kristina, l'Ungherese che rimane fino al 30 luglio e vuole che le risolva i problemi al collo. 25 miglia con 20 nodi di vento, come promesso di bolina larga mure a sinistra. Tre ore per le prime 18, una per le ultime 5, e due per essermi imputato a doppiare a vela Capo Skillaion, che già lo sapevo che sarebbe stata un'impresa futilmente stupida. Arrivati a Poros adocchiamo un posto libero. C'è, attaccato al molo, un piccolo cartello tondo, rosso, con una striscia bianca in mezzo. "Senso vietato"? Certo che no: vorrà dire divieto di ormeggio, decido, e quindi mi ci infilo. "La guera è guera", direbbe un mio amico. Un po' di lamentele, contrattazioni, "Se vuoi me ne vado subito", e alla fine possiamo restare fino a domani. Chiamo Vincenzo e scendiamo a terra, il primo tavolino è il nostro: 
"Dio Fix, parakalò", che sembra una bestemmia e invece è una frase magica, dopo sei ore di sole e di vento. 
"Dobbiamo andare in Dodecaneso" ci siamo ripetuti la mattina successiva. E allora sono sceso a cercare un benzinadiko, e lui ha trovato me. "Shiatsu?" mi fa, quando gli spiego dov'è la barca, a dimostrare che in due mesi passati su e giù da queste parti il mio striscione a qualcosa è servito, anche se non proprio a ciò per cui è stato concepito. Poi la spesa, e infine la visita al cantiere di Takis, hai visto mai che riesca a trovarlo e a mettermici d'accordo per settembre. 
La strada per il Dodecaneso è lunga e passa per Egina, dove c'è da salutare Sebastien. Partiamo nel pomeriggio, tra le raffiche, e finiamo per arrivare a motore nella rada davanti al porto, al crepuscolo, appena in tempo per indovinare un posto in prima fila a ridosso della flottiglia attraccata al molo esterno. Cantano fino alle 4, sgasando tra una barca e l'altra rigorosamente a motore. Dice: "Son giovani". No, son coatti: è peggio e non c'è cura. Alle 5 entra la risacca. Alle 7 cominciano ad arrivare le onde dei primi traghetti. 
Alle 10 salpiamo, diretti sempre in Dodecaneso ma con una leggera deviazione verso sud: Sebastien è a Perdika, gli andremo incontro per un abbraccio e poi finiremo la giornata a Sounion. E così proviamo a fare. Ci ancoriamo in rada a Moni, e lo aspettiamo. Nel frattempo smonto lo spray hood e cucio a macchina due toppe là dove è evidente che si nebulizzerà alla prossima ventata seria. E aspettiamo Sebastien. Lo aspettiamo nella rada sbagliata: lui è ancorato da ore appena dietro il promontorio, lo scavalla a piedi, ci chiama, ci raggiunge a nuoto e insieme torniamo dalla sua bella dove, immancabilmente, ci offre una Fix. Sono le quattro quando finiamo i commiati. Ha insistito per avere due copie del mio libro, e per avere la promessa di poterci ospitare a casa sua, in Bretagna. Ci siamo lasciati a malincuore, dopo aver incrociato e condiviso rotte e serate per oltre un mese. Siamo partiti a vela, in silenzio, col fiocco nuovo teso nelle raffiche al lasco. Abbiamo tenuto fede all'immagine romantica dell'eroe che scompare all'orizzonte, malinconico, stringendo di bolina e issando anche la randa. Abbiamo girato l'angolo, scomparendo alla vista. E anche il vento è scomparso. 
"Dobbiamo andare in Dodecaneso" ho fatto io stamattina. Eravamo ad Agia Marina, più in là ieri non siamo arrivati, ma ormai abbiamo salutato tutti e possiamo davvero puntare verso l'inizio e la fine di ogni Egeo: Sounion. Così abbiamo fatto e Poseidone ci ha accolto sotto la protezione del suo tempio. Siamo partiti al lasco, gagliardi, spinti dal maistro, poi - calato il vento - abbiamo faticato a uscire dalle rotte dei mercantili diretti al Pireo. Quindi è arrivato di nuovo, quello vero, da Nord Est. Di lontano, bianco, mentre noi ancora arrancavamo con un inutile brezza da sud. Ha stentato un po' a stabilizzarsi, e l'ha fatto d'improvviso con uno schiaffo umido di acqua nebulizzata, tanto da farci prima prendere due mani alla randa, poi una al fiocco. E ancora abbiamo viaggiato coricati sullo spigolo della Duna, veloci, fino a questo ridosso antico come l'uomo. 
 "Duna si comporta bene, se sai come portarla" ha affermato a metà strada Manu, soddisfatta, sputando acqua salata. 
"È Lei che sa come si naviga, io mi limito a evitare errori" ho risposto, convinto, riprendendo la rotta dopo aver terzarolato il fiocco alla cappa. Perché sono un tipo modesto, e me ne vanto. 
"Dovremmo andare in Dodecaneso", io o forse lei ricorderemo ancora, domattina. La rotta è chiara, Leros è a Est e non c'è che puntare la prua nella direzione giusta, vento permettendo. 
Però, certo, ci sarebbe da fare un salto a salutare Lasse e Marianne a Serifos, l'ultima occasione di incontrarli in Egeo... E Benedetto passerà a giorni lo stretto di Doro; e Domenico e Claudia sono proprio ora a Naxos... 
Onestamente non so quando arriveremo, né chi avremo incontrato nel frattempo - per volontà o per caso - o quale rotta avremo seguito. 
Quello di cui sono sicuro è che stasera le stelle splendono limpide sopra le colonne di Poseidone, che domani voleremo al lasco verso Kithnos, inseguiti dalle onde e accompagnati dai delfini, e che tra qualche giorno il fiordo di Levitha ci darà sospirato rifugio e comodo riposo. 
Giorno dopo giorno il viaggio prosegue, la vita va avanti, e tutto questo è buono.

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