Duna ondeggia placida assecondando il refolo di grecale che ogni tanto scivola giù dalle pareti a picco. Io, imbrogliate da un pezzo le vele, siedo in pozzetto ad ascoltare i fringuelli duettare dal boschetto di pini là sulla cresta.
La baia, a parte me, è deserta.
Siedo in pozzetto, vino bianco greco, ghiacciato, nel bicchiere, patatine comprate a Castellammare in grembo, indeciso se perdermi nel fruscio delle onde che carezzano la spiaggia, nelle sfumature colorate del tramonto, nelle ombre che avanzano lievi a coprire le rocce, il mare, me e la mia Duna, o seguire l'impulso - la necessità quasi - di scrivere.
Ponza, l'isola che accompagna i miei viaggi per mare. Qui mi sono riposato a giugno, dopo una traversata volata sulle ali di un maestrale rabbioso, qui mi riposo ora, atterrato a Chiaia di Luna dopo una notte terzarolato col grecale il poppa. Viaggiare a vela è anche avere la pazienza di aspettare il vento giusto, e la forza di mollare gli ormeggi quando arriva il momento.
Su quest'isola il cerchio meravigliosamente si apre e si chiude ogni anno, regalandomi insospettabilmente i momenti migliori. O forse sono gli estremi temporali di un viaggio per mare ad essere insospettabilmente meravigliosi, di quella dolce ed amara meraviglia che nasce dalla consapevolezza di essere in un luogo conosciuto ed accogliente diretti verso l'ignoto, partendo, e di sostare, ospiti, nell'ultimo angolo di paradiso prima della cosiddetta "vita civile", caratterizzata sostanzialmente da fretta contronatura, traffico e scarpe chiuse, al ritorno.
Ponza un lunedì di fine settembre. Venti lievi mi hanno accompagnato lungo la costa. Sole caldo, tanto da invogliarmi a un tuffo nelle acque azzurre e a nuotare sospeso nel blu a sei metri dal candido fondale sabbioso. E io che mi ero soffermato, a Port Leone, ad assaporare le sensazioni di quello che pensavo fosse l'ultimo, splendido, indimenticabile bagno della stagione: fortunatamente mi sbagliavo. Poche barche, 5, forse 6. L'ultima salpata verso il sole morente neanche mezz'ora fa.
Pochi coatti, per di più atipici, come la moto d'acqua calata a mare dalla goletta qui nella baia, con cui l'ultimo rampollo della nobile famiglia romana ha stupito per due ore i parenti riuniti sulla tuga. "Perché non vai in spiaggia?" li sentivo suggerire, ma lui no, ore di sgommate intorno al due alberi: "Ci sono già stato, ora guardate questo".
Ma anche loro sono andati, sul presto, portandosi dietro il loro rampollo annoiato, ed è rimasto il silenzio trafitto dai grilli, e il fruscio delle onde sulla spiaggia, e il tramonto con le sue sfumature che non mi stancherò mai di ammirare. E il mare, tanto mare, che di là di Palmarola si stende infinito verso ovest, oltre la Sardegna, oltre Gibilterra.
Niente da aggiungere, hai già detto tutto !
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