Capita di entrare in un porto e di trovare degli amici. Magari prima non c'erano, o meglio: sì, erano lì in effetti, ma non erano ancora tuoi amici.
Capita che dovevi rimanere un paio di giorni, il tempo di fare acqua, cambusa, gasolio, e poi partire per una traversata impegnativa. Pensi, dato che è più di un mese che navighi in questi luoghi ventosi, che sarà un attimo riprendere il mare.
Poi ti trovi bene. La vita di banchina ti illanguidisce, la sveglia mattutina scivola lentamente verso il primo pomeriggio, i pranzi si succedono alle cene e le cene ai pranzi, chiacchieri, fai due passi, ti scambi racconti e consigli preziosi. I giorni diventano tre.
Il quarto giorno tu partiresti, se non fosse che il meteo sembrerebbe non essere proprio quello ideale. Nel rimandare al quinto, comincia a sorgerti il dubbio che sia l'idea di prendere di nuovo il mare a metterti quest'ansia dietro la nuca. Di quelle che ti alitano sul collo e ti giri a guardare per vedere cos'è ma non c'è niente eppure è lì, la senti.
Il quinto giorno sei deciso a partire, ma è ormai palese che non ti va, e se lo farai sarà solo per due motivi. Il primo è che devi tornare a casa perché hai finito il tempo a disposizione, il secondo è che sono ormai cinque giorni che dichiari in giro le tue intenzioni e hai convinto tutti che ieri era ormai questione di ore, e stamattina quando ti hanno visto ancora qui ti sei sentito un buffone dei mari.
Ma la verità è che nonostante i 30 giorni di mare e le 1000 miglia navigate, riattraversare la vasta distesa d'acqua che tanto hai faticato per metterti alle spalle ti mette improvvisamente timore. Ti spaventa lasciare il porto sicuro, e affrontare i giorni e le notti che ti separano da casa.
Lo Ionio di fine estate non concede sicurezze, lo stretto di Messina non passa certo per amico dei naviganti, e il basso Tirreno in questa stagione alterna calme equatoriali a groppi e trombe d'aria.
E io dovrei lasciare questo ormeggio che si fa ogni giorno più familiare, i miei nuovi amici, la protezione del frangiflutti? L'ho ben visto il vento che tira lì fuori in questi giorni - una zona di consapevolezza residua nel mio cervello posteriore mi ricorda che altre volte neanche tanto lontane l'abbiamo affrontato, questo vento, ma non le do ascolto - e non ho intenzione di andarmici a ficcare con le mie mani. Sto tanto bene qui, del resto.
Ogni sera progettiamo la partenza, ogni mattina la rimandiamo in base alle previsioni meteo aggiornate. In questo, in entrambe le attività, ci aiuta uno degli amici di qui. Gli siamo grati e ci fidiamo di lui.
Per questo siamo stupiti quando si presenta un tardo pomeriggio e ci dice con tono diretto: si è aperta una finestra stanotte. Stanotte quando? Dopo cena, appena molla il vento. Poche ore, le previsioni sono affidabili, lui è attendibile, non possiamo rifiutare, non possiamo rimandare. Siamo incastrati dalla nostra stessa immagine di navigatori che hanno fretta di tornare a casa. Il che, tra l'altro, è dolorosamente vero.
E fu così che all'una, dopo cena, col vento che calava, lasciammo nel silenzio gli ormeggi e alammo l'ancora. Fuori del molo ci aspettava la notte, e un paio di secche non segnalate a destra e a sinistra del canale di accesso - fortuna che in entrata mi ero preso dei riferimenti a terra, e una direzione sicura.
Passando accanto alle barche ormeggiate scambiammo gli ultimi saluti con chi sentendo nostri pur discreti rumori era uscito ad augurarci buon vento.
E buon vento fu, perché fuori dalle secche, fuori dal ridosso, fuori dall'effetto del cappello di aria notturna, fredda, di Cefalonia, oltrepassato l'ingresso del golfo di Argostoli, per capirci, là dove comincia repentinamente il mare aperto, il vento non era calato affatto.
Fiocco e randa terzarolata per tutta la notte, e piano piano la tensione che si scioglie, il ritmo della vela che rientra nel sangue e pervade tutte le membra, la fiducia nella barca e nelle nostre forze che ritorna. E la Duna va, cavalca le onde e noi con lei.
Certo, il giorno dopo, e quello dopo ancora, e poi ancora e ancora fino su verso casa, lo passammo a evitare temporali di giorno, e lampi e saette di notte. Ma questo lo racconterò, forse, un'altra volta.
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