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to the last syllable

La gente muore, continuamente. La gente muore sotto un'auto, muore d'infarto, di tumore. Muore ammazzata, affogata, muore di vecchiaia. Non c'è scampo, non c'è eccezione. Noi siamo la gente. Muoiono i migliori, certo, ma anche i peggiori non sopravvivono in eterno. Niente dura to the last syllable of recorded time, figuriamoci la vita, così complicata, così fragile, così – oggettivamente – improbabile.
È morto Douglas Adams, nel fiore degli anni, in una palestra californiana. È morto Göran Schildt, che ha fatto in tempo a farsi fotografare a colori, ombra del viaggiatore a vela di un tempo, sullo sfondo del golfo della sua Leros. È morto anche Shakespeare, per chi non lo sapesse, la sua chiassosa ora sul palcoscenico è finita da un pezzo.


Da solo per mare, i pensieri hanno poco spazio tra una manovra e l'altra. Ma quando, nell'ora più bella in cui il mare è del colore del vino, l'àncora agguanta sicuro il sospirato fondale, o quando la mattina di buon'ora spieghiamo le vele alla prima brezza di mare per scivolare lenti verso il nuovo giorno, c'è tempo per mille riflessioni.

E allora, passando davanti al vecchio borgo marinaro, sotto la sua antica rocca, nel mare blu, lui sì eterno, sulla via del ritorno, ci si chiede che senso abbia rispondere al richiamo dell'ordine. Tornare per donare altri preziosi attimi di vita, potenzialmente gli ultimi, certamente tutti, alla monotona rappresentazione collettiva quotidiana che chiamiamo routine.

E se invece afferrassi il timone e con gesto deciso accostassi a Ovest? E se domani mattina mi svegliassi a Giannutri, dopodomani a Porto Vecchio, poi a Santa Reparata, poi mare, mare mare e poi Mahon e poi ancora di nuovo giù giù verso Alboran e la mitica – per me che l'ho visitata solo in sogno – rocca di Gibilterra, e poi...

Nel conto finale quanto vale un giorno passato in “ufficio”, e quanto un'ora da uomo libero?

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