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Il Circo - prima parte


Ore 6:30. Il sole deve ancora far capolino da sopra il promontorio che protegge l'avamporto di Pitagorion e io - riconquistata a fine stagione la cabina matrimoniale di prua, me ne sto a quattro di bastoni, una maglietta sugli occhi per ripararmi dalla luce che tenta di svegliarmi dall'osteriggio, sperimentando nuovi modi per spargere il mio metro e ottanta lineare su tre metri quadri di cuscini. Ronfo beato.
Questa è anche l'ora in cui il camioncino del comune passa a ritirare le bottiglie vuote dai bar che gremiscono la banchina, e così non mi stupisco più di tanto nel sentire, nel dormiveglia, rumori di motori e di cocci infranti, e urla in Greco. Sono quelle in Turco a svegliarmi.
Dapprima, lente, si infilano nei miei sogni, che da pieni di morbide carni e pelli setose si fanno pelosi e sanguigni, poi bussano alla mia coscienza e mi costringono a prendere atto della spiacevole realtà: i miei vicini di dritta stanno salpando.
Devo premettere che ieri è stata la prima giornata senza vento degli ultimi due mesi. E i posti alla mia dritta erano due. E la mia catena è dritta, o almeno lo era ieri e anche stamattina prima che il sole facesse capolino etc etc. E questi Turchi e il loro Beneteau blu sbiadito erano riusciti, entrando nel pomeriggio assolato, a piazzare la loro catena sulla mia.
Niente di eccezionale, qui capita di continuo e l'unico modo per rimanere fuori dai giochi è dare ancora in rada - seppure, anche lì, ne ho viste di belle - o fare come Max, che da una settimana non molla il suo prezioso ormeggio accanto a quelli liberi della capitaneria: "Sopravvento non si può mettere nessuno, e per mettersi alla mia dritta vengono davanti a me, io gli dico 'OK' e quando hanno calato l'ancora sul fondo lo scarroccio li ha già spostati sulla catena di qualcun altro". Io sono due posti sottovento, appena un pelo più esposto, e stamattina, pare, faccio parte del circo.
La scorsa settimana ero ancora più giù, nella bolgia infernale dove, con la banchina che curva, tutte le ancore si concentrano in un unico punto. Entrando con vento forte - e da queste parti forte è forte davvero - ero riuscito a prenderne solo una. "Tomorrow I'm leaving, You'll give me plenty of chain" mi aveva detto tranquillamente l'Inglese, e così avevo fatto, e lui aveva tirato su la mia ancora e l'aveva deposta, generosamente, 10 metri più al largo, sopravento.
Sopra quella del mio vicino di sinistra il quale, Turco commerciante in tessuti e per questo affezionato a Milano, era stato un pelo più rozzo e, spedatamela di nuovo, me l'aveva buttata dove era capitato: dieci metri indietro, sottovento, sopra quella del caicco di 25 metri verde. Infine erano arrivati i più simpatici, sempre dalle steppe dell'Anatolia, e avevano tombato con la loro catena ogni situazione pregressa. Per andar via il giorno successivo avevo dovuto dar fondo ad ogni mia abilità di manovra, tirare su a mano una ventina di metri di catena, e spendere gran parte della fortuna che tenevo da parte per l'età della pensione. Ma tanto nessuno me la darà mai, la pensione, tanto vale sfruttare il momento.
Tornando a stamattina, considero ormai normale che qualcuno, arrivando, piazzi la sua catena sopra la mia. Salpando, se le leggi della Fisica hanno un senso, la catena superiore viene via pulita e l'invasore può sfancularsi agevolmente verso il sole nascente.
Con occhio languido, accecato dalla luce e dalle ultime immagini dei miei sogni, dall'osteriggio socchiuso osservo quindi i Turchi in manovra nelle acque immote del porto. Vanno lenti, seguendo diligentemente la rotta per cui sono entrati. Mi sento sereno, e la mia catena, immobile, mi dà ragione. Ho persino tempo di godere dei colori che l'aurora sparge generosa sulle pietre lisce della diga foranea e sui marmi bianchi del faro.
E poi "SBEM!" i pecorari mancati agganciano la mia linea di ancoraggio e invece di fermarsi a riflettere cominciano a tirarmi via dalla banchina.
In un attimo mi materializzo in coperta urlando insulti per attirare la loro attenzione. Loro si girano, stupiti, come se fossi io a dovermi scusare per essermi intromesso nella loro normale e innocua attività mattutina: spedare ancore a gratis. Gli faccio cenno di aspettare, tolgo la ritenuta, mando giù tutta la catena rimastami nel gavone, corro a poppa, accendo il motore, innesto la marcia per tenermi lontano dal molo, torno a prua e, dato che davvero non mi va di rifare l'ancoraggio, ho da aspettare la velaia che si prenderà cura della mia povera randa e preferirei farlo in tutta tranquillità, butto giù il tender, prendo i remi e ci salgo dentro per andare a controllare cosa abbiano intenzione di fare.
Arrivo a metà strada quando mi fermano: 
"No problem captain!" mi dicono, che mi suona come il "Tranquillo" che a Roma, si sa, ha fatto una brutta fine. 
"Poi dovete spiegarmi come cazzo avete fatto!" gli urlo dietro in Inglese, ma loro mantengono il segreto, e se ne vanno. Il sole fa or ora capoccella.
Io torno indietro, recupero a bordo la catena e constato che ne mancano cinque metri. Ha fatto di nuovo testa, però, e lo spiego al mio vicino di sinistra e alla di lui moglie. È anche lui Turco ma, ne ho evidenza, marinaio, cosa di cui son contento perché se no qui finisco per diventare razzista. Lui concorda, è fisicamente impossibile che chi arriva dopo con venti metri di spazio senza vento crei problemi a chi sta lì da prima. 
"Ma quaranta metri di catena bastano, il fondo è fango buon tenitore" conclude, e distoglie lo sguardo, come fosse imbarazzato.
E così mi rendo conto di essere ancora in mutande.

Commenti

  1. Scusami, forse sono ancora un po' addormentato... ma dov'erano finiti i 5m di catena? Non te l'avranno mica tagliata e rigiuntata?

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    Risposte
    1. Quando ti tirano su la catena l'ancora a volte si sposta, e in quel caso, a volte, se ti dice bene, fa di nuovo testa: dove te l'hanno buttata, però, e/o dove vuole lei. E se ti dice davvero bene alla fine dei giochi ti mancano solo 5m di catena ;)

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