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La prima volta



Ho un po' di miglia nella scia. Non tante, neanche a contarle tutte posso sperare di competere con molti dei miei amici meno esperti, ma abbastanza per poter raccontare di aver visto il Mare in molti dei suoi aspetti migliori. I peggiori, per ora, preferisco lasciarli ad altri: ne sto alla larga, me li godo dalla taverna del porto, o da dietro i vetri di un comodo e stabile appartamento. Vero è che anche il concetto di "momento peggiore", con l'esperienza, transla poco a poco. Quello che fino a pochi anni fa mi avrebbe tenuto a terra, magari a rinforzare gli ormeggi, ora mi pare affrontabile con un minimo di prudenza. La soglia si è leggermente alzata, solo un poco sia chiaro, merito dei mesi trascorsi in mare e della Duna che, miglio dopo miglio, si dimostra solida e affidabile. Ma non è questo l'argomento.
Ho un po' di miglia nella scia, scrivevo, e questo comporta che sono tanti i tramonti cui ho assistito al timone, i delfini che hanno giocato con la mia prua, le stelle che hanno striato il cielo al di sopra delle mie vele. La magia si rinnova ogni volta, ma è, in fondo, una magia che conosco, lo stupore quieto di qualcosa che si conferma. Per questo mi capita, a volte, di provare una curiosa invidia per chi, invece, sale per la prima volta su una barca a vela e in pochi giorni ne assorbe tutte le sensazioni, gli odori, i rumori, i colori.
Ho ospitato cinque amiche sulla Duna, pochi giorni fa. Non ero sicuro della riuscita dell'impresa, lo ammetto: in sei su una barca di dieci metri, con un solo bagno, con poca acqua dolce, niente rollafiocco o lazy bag... temevo la gita portasse tensioni, noia, fastidi. Avevo sottovalutato però la magia della vela, o forse la generosità di Poseidone. O forse, più prosaicamente, le mie amiche.
Per loro era, appunto, una "prima volta". E vorrei essere capace di assorbire a livello di pura sensazione quello che devono aver provato a ritrovarsi, dopo un lungo aperitivo e un altrettanto lungo viaggio in macchina, caricate armi e vettovaglie su un nove metri di linee nordiche e rapite da due sconosciuti nella notte più nera, con la vaga promessa: la nostra barca è all'ancora lì fuori, quella là, ondeggiante, lontana, è la sua luce di fonda.
Perché ovviamente, nonostante secondo più di un amico basti entrare e buttarsi sulla destra per poter passare una notte tranquilla a Nettuno, quando io e la Duna vi abbiamo fatto timido ingresso la rapidità con cui siamo stati ricacciati in mare rivaleggia con quella che, anni fa, sperimentammo a Saint Tropez: allora il problema era stato il nostro aspetto, che mal si accostava ai lucidi panfili dei lucidi ricconi che affollavano i moli della lucida cittadina. Ora, semplicemente, il molo dei transiti è pieno di velisti ai quali gli amici hanno confidato in gran segreto che per poter passare una notte tranquilla a Nettuno basta entrare e buttarsi sulla destra.
E così le mie ospiti si sono ritrovate strette nello minuscolo pozzetto di Stefano, con tutti i bagagli ammucchiati sulla tuga come su una giunca vietnamita, a scivolare lente accanto ai moli gremiti di barche mute. Un gesto a volte, o una voce dagli oblò illuminati. E poi fuori, nel buio umido e ondeggiante della rada, con le luci di Anzio lontane sullo sfondo, verso una barca sconosciuta e invisibile. E ancora, salite finalmente a bordo, dopo il commiato col nostro Caronte occasionale, neanche il tempo di prendere possesso degli spazi e si salpa l'ancora, prua a sud ovest e via, a motore, verso l'orizzonte vuoto che qualcuno - io - giuravo loro nascondesse Ponza.
Salire in barca a vela per la prima volta e cominciare con una traversata notturna al chiaro di luna, per poi svegliarsi, scoprire pian piano i legni, i tessuti, finora solo odorati, saggiare il rollio, uscire stiracchiandosi in pozzetto e ritrovarsi nella luce più viva a Cala dell'Acqua. L'azzurro del mare, il bianco delle rocce, il verde di Ponza. Colore. Il tepore del sole, il fresco del primo bagno estivo, il vento che si alza, che sale di prua. "Andiamo", faccio io, e un attimo dopo, ancora per la prima volta, eccole alle vele e al timone. Quanto può valere la prima bolina larga, veloce a vele spiegate, in buona compagnia, con il vento giusto, il mare clemente, il sole appena fattosi estivo, Palmarola sullo sfondo che si avvicina rapida? Quanto può valere il delfino enorme che Poseidone invia a salutare e a benedire il nostro viaggio?
Quattro giorni di estate anticipata: sveglia, bagno, vela, aperitivo. Le rade più belle del Tirreno senza l'affollamento di agosto. Senza mai scendere a terra se non per rifornirsi di acqua, vino e birra. Trattamenti shiatsu sulla tuga a prua, dondolati dal mare lungo da ovest. La luna piena che illumina le rocce del Suvace, o di Cala del Francese.  Le migliori storie di mare, ne ho lette e passate e ascoltate abbastanza da appagare certo una piccola platea, a concludere la serata. Tutto la prima volta, per la prima volta. Come potrei non provare invidia?


A questo penso, con un po' di malinconia, mentre bordo dopo bordo risalgo il maestrale verso casa. Sono scese a terra con gli occhi pieni di mare e la testa piena di nodi magici e nomi esotici del vocabolario nautico. Le mani salate che hanno imparato a conoscere drizze e scotte e vele da imbrogliare. Chissà per quanto tempo barcolleranno in preda al mal di terra, chissà per quanto tempo si sveglieranno la mattina credendo - sperando forse - di essere cullate dalla debole risacca. Viro, metto a segno le vele, passo al timone e accompagno la Duna a stringere il più possibile il vento, viro di nuovo. L'angolo è buono ma la velocità scarsa: sono partito alle otto da Anzio, arriverò alle due di notte dopo aver perso un tonno al traverso di Fiumicino e aver preso una multa di fronte Capo Linaro, a mezzanotte, per "mancata esposizione del tagliando assicurativo". Cosa si prova nel vedere per la prima volta 40 metri quadrati di tela salire fino su, in testa, e sbocciare in pieno sole? E ascoltare coi polpastrelli leggeri il timone che tira sopravvento mano mano che la vela si gonfia, che la barca sbanda, si corica sul fianco e corre potente incontro alle onde?
Virata dopo virata mi godo il silenzio, il sole, il vento. La malinconia di non aver più un equipaggio da curare, e su cui già contare, ma anche la ritrovata solitudine. Penso ai lenti tramonti incantati degli ultimi giorni, alle intere scale cromatiche che si sono abbracciate e poi separate e rincorse, danzando lungo l'orizzonte. Saranno senz'altro piaciuti, come tutto il resto, mi dico, e questa consapevolezza mi infonde a sua volta uno sconosciuto piacere dolciastro, calmo e benefico. 
E d'improvviso mi rendo conto che, in realtà, anche per me è stata una prima volta.


Che il ricordo resti a lungo nel mio cuore.



Commenti

  1. Le loro sensazioni nella tua celata invidia: fantastico! Mi aspetto un estate di racconti con i fiocchi.

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    1. Grazie! In effetti ho impiegato qualche giorno e scartato diversi incipit prima di scegliere la chiave per raccontare questi quattro giorni. Credo questa sia quella giusta, o almeno è quella che sento più adatta, e il tuo apprezzamento non fa che confermarmelo :)

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  2. Bellissimo racconto, come al solito.
    Dove sei adesso ?
    Non ti impigrire, eh ? ne aspettiamo molti altri, di racconti così !

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    1. Spero proprio di avere occasione di raccontarne molte. Ora sono. Civitavecchia, tra manutenzione finale della Duna, seminari di shiatsu e lavori di geofisica marina. Terminati questi ultimi, spero entro una decina di giorni, prua verso il mare aperto ad arrivare con tutta la calma del mondo in Grecia. Ancora non sappiamo dove: arrivati lì decideremo giorno per giorno.
      Grazie dei complimenti! :)

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  3. l'oceano attende i capitani coraggiosi

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