Viaggio verso nord. Partito prima di pranzo da Chiaia di Luna spinto al lasco dallo stesso levante rafficato che mi ha cacciato ieri dal Frontone, sfilo al tramonto 12 miglia al largo delle luci di Anzio.
Il vento è calato da un pezzo. Poi è rimontato, ha dato scarso, è scemato. E io ho sciolto le mani di terzaroli alla randa, poi al fiocco, che poi ho ammainato e issato e ammainato di nuovo. Ora è imbrogliato alle draglie di dritta, in attesa della prossima buona occasione per mettersi in mostra.
Questa è l'ultima tappa del viaggio, sto tornando a casa.
Randa e motore verso nord, col sole che cala alla mia sinistra e le nubi che crescono alla mia destra. Le previsioni danno una notte tranquilla. Maestralino leggero fino alle 2, poi rotazione oraria fino a un levante decente qualche ora prima dell'alba. Potrebbe essere quella, l'occasione buona per il fiocco.
Ma ora, al tramonto, preferisco rispettare le Nubi e le Acque, e così mi aggancio la cintura di sicurezza, esco dal pozzetto e vado all'albero. Prenderò la prima mano, una mano di scaramanzia, alla randa.
La vela già fileggia, l'amantiglio già sorregge il boma, e così non mi resta che cazzare i lazy jack, mollare la drizza in acciaio a far scendere i cursori e agganciare la mura della prima mano. Per finire teso di nuovo l'inferitura, e la borosa. Con questo vento e questo mare è fin troppo facile manovrare le vele.
Per dare volta alla borosa me la prendo comoda, mi siedo sulla zattera di salvataggio, appena a poppavia dell'albero, e lento avvolgo il cavo sulla galloccia. Finito, ripongo la maniglia e rimango lì, a godermi il mare scorrere, e a sussurrare parole affettuose alla mia Duna.
Rimango lì, e alla mia sinistra il sole al tramonto infuoca l'orizzonte con le ultime luci del giorno, mentre alla mia destra la costa laziale sfuma, complici le nuvole compatte, nella notte più nera.
Ed ecco che l'attimo si dilata, ecco che le sfumature hanno un fremito e una cesura proprio qui, allo zenith, ecco che la mia rotta si disegna improvvisa a spartiacque tra il giorno e la notte.
Mi guardo intorno, mi guardo dentro. È tutto fin troppo nitido, ogni distinzione accentuata dal contrasto che divide il cielo in due metà opposte e complementari. E io mi riscopro diviso. Tra la gioia di tornare, e la malinconia di aver finito il mio viaggio. Tra la sicurezza del porto sicuro che mi accoglierà domani, e l'incertezza del futuro. Tra la voglia di un'esistenza terrestre - un letto una doccia un tetto solido - e la necessità di vivere nomade con lo stretto necessario ammucchiato nei gavoni. Tra la paura del buio e la curiosità di scoprire cosa mi riserva la notte.
Ammaliato dalla metafora pittorica dei miei pensieri che l'orizzonte ha messo in opera, resto ancora un poco accoccolato sulla zattera, qui appena dietro l'albero. I piedi nudi godono del tepore del giorno appena finito, fossilizzato nel teak. La vista vaga alla ricerca di nuovi colori. Con le mani carezzo la barca. Poi improvvisamente mi alzo e in pochi passi sono di nuovo al timone, ma prima...
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