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Visualizzazione dei post da settembre, 2017

Laocoonte uno di noi

Duna vola verso ovest con fiocco pieno e due mani alla randa. La prua danza agile tra le onde dello stretto tra Naxos e Paros mentre io al timone assecondo i suoi movimenti istintivi, aiutandola giusto un po' ad anticipare, quando arriva, un treno di onde più ripide delle altre. Ma in fondo è per me che lo faccio, per evitare che le creste frangano in pozzetto inzuppando di sale me, il mio cappello di lana e i miei occhiali a specchio nuovi. Lei, Duna, non ne avebbe bisogno: è nata per questo mare. Sono due giorni che corriamo insieme verso ponente, verso Galata e il cantiere in cui riposare per il breve attimo di un inverno. Dall'alba - si fa per dire: oggi son partito a metà mattinata dopo dodici ore filate di sonno - alle luci del primo crepuscolo. Cinquanta miglia al giorno, tutte a vela, la maggior parte di bolina, sono tante, e così non sto nemmeno mettendo la canna in acqua. Se poi prendessi un tonno dovrei rallentare la barca, lottare, recuperarlo, pulirlo, dissa

Tutto finisce

Dondolo sulla mia amaca, a prua, cullato dal rollio. Allungo la mano appena alla mia destra, raggiungo il recipiente arancione e ne estraggo una manciata di cubetti di ghiaccio. Li lascio cadere nel bicchiere, poi aggiungo dell'acqua, infine mi sporgo ancora di più, rischiando di cappottarmi, e arrivo alla bottiglia dell'ouzo che mi accompagna fin da Samos. E che sta per finire. Lo verso lentamente, piso piso , in modo che rimanga a galleggiare in superficie, morbido come una nuvola di settembre, forte e delicato come lo scafo della Duna all'ancora nella rada di Lakki. Intanto il sole cala lentamente dietro la collina, portando con sé il vento che, appena poche ore fa, ha coperto di sale me e le mie vele. Lontano, verso nord, il castello di Lero controlla i dintorni. Mi sento al sicuro. L'estate, questa lunga, colorata, faticosa e meravigliosa estate, sta per finire. Ancora poche scorribande in taverna, di quelle in cui con occhio solo apparentemente distratt

Il salto del pesce

Stamattina c'era un pesce, nel mio tender. Piccolo, che mi stava in una mano. Scappando dal temuto predatore insieme a tutti gli altri avrà pensato "Ammazza che salto, sto avanti a tutti, col cazzo che mi prende, si fottano loro" ed è finito nel mio tender, a morire rinsecchito.  La velaia di Samos, Finlandese, me lo diceva proprio la scorsa settimana: "Massimo due anni, poi abituati all'idea che la tua randa morirà". Così diceva, ma non era questo. Ha perso il marito, Greco, ed è rimasta incastrata in quell'isola con due figli piccoli, ed è stata dura. "È inutile fare programmi: la vita in un attimo manda all'aria tutto". Questo, mi diceva, e mi ha toccato.  È morto un mio amico, pochi mesi fa. Era giovane ed aveva la risata più potente del Mediterraneo. Più in là non so, perché non sono ancora stato. Aveva progetti, immagino, o forse aveva in progetto di averli, ma senza fretta, c'è tutta la vita davanti. Tutta.  "Lavo

Talmente euforico

Stamattina mi sono svegliato presto, dovevo aspettare la mia velaia. L'appuntamento era alle nove. Alle nove e quaranta le ho telefonato, e lei non ha risposto. Fosse per il ritardo non me ne sarei fatto un problema ma, per dirla tutta, dovevo andare in bagno, e non potevo farlo con lei che sarebbe arrivata da un momento all'altro, mi avrebbe chiamato "Captain!" dalla banchina, e io chiuso in bagno a strappare freneticamente metri di carta igienica per mondare i miei peccati. Già mi vedevo, sudato e coi pantaloni mal allacciati, inseguirla per la banchina urlando "Come back Anitta!". Che se nessuno l'ha ancora fatto sarebbe da scriverci una canzone. Così l'ho chiamata di nuovo alle dieci e un quarto. "I'm late" mi ha risposto, fingendo imbarazzo "Ma metto le mie cose in macchina e vengo subito a Pitagorio". Ho insistito, mi premeva sapere quanto sarebbe durato questo subito, e i suoi "quindici minuti" mi hann

Il Circo - prima parte

Ore 6:30. Il sole deve ancora far capolino da sopra il promontorio che protegge l'avamporto di Pitagorion e io - riconquistata a fine stagione la cabina matrimoniale di prua, me ne sto a quattro di bastoni, una maglietta sugli occhi per ripararmi dalla luce che tenta di svegliarmi dall'osteriggio, sperimentando nuovi modi per spargere il mio metro e ottanta lineare su tre metri quadri di cuscini. Ronfo beato. Questa è anche l'ora in cui il camioncino del comune passa a ritirare le bottiglie vuote dai bar che gremiscono la banchina, e così non mi stupisco più di tanto nel sentire, nel dormiveglia, rumori di motori e di cocci infranti, e urla in Greco. Sono quelle in Turco a svegliarmi. Dapprima, lente, si infilano nei miei sogni, che da pieni di morbide carni e pelli setose si fanno pelosi e sanguigni, poi bussano alla mia coscienza e mi costringono a prendere atto della spiacevole realtà: i miei vicini di dritta stanno salpando. Devo premettere che ieri è stata