Qui a Lipsi è pieno di barche, soprattutto italiani, soprattutto - ora che si approssima il ferragosto - charter.
Charter, di per sé non significa nulla. Chiunque può noleggiare una barca.
Tanto che noi siamo fortunati, e ci troviamo accanto a Marco e al suo equipaggio, e circondati dalla flottiglia che lui ha organizzato e guida.
Marco è uno esperto, tanto esperto. Ma non se ne vanta. È una caratteristica che esce fuori evidente, prepotente, nel momento stesso in cui mette piede in banchina e comincia ad aiutare tutti, con la pazienza, la gentilezza e la modestia che solo chi è davvero sicuro di sé può permettersi.
Marco, ahimè, è un'eccezione.
In sole 12 ore, limitandomi a queste ultime per non dover scriverne un romanzo, ho visto cose che hanno fatto impallidire il mio pur traumatico ricordo degli skipper russi ubriachi di Poros.
Ieri pomeriggio la quinta barca di Marco, quella con il comandante "non proprio bravo", come lo aveva definito eufemisticamente Riccardo, ha faticato due ore per mettere ancora. Arrivava in banchina traversata, e per lo più senza aver fatto far testa.
Poi, finalmente, tutti erano potuti scendere ben vestiti con tutti i bambini al seguito per sciamare tra le viuzze congestionate di Lipsi.
Peccato che a mezzanotte la prua sia cominciata a scadere contro il vicino tedesco, provocando le di lui gutturali bestemmie umide di saliva schiumosa di birra. A bordo, "casualmente", si è trovato Marco, che è uscito, di notte, limitando i danni, ed è riuscito nonostante il vento al traverso e l'uomo all'ancora completamente - e lo dico sul serio - incapace, a riportare la barca al sicuro.
L'ancora, l'avevano calata a 10 metri dalla prua.
Sempre ieri, nel pomeriggio, un altro charter italiano si è ormeggiato dall'altro lato del porto. Erano solo loro, e potevano scegliere dove meglio calare l'ancora. Beh, stamattina nell'andare via sono riusciti a spedare il francese a venti metri da me, sopravvento, da quest'altra parte del porto. Non solo: tirata su la sua ancora, sono riusciti a liberarla solo dietro il suggerimento del solito Marco ("Usate una cima, non ce la farete mai a mano": perché a mano stavano cercando di sciogliere il nodo tra le due catene di acciaio) e poi, tutti contenti, invece di riportargliela dov'era gliel'hanno buttata giù lì, sul posto. Ovvero 20 metri sottovento: sulla mia, di catena. Poi se ne sono andati via tutti soddisfatti, convinti che risolvere il loro piccolo meschino personale problema li avesse magicamente innalzati al ruolo di grandi uomini di mare. Le nostre facce deluse non li hanno scalfiti.
E infine Loro, i veri protagonisti di questa storia. Sempre italiani, arrivano e scelgono il lato sbagliato del porto. A banchina praticamente libera. Signori di mezza età, sicuramente per bene, cui la carta di credito e l'invenzione dell'istituto assicurativo hanno dato un facile e pernicioso accesso a una barca troppo grande per la loro patente nautica. Patente cui del resto hanno avuto facile e pernicioso accesso con la stessa modalità.
Non hanno la minima idea di cosa fare, poverini. Non sanno non tanto come calare l'ancora, non tanto dove o quando calarla, ma "perché" farlo.
Continuano a mettere poca catena (10 metri su sei metri di fondale con un 50 piedi largo come la Nimitz e 25 nodi di vento al traverso), e rigorosamente sottovento. Arrivano in banchina in diagonale, si attaccano per miracolo alle bitte d'angolo, tirando matasse di cime al malcapitato di turno, e osservano il loro musone abbattersi inesorabilmente sul catamarano ormeggiato all'inglese in testa al pontile.
Io sono imbarazzato per loro, per me, per il mondo intero. E anche un po' incazzato con chi gli ha consegnato la barca, mettendo in pericolo tutti noi, e con loro, ignoranti e arroganti tanto da noleggiare un simile coso in agosto in Egeo senza avere la minima idea di cosa significhi manovrarlo.
Ma Marco no. Lui ha pazienza con tutti. Ritarda la sua partenza, e quella della sua famiglia e dei suoi amici, sale a bordo con loro e organizza su due piedi un corso di ormeggio. Rovista sottocoperta e scopre il magnetotermico del salpaancora, di cui loro ignoravano l'esistenza, e già che c'è gli rimette in funzione la passerella idraulica di poppa. Poi, non contento, prende il timone e gli porta la barca in banchina, costringendo di tigna il tipo all'ancora a calarla a dovere e quello alle cime a lanciarle al suo segnale. A metterle preventivamente in chiaro no, quello nemmeno lui può farglielo entrare in testa.
Infine scende, di fretta, dopo un 'ora buona, mi ringrazia per avergli dato assistenza con le cime, saluta e va verso la sua barca per partire.
E il tipo che aveva appena aiutato lo chiama indietro perché vuole pagarlo per l' aiuto.
Marco rifiuta, ovviamente, ma il tipo insiste, inseguendolo per il molo con la sua saccoccietta della cassa comune comprata a Kos, a costo di offenderlo.
Marco rifiuta ancora, mentendo "La prossima volta mi aiuterete voi", che neanche in tre vite potrà mai capitare, per mare, che quelli siano in grado di aiutarlo. O forse no, le vie degli Dei sono infinite ed è meglio lasciare sempre una finestra aperta.
Comunque Marco è oramai di spalle, già con la testa concentrata nelle sue prossime manovre. Ma io lo vedo il tipo, la mano grassoccia nel borsellino in stoffa da bancarella per turisti, che tira fuori la banconota con cui vorrebbe pagare l'ora della pazienza, esperienza, precisione, devozione professionale con cui Marco gli ha appena salvato il culo e il portafoglio.
La banconota è da dieci euro.
Ora, io dico: ma davvero non vi vergognate?
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