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Randa nuova vita nuova

Per la seconda volta nella mia avventura come armatore di Duna mi trovo a dover comprare una nuova randa.
Quando presi la barca, ormai sono passati nove anni, ce ne erano due a bordo: una "vecchia", l'altra "antica". Quella vecchia aveva undici anni, un tessuto ammorbidito dal tempo e l'inferitura rattoppata vicino alla penna, ma le cuciture ancora ben salde. Ci andai avanti per quattro stagioni: era un po' sformata e la bolina ne soffriva. Ma del resto la bolina della Duna soffriva, all'epoca, anche la mia contadina ignoranza, e non è facile stabilire quale dei due fattori fosse maggiormente deleterio per le prestazioni della barca. La vecchia randa non mi mollò mai, mentre quella antica - di un delicato giallo ocra maturato in lunghi decenni di acqua e sale - la provai una volta, per vezzo, tra Civitavecchia e Golfo Aranci: esplose durante la notte, in assenza di vento, schiaffeggiata dal rollio del mare lungo. Con un "ziiip" quasi inavvertibile si aprì dalla balumina all'inferitura poco sopra la cucitura del ferzo di mezzo, rifiutandosi di far resistenza all'ago con il quale, durante l'intera giornata successiva, provai a ricucirla. La tirai giù e rimisi l'altra, che mi portò a Golfo Aranci, e a Santa Teresa di Gallura, e poi alle Baleari, a Barcellona, a Marsiglia e, infine a casa.
Era nata a Fiumicino, come Duna, nella veleria Bianchi&Migliori. Il che, come si vedrà più avanti, ha un senso.
Alla fine di quella stagione decisi che era arrivato il momento di dimostrare al mondo che non era la randa bensì lo skipper a rallentare la Duna, e per far questo la cambiai.
All'epoca avevo un lavoro quasi decente, un lavoro grazie al quale avevo potuto permettermi Duna, Serenity usato da ristrutturare pressoché per intero, e grazie al quale potevo godermelo solamente tre settimane l'anno. In quel "quasi" c'è tutto: chiesi dei preventivi, e scoprii una veleria estera molto più economica di quelle locali. Contro il parere di alcuni amici secondo i quali "il velaio è come il dottore: devi avercelo sotto casa" ordinai la mia randa in Cina e, quando arrivò, ne fui soddisfatto.
La mia randa cinese ha navigato, per lo più in Egeo, per cinque stagioni. Nel frattempo avevo avuto la "fortuna" di perdere il mio lavoro quasi decente e, nella conseguente difficoltà a mantenere la barca, ero però stato contagiato dal dubbio che, forse, nell'unica vita fino a prova contraria concessami cinque mesi in barca a vela valgono più di quarantanove settimane passate a lavorare a testa bassa per guadagnare soldi che serviranno a comprare cose che non avrò mai il tempo di godere. Questione, certo, di punti di vista: potrei anche trovarmi un giorno costretto ad ammettere la possibilità che io mi sia calato nella parte della volpe che ha perso la scala con la quale avrebbe facilmente raggiunto l'uva. Non oggi però. Oggi sono contento.
Sono contento non certo perché la mia randa cinese, dopo 20 mesi e quasi 10000 miglia di onorato servizio, si è sfaldata lungo tutta la balumina al di sopra della terza mano. Ha avuto un comportamento opposto all'altra: quella ha perso la forma ma ha mantenuto la resistenza, questa sembra ancora efficiente, ma ha il tessuto cotto. "Ha preso troppo sole", mi hanno detto. Sicuramente hanno ragione, ma rimango con l'immagine della vela precedente, che non ha mai visto un copriranda fino a quando glielo ho confezionato io, il cui tessuto quattro volte più anziano è ancora affidabile. Non ci sono più le mezze stagioni, è evidente, e anche il dacron non è più quello di una volta.
Questa volta ho fatto le cose in grande. Mi piacerebbe poter dire di esser stato avvantaggiato dalla fama acquisita con questo blog, o con i miei libri. La realtà, molto più modesta, è che nel frattempo i social hanno invaso ogni campo, e che è bastato scrivere su Facebook "Sto cercando una randa" per essere sommerso di telefonate, consigli, preventivi.
Un'esperienza davvero interessante, un ventaglio di prezzi molto variegato, velai sparsi per tutta Italia, ognuno con il proprio modo di fare, la propria competenza, disponibilità, gentilezza. Tutti tranne uno, di Fiumicino, di cui sto ancora aspettando via mail la conferma del preventivo malvolentieri stilato su un fogliaccio: randa comprese le prime due mani a prezzo stracciato, ma la terza a 450 euro più IVA, perché "per una mano di terzaroli dobbiamo lavorare parecchio". E invece le prime due vi arrivano insieme al dacron? Avrei voluto chiedergli, ma probabilmente avrebbe distolto lo sguardo e fissato con sguardo vacuo l'orizzonte, al pari del benzinaio di Skiathos colto la scorsa estate nell'improbabile miracolo di aver stivato 50 litri di gasolio in due taniche semivuote da 20.
Preventivi da ogni dove, scrivevo. Sardegna, Toscana, Puglia, ovviamente Lazio, e di nuovo la Cina, ancora una volta vincente - seppure con minor margine - dal punto di vista economico. E io indeciso, perché la mia vela, stavolta, voglio farla viaggiare parecchio, e voglio che duri, e che tenga, e che spinga, e che qualcuno possa seguirmi - da vicino o a distanza - se mi darà problemi.
E qui il cerchio si chiude, perché pochi giorni dopo aver cominciato la mia ricerca ho varcato, tra le altre, la soglia di un capannone in via Sante Tani a Fiumicino. Si tratta del capannone della stessa veleria che confezionò la randa che nove anni fa ne aveva già undici, e che oggi ne ha venti.
Da quel giorno sono tornato diverse volte, e ogni volta il mio stupore si rinnova. Chi è mai entrato in una veleria sa già già quello che intendo. Uno spazio immenso, illuminato dalle lame splendenti che il sole ritaglia nei finestroni su in alto. Per terra il legno attutisce i passi, e permette agli artigiani di mettere in forza le vele puntandole agli angoli. I suoni anch'essi attutiti delle voci che si perdono in lontananza, il meticoloso, delicato frinire delle macchine da cucire. 
Vele ovunque: aperte, ripiegate, stivate in sacchi accumulati alla parete o vicino alla porta, pronte per prendere il mare. E la mia, che in pochi giorni vedo tagliare, assemblare, cucire, rifinire.
Ogni volta, entrando, saluto tutti, e tutti ogni volta hanno una parola per me. Per un attimo la macchina da cucire tace, l'ago viene messo da parte, per un cenno di saluto. Chiedo consigli, ascolto racconti - Gianfranco ne ha tanti dopo quarant'anni di attività - o anche rimango in silenzio e osservo, senza fretta. L'atmosfera che respiro mi ricorda quel che raccontò Goran Schildt dei cantieri Sangermani di Lavagna dove la sua Dafne ha per tanti anni svernato: mi colpiscono i gesti sicuri ed esperti, la calma dedizione, la malcelata passione con le quali queste vele vengono costruite ferzo dopo ferzo.
"6315 a fine febbraio" specifica Gianfranco su, nel suo ufficio. Sono le vele uscite da questo capannone dal 1978, anno di fondazione, allo scorso mese. Tra queste c'è anche la mia vecchia randa, quella che non mi ha mai abbandonato.

E quella nuova, fiammante, croccante, che oggi - eccolo il motivo per cui sono contento - ho finalmente ritirato.



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