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Elogio della marineria a pagamento

Lo vedo da lontano prendere la scorciatoia tra le isolette. È un ketch. È grande, enorme anzi. Batte bandiera inglese.
Noi siamo in anticipo sull'orario previsto di arrivo, merito di zio Nanni oggi, e già pregusto il tuffo nelle acque che devono senz'altro essere cristalline, data la distanza dell'isola da qualunque rotta mai da me immaginata. Accosto e attraverso lo stretto che mi separa dall'imbocco della baia prescelta, accosto di nuovo, e mi infilo tra le basse pareti rocciose. Con la coda dell'occhio lo vedo di nuovo, lontano, il ketch inglese.
Rallento un po', mancano poche centinaia di metri e poi dovremo scandagliare il fondo per scegliere dove e come dare àncora. Mi giro: il ketch ha accelerato, e viene nella nostra direzione.
Certo l'intera isola appare deserta, e per un attimo mi domando perché non abbiano deciso di ancorare in qualche altro luogo, ma nella baia c'è posto per tutti. Poi loro pescano di più, dovranno rimanere necessariamente più al largo. Non competiamo per gli stessi fondali.
Un minuto dopo comincio a sentire il rumore dei motori: mi sta raggiungendo. Poco corretto, penso, ad arrivare per secondo e a voler scegliere per primo, ma immagino anche che il comandante sia tenuto a soddisfare il ricco armatore, e non può permettersi le buone maniere. Mi è rimasto in mente quel megayacht, a Sunion, che aveva calato la sua àncora 30 metri avanti alla barchetta di legno austriaca, era indietreggiato sulla catena sfiorandola e aveva finito l'ancoraggio 100 metri dietro. Se avesse girato il vento avrebbe tranciato il biondino e la sua compagna, ma anche spedato noi e tutto il resto della baia, quando sarebbe bastato mettersi 50 metri più al largo. Ma le due principessine in moto d'acqua avevano evidentemente bisogno di esibirsi in mezzo a noialtri morti di fame: che vita noiosa deve essere la loro! In tutto questo l'austriaco ovviamente urlava come un ossesso, e mi aveva colpito l'assoluta indifferenza dei due marinai a prua del megayacht, a pochi metri dall'uomo in preda a sacro furore, che guardavano fissi davanti a loro fingendo di non vederlo e non sentirlo. Mi avevano ricordato quelli che sbucano dallo stop e ti si piazzano in mezzo alla strada col loro suv cromato per girare a sinistra - magari dove non è nemmeno permesso farlo - che fingono di parlare al telefono o di guardare interessati da un altra parte mentre a pochi metri dal loro finestrino li fissi con un misto di stupore e odio infinito.

Tornando all'isola, mi sposto comunque verso il lato del canale di accesso, lasciando ai ricchi inglesi il centro. Vivi e lascia vivere: prima mi passano meno dovrò subire la loro prepotenza, penso.
E invece no, al comandante prezzolato il mio gesto non piace. Accelera ancora di più, si allarga, mi raggiunge, passa rombando tra me e le rocce, mi supera a dritta, toglie motore, accosta a sinistra e mi taglia la strada, fermandosi davanti a me.
Rimango attonito a vedermi sfilare metri e metri di acciaio dipinto blu navy, fino al capiente pozzetto in cui armatori e rampolli di armatori sorseggiano bibite fresche all'altezza delle mie crocette, alla poppa con su scritto "Parsifal", alla bandiera inglese che, se avesse potuto scegliere, probabilmente si sarebbe rifiutata di sventolare.
A poppa un marinaio impettito, biancovestito. 
Ora, come ha avuto modo di scrivere felicemente un mio amico, in questo momento più tranquillo di me c'è solo il suo gatto steso al sole, per cui il particolare che sì, è vero, stai lavorando, ma pure io lavoro per poter poi essere qui ora, e quando lo faccio non vengo a fare il cafone sotto casa tua,  mi sale alla mente ma non provoca nessuna secrezione di bile. Però mi sento in dovere, in nome della Marineria, dell'Educazione, dell'Umanità e anche di questa Natura perfetta che ci circonda e ci osserva e certo a suo modo ci giudica, di battere platealmente le mani all'omino amidato di poppa, l'unico che è obbligato a guardare dalla mia parte, per poi stendere il braccio teso, il palmo della mano rivolto lascivamente verso l'alto e suggellare il gesto con un labiale appena sussurrato ma degno di Alberto Sordi. È impossibile non sappia, è impossibile non mi abbia capito, eppure rimane lì, con lo sguardo che mi attraversa come se non esistessi. Come il marinaio del megayacht pronto a rovinare la notte a dieci barche pur di soddisfare la voglia di protagonismo del suo armatore, come il cafone col suv che finge di essere occupato in altro mentre ti blocca in mezzo alla strada perché il suo tempo è più importante del tuo.
E allora, mentre ingrano la retromarcia, manovro per passarlo a dritta e poi proseguo verso il mio ancoraggio, ovviamente 100 metri più a riva rispetto al loro, da qui quasi neanche li vedo, inutili idioti, mi chiedo: quanto devono pagare un dipendente perché dimentichi di essere un marinaio, e ancor prima, addirittura, forse, un uomo? Quanto devono pagarti, perché tu non senta la vergogna?
Deve esserci un legame, tra la risposta a questi quesiti e la situazione del mio conto in banca.

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