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Visualizzazione dei post da luglio, 2014

In ordine sparso

Avrei voluto scrivere della navigazione notturna che ci siamo regalati per errore appena due giorni fa, e della benevolenza di Poseidone che ci ha concesso di godere di un'esperienza piacevole laddove potevamo trovarci in guai seri, ma ci è capitato proprio ieri notte un fattarello banale, breve e, a posteriori, divertente. Per cui proseguo in ordine sparso, e racconterò solo  in seguito del  passaggio notturno tra le rocce a picco e gli scogli di Poros Furnoi, oppure di come mi son ritrovato a dover resinare la poppa della Duna in un caldo pomeriggio di inizio luglio, laddove la banchina di Argostoli aveva portato a nudo gli strati interni, quelli che non dovrebbero mai vedere la luce del sole, o sentire la carezza dell'acqua. Stanno capitando tante cose, va bene così,  andiamo avanti. Siamo nell'avanporto di Pitagòrion. Abbiamo dato àncora nel pomeriggio, delusi dalla mancanza di posto alla banchina comunale, quella da cui sto scrivendo ora. Il meteo dà l'ent

Notturno

Siamo rimasti soli, qui ad Ormos Polais. L'altra vela, greca, con un'anziana coppia a bordo, è salpata a metà pomeriggio. Passandoci accanto si sono sbracciati e ci hanno augurato "bon voiaggio!" facendoci immediatamente pentire di non aver provato ad instaurare un qualche rapporto con loro, nei due giorni passati insieme in questa baia sperduta. Nel pomeriggio sono arrivati due gommoni. Uno, con un Figo al volante, ha rischiato di sfracanarsi sulla scogliera a fior d'acqua che protegge la spiaggia. Dopo una astuta e frettolosa retromarcia, però, ha prevalso l'istinto e ha dato ancora immediatamente sopravento al pericolo, finendoci sopra in poco meno di tre minuti e salvandosi solo fuggendo motori all'aria. Il secondo gommone era di una famigliuola. Si sono ancorati a rispettosa distanza dalla spiaggia, e con un canotto giallo e azzurro il giovane erede ha trasbordato a terra tutto il parentame uno per volta: madre, padre e zia. Il parentame ha

Aspettando il Big One

Lasciamo la baia di Capo Sounion in tarda mattinata. Ho studiato le previsioni dei siti meteo più accreditati,  e conto così facendo di prendere un passaggio "aggratis" verso Kea dal Nord-Ovest moderato prima che questi, appena dopo pranzo, lasci il posto ai venti da sud che stanno riempendo di stupore tutti i naviganti qui in Egeo. I "naviganti", tengo a precisare... perché io, da completo novizio, reputo quello che succede intorno a me perfettamente normale. Normale quanto può essere una cosa del tutto sconosciuta. Mentre bordo le vele per un gran lasco mure a dritta, Manuela scatta a ripetizione foto al tempio di Poseidone che sfila sempre più veloce alla nostra sinistra. Non siamo saliti stamattina, non ce la siamo sentita di lasciare la barca da sola, all'ancora. E se arrivano le raffiche? - ci siamo detti - e se gira il vento? Siamo guardinghi, timorosi, ansiosi. Tutti ci hanno avvisato, si sono raccomandati, ci hanno raccontato. Facce stupi

ma che davéro-davéro?

Stiamo qui, mollemente ormeggiati in banchina ad Epidauro. Musica di sottofondo, cool jazz, viene dalla piazzetta qui dietro. È sabato, e il paese sfila in abiti serali, più o meno eleganti. Le bancarelle qui sul molo sono in legno lucido, pulite ed ordinate come sono nel mio immaginario le bancarelle in Svizzera. Vendono miele, marmellate. Enormi forme di formaggio cretese offerte da un patriarca barbuto e dai suoi degni figli e nipoti. La ragazza qui di fronte sistema meglio le sue merci, esponendo a più riprese dai pantaloni a vita bassa le sue mutandine di pizzo. Una bella serata, insomma. La degna conclusione di una giornata cominciata all'alba, uscendo col fiocco a riva da Kiato, incontro a un mare che rispetto a ieri, quando c'eravamo rifugiati qui dopo aver terzarolato il terzarolabile, non è calato per nulla. Proseguita poi giù, verso il canale di Corinto, surfando sulle onde, cercando di indovinare i frangiflutti che ne proteggono l'entrata nel paesagg

Il provinciale

Mi sveglia lo sciabordio dell'acqua sulle murate della barca. Sto dormendo vestito sul divano di sinistra, come sempre durante la navigazione,  la luce accesa. Solo non riesco proprio a ricordare dove sto andando. Dove "stiamo" andando, in realtà, finalmente: sento il respiro profondo e regolare di Manuela provenire dalla cuccetta di prua. La barca è stabile, deve essere una bolina larga, con poco vento. Ma verso dove? E quando siamo partiti? Pian piano la nebbia del sonno si dirada, e il pensiero fa meno fatica ad accedere ai ricordi, a ricostruire la situazione. Una spiaggia, di notte, persone, bambini che sguazzano nell'acqua. Acqua talmente trasparente da far sembrare i bambini sospesi a mezz'aria. Barbara che si avvita su se stessa e finisce in mare, vestita, e da inglese qual è invece di farne tragedia comincia a nuotare. Il marito che la raggiunge dalla spiaggia tuffandosi, e i due settantenni che si abbracciano sotto la luna. "You look lik

SOFFIA!

Da lontano vedo una massa grigia a fior d'acqua. È grande, non è la solita busta, o un telo da camion, anche se l'aspetto, visto al binocolo, sembra gommoso. Penso al famoso container galleggiante, incubo di ogni velista, e mi dico “beh, fortunato ad averlo incontrato in condizioni ideali, così so come è fatto”. Ammetto di non essere proprio al massimo delle mie facoltà di raziocinio. Reduce da nottata di bagordi in banchina a Ventotene con Jack, Angelo e gli ospiti del Botep, sto arrancando vela e motore verso un altro appuntamento godereccio ad Ischia, in una cala ancora da stabilire. Questa navigazione in solitario mi sta portando ad avere più vita sociale di quanta ne abbia da terricolo. E l'aspetto quasi magico della vicenda è la fratellanza immediata che si stabilisce con persone che conosci appena, eppure senti improvvisamente che hai sempre conosciuto, che fanno parte di te, perché la vita passata sul mare ti unisce appena può. Un'altra bella sorpresa. Ve

In the wake of a wish

Seconda alba sullo Ionio. La prima, ieri, malata e cisposa dopo una notte mal dormita, in slalom tra pescherecci, navi da crociera, mercantili e losche barche non identificabili. È singolare come a volte sembra facciano apposta per metterti in difficoltà: tu le avvisti da lontano, credi di indovinare la loro rotta, correggi la tua, viri a volte, per prenderti il sicuro, ed ecco che loro accostano per rimettere la prua dritti su di te. Viri di nuovo – magari mi son sbagliato, pensi – ed ecco che, tempo pochi minuti, nuovamente te le ritrovi puntate a cercare la collisione. Lo ammetto, nella mia paranoia – dovuta certo anche alla stanchezza, salpato alle 3 del mattino dal molo di Milazzo per trovare la corrente favorevole nello stretto, e qui ci starebbe un'altra parentesi che però evito di aprire – dopo un'ora buona di questi giochetti con un'imbarcazione che peschereccio non era, diporto non sembrava, priva di insegna, matricola, bandiera, e che ad ogni virata finaliz

La partenza

“Se ce l'avevo io, quer fisico, 'e donne le rovinavo”, mi prende in giro passando lento l'operaio del cantiere, con quell'accento cantilenante che caratterizza i pochi civitavecchiesi veraci rimasti qui in darsena vecchia. Sono ormeggiato all'inglese alla antica banchina in pietra, più o meno dove deve aver accostato Goran Schildt subito dopo la guerra - magari Luciano è un discendente diretto di uno di quelli che gli passarono le cime alle bitte – e in effetti non mi sento particolarmente aggraziato mentre mi muovo qua e là per la coperta, a torso nudo, sistemandola nella concitazione dell'ultimo momento: sto per partire! Il vento ha finalmente girato a maestrale, è una settimana che aspetto, ed è un mese che racconto a tutti del mio progetto di viaggio. Probabilmente sono diventato uno dei personaggi che classicamente non mancano mai in un pontile, lo skipper che vanta di continuo partenze che non arrivano mai. Un problema al verricello, uno alla luce in